Questo
Black Light Messiah, disco d'esordio della band proveniente dalla North Carolina, si presenta come un prodotto degno di nota sotto tutti i punti di vista formali; ottima produzione, artwork molto curato, ottimo bilanciamento tra aggressività e melodia, ed un gusto per i chorus da hit radiofonica, che potrebbe far fare alla band un bel balzo in avanti (se non dal punto di vista qualitativo, di sicuro da quello delle vendite).
Ma tutto questo bell'apparire fatto di sola forma diviene vano e caduco non appena l'intima essenza del disco diventa palese, essenza che porta con se un alone di artificio, che si attua attraverso un continuo ripetersi di quegli stereotipi che la fanno ormai da padrone nella componete modernista del rock/metal.
I pochi sprazzi di personalità presenti, provenienti tutti dalle vocals della cantante
Leah Kirby (sempre ben modulate e mai eccessive), vengono travolti dal continuo senso di déjà vu che avvolge ogni singola composizione. Non basta la sola
"The Ride", che vede come ospite alla chitarra
Ace Frehley, ad uscire da questo tunnel fatto di cliché.
Un plauso va quindi al lavoro svolto dalla "macchina" discografica, che attraverso il suo operato rende, dal punto di vista formale, questo
Black Light Messiah appetibile, ma per ciò che riguarda aspetti come l'originalità, la fantasia e la perizia musicale, ovvero quella sfera di competenze di cui il solo "fattore umano" può dar mostra, non vi è traccia alcuna, ed in questo i
Metal Church furono profetici nel lontano 1991.
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