Gradito ritorno per l’instancabile ugola d’acciaio di
Rob Rock, una di quelle voci superiori per tecnica, duttilità ed interpretazione di cui non sempre ci si ricorda adeguatamente, quando si stilano le playlist di categoria.
Eppure se si scorre il voluminoso curriculum del nostro (Joshua, Axel Rudi Pell, Warrior, Impellitteri, Fires Of Babylon, ma ricordiamo anche una pregevole carriera solista) ci si accorge immediatamente della sua qualità e pure della considerazione che molti dei suoi colleghi nutrono nei suoi confronti, considerandolo un’assoluta garanzia nei casi in cui ci sia da gestire un microfono con personalità e valore.
Dal (comunque parziale) “inventario” delle sue partecipazioni artistiche è stata volutamente omessa una delle menzioni più importanti e famose, quei M.A.R.S. del “Project Driver” targato 1987, che rivelò al mondo le doti del cantante americano e di cui questo “Sons of thunder” vuole essere la continuazione, recuperando e ri-registrando le canzoni che erano state effettivamente concepite per il follow-up (previsto in origine per i primi anni ’90, senza le “stelle” Tony Macaclpine, Tommy Aldridge e Rudy Sarzo) e aggiungendone altre sette di completamente nuove.
I
Driver del 2008 sono, dunque, parecchio diversi nell’organico dai loro “progenitori”; oltre a Rob, troviamo Roy Z. (Bruce Dickinson, Tribe Of Gypsies, workaholic songwriter / producer), Reynold “Butch” Carlson (Tribe After Tribe, Kollarbone) - entrambi già presenti nella line-up del 1990 -, Ed Roth (Glenn Hughes, Ronnie Montrose, Impellitteri, Rob Halford) e Aaron Samson (George Lynch, John 5, Rowan Robertson), per un lavoro all’insegna del più classico power class metal fatto d’energia contagiosa, groove e forza d’urto, ma anche di parecchia melodia, capace di spingersi, negli episodi più “appassionati”, fino ai confini dell’AOR.
La valutazione finale si esprime attraverso la sensazione di avere a che fare con un bel disco di heavy melodico, in cui composizioni piuttosto efficaci, riffs e assoli grondanti di fisicità e sensibilità, ritmiche pulsanti, discrete decorazioni tastieristiche, una laringe capace di adattarsi meravigliosamente alle varie soluzioni espressive e una produzione all’altezza, possono garantire ampie soddisfazioni agli estimatori del genere, ma non arriva ad una certificazione di tale percezione tramite l’oggettività di un voto (la Gelmini non ne sarà affatto contenta!), dal momento che, purtroppo, la “shortened version” di molti dei brani del promo (solo tre le tracce complete), impedisce, di fatto, il raggiungimento di un giudizio “definitivo”.
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