Anche se della formazione originale nata nell'82 in Cumbria sono rimasti solo Bob Dalton e John Beck, il ritorno degli
It Bites dopo 18 anni di silenzio non delude affatto le attese dei fans che nell'86 in pieno boom new prog avevano portato "The big lad in the windmill" e il singolo "Calling all the heroes" ( accusato giustamente di plagio per un passaggio di tastiere simile a quello di "Colony of slippermen" dei Genesis) nelle zone alte delle charts inglesi, un successo che li portò in tour con Go West, Marillion, Robert Plant ma che non venne bissato nell'88 con "Once around the world" e nemmeno con "Eat me in St Louis" (89), portandoli così allo split nel '90 ,quando il frontman Frank Dunnary decise di abbandonare la band. Dopo una fugace reunion ad un fan club convention nel 2003, dobbiamo aspettare il 2005, quando John Beck e Bob Dalton si uniscono a John Mitchell nel project "Kino", il chitarrista degli Arena è da sempre un grande fan degli It Bites, nasce così una collaborazione sfociata ora in "The tall ships", autentica e genuina esplosione di melodie semplici ed orecchiabili che da sempre hanno rappresentato il marchio di fabbrica del loro sound fresco ed avvolgente. Un magnifico Mitchell rimpiazza splendidamente il cantato di Dunnary ricamando come solo lui sa fare pregevoli riffs alternandosi alle tastiere di Beck, una sintonia perfetta già nota a chi conosce i suoi vari side projects (Kino, Frost, Urbane, Blind Ego) e che raggiunge i suoi picchi nella trascinante "Ghosts" impreziosita da un tappeto di tastiere new prog quasi più rilevanti del refrain, nell'immediatezza di "Fahrenheit" e dei suoi intrecci corali che ne fanno una pop rock song sofisticata da classifica, nella spensierata "Lights" che dal vivo scatenerà un battimano incontrollato, nella grandiosa apertura strumentale di "Memory of water", mix di aggressività vocale e melodia corale supportato da un gran lavoro alle tastiere e dalla ritmica impressa da Mitchell e Dalton nella seconda parte. Un occhio di riguardo al passato con "Great disasters", il ritorno ai coretti un po' ruffiani (Dumbli dumbli eo) abbinati ad un arrangiamento perfetto così come accade nei simpatici impasti vocali di "Oh my God", ma gli It Bites reggono bene anche nella lunga durata: le atmosfere in continuo mutamento degli 8 minuti di "The wind that shakes the Barley" alternano melodie a parti strumentali che a tratti ci ricordano gli Arena e ci preparano al gran guitar solo finale di Mitchell, ancora più elaborati e complessi i 13 minuti di "This is England", dal tono iniziale soffuso e intimistico che lascia il posto a coralità in stile Yes adattate ad un prog moderno alternando momenti acustici ad altri più sostenuti con una parte centrale strumentale dominata da tastiere molto vintage e liturgiche in sintonia con il finale cantato da Mitchell a cui fa seguito una coda orchestrale melodica e corale chiusa dal ritorno alle atmosfere di inizio brano. Non mancano i lenti: "Playground" ci trascina con sontuosi arrangiamenti orchestrali sospinta dagli arpeggi della chitarra di Mitchell e dalla sua dolce voce, mentre il lontananza echi di tastiere alla "Entangled" (Genesis) stendono un tappeto prog su cui appoggiano le parti corali, nella title track fanno capolino brevi ma incisivi inserti di chitarra in stile celtic rock, un gioiello melodico che ci fa respirare aria di Scozia e del rock alla Runrig, "For safekeeping" è introdotta da piano e voce, muta nella seconda parte in una ballad in cui ritornano le calme atmosfere al piano, soffici parti corali e dove l'ennesimo gran guitar solo di Mitchell innalza il ritmo del brano nel finale.
Trascurati dai fans del new prog più colto (Twelfth Night, Iq, Marillion) negli anni '80 perchè ritenuti troppo commerciali, gli It Bites tornano in grande stile sapendo di aver ispirato con la loro proposta melodica molto originale una band come gli ACT, forti di una fan base molto attiva nel forum del sito ufficiale e reduci da un tour inglese che si concluderà il 21 dicembre al The Peel di Kingston.
Bentornati !!!!!!
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