La "tragedia incurabile" protagonista dell'ultimo album dei canadesi Into Eternity è il cancro, l'inesorabile male oscuro che negli ultimi anni si è portato via alcune tra le persone più care della vita di Tim Roth.
Il chitarrista degli Into Eternity, unico membro della formazione originale che aveva esordito discograficamente nell'ormai lontano 1999, ha metabolizzato l'insopportabile dolore derivante da queste perdite con la composizione di un oscuro e tormentato concept album che esce a poco più di due anni dall'ultimo disco della band di Regina, "The Scattering of Ashes", disco decisamente buono ma purtroppo non della stessa qualità della vera e propria gemma della carriera degli Into Eternity, il meraviglioso "Buried in Oblivion".
Malauguratamente i numerosi cambi di line-up che hanno caratterizzato la recente storia degli Into Eternity non hanno di certo contribuito a cementare il sound né hanno portato particolari evoluzioni nello stile. Questo disco segna infatti l'ingresso in pianta stabile nella line-up del drummer Steve Bolognese (in passato nei Beyond The Embrace) e del chitarrista Justin Blender, due novità che non hanno comunque alterato in alcun modo le soluzioni ritmiche e melodiche tipiche degli Into Eternity: "The Incurable Tragedy" presenta le consuete alternanze tra sfuriate in perfetto stile Death Metal e contro-tempi ed intrecci più classicamente Progressive, finendo comunque col privilegiare le parti estreme più di quanto fosse avvenuto nei vecchi dischi.
Purtroppo gli Into Eternity riescono soltanto a sprazzi ad entrare davvero nella mente dell'ascoltatore ("Time Immemorial", "Diagnosis Terminal", "Indignation"), ed anche le immancabili ballad struggenti ed oscure sembrano una brutta copia di "Buried in Oblivion" o "Black Sea of Agony", probabilmente a causa delle modeste capacità interpretative del singer Stu Block.
La qualità generale dei brani di "The Incurable Tragedy" è comunque discretamente alta, e sarebbe un'ingiustizia non mettere in evidenza quanto siano preparati gli Into Eternity dal punto di vista puramente tecnico. La nuova fatica di Tim Roth e soci ha "solo" la colpa di non essere un capolavoro... e scusate se è poco!
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