È inutile girarci tanto intorno, questo nuovo “Two tragedy poets (...and a caravan of weird figures)” è l’album che ogni fans degli
Elvenking e del folk metal (per quanto questa definizione possa star stretta alla band friulana) si aspettava da tempo. Di che sto parlando? Naturalmente di un album acustico, terreno ideale per le architetture stilistiche della band di Damnagoras e Aydan. Ovviamente i meriti del nuovo album degli Elvenking non si fermano certo qui, perché oltre a rispecchiare i desideri di chiunque segua questo tipo di musica, “Two tragedy poets” è un gran disco, a prescindere da tutto. Avevamo lasciato gli elfi italiani a “The scythe”, forse il loro album più duro e pesante, e ora li ritroviamo in questa veste più tranquilla e rilassata, a tratti sognante e romantica. Ma quando una band ha gli attributi al posto giusto riesce a giostrarsela come meglio crede, senza per questo rischiare un calo qualitativo o rischiare l’ira dei fans. E se avete qualche dubbio su questa mia affermazione vuol dire che siete dei folli… in ogni caso per fugarli basta che ascoltiate brani come la tirata “Not my song”, o la più delicata “My own spider’s web” e capirete che non sto esagerando. Ascoltando i brani si capisce da subito che la band ha lavorato in maniera maniacale sugli arrangiamenti e che questo non è un semplice capriccio, ma un album vero e proprio. D’altra parte il coraggio non è mai mancato agli Elvenking e questa ne è la dimostrazione. Così come l’aver deciso di inserire una cover quanto meno particolare, se pensiamo che si tratta di “Heaven is a place on earth” di Belinda Carlisle, una gnoccona tipicamente anni ’80 che nel 1987, appunto, ha imperversato per mesi con quel brano nelle classifiche di tutto il mondo. Quando sono partite le prime note non ci volevo credere, ma vi assicuro che il risultato della cover è incredibile… A parte questo episodio, come già accennato prima siamo davanti a una dozzina di brani dal sapore folk e romantico, in cui la voce di Damnagoras può essere valorizzata appieno, sia nelle parti più tirate che in quelle più delicate, così come le capacità di Aydan come compositore, basti ascoltare un brano come “Another awful hobs tale” per capirlo… Ovviamente anche in questo caso, come nei precedenti capitoli della discografia del gruppo, l’influenza degli Skyclad appare abbastanza evidente. Della band inglese i nostri, d’altra parte, hanno preso solo i lati migliori, cioè quella sapienza musicale che li discosta nettamente (e per fortuna, aggiungerei io), dai tanti pagliacci scandinavi (non tutti per fortuna) che fanno finta di suonare folk ma si limitano solo a riproporre sterili motivetti festaioli. Qui le cose stanno in maniera ben differente, visto che le melodie sono assolutamente ragionate ed hanno un gusto tutto particolare, quel gusto che solo i grandi sono in grado di tirar fuori. E gli Elvenking con questo album hanno dimostrato ancora una volta di essere tra questi…