Dopo sette album in studio e sedici anni di onorata carriera alle spalle, ci mancava proprio un bel doppio disco live per i
Nevemore per celebrare la potenza del gruppo anche dal vivo. Ecco quindi che la band sopperisce a questa mancanza con un doppio live dal titolo "The Year Of The Voyager", testimonianza trasposta in micorsolchi del concerto che i Nevermore hanno tenuto l'11 ottobre del 2006 a Bochum, Germania. Certo, l'uscita del disco non è stata proprio tempestiva, ma una volta ascoltato questo doppio live la sensazione provata è che è valsa la pena aspettare così tanto tempo per avere tra le mani questo eccellente prodotto. Ma vediamo più da vicino questo "The Year Of The Voyager".
I protagonisti - Warrel Dane: la più grande preoccupazione era per le sue corde vocali; dopo anni di prestazioni mediocri a causa dell'abuso di alcoolici e chissà cos'altro, il biondo cantante sembra finalmente aver trovato un po' di serenità e la sua performance è la prima a trarne giovamento: compatta, decisa, grintosa, vocalmente inceccepibile. Sia le parti più aggressive, sia quelle più espressive, compreso il tanto discusso nonchè amato/odiato falsetto, vengono rese in maniera molto fedele alle versioni su disco, sottolineando le grandi doti canore di Dane. Il quale si dimostra anche ottimo frontman dotato anche di un certo umorismo.
- Jeff Loomis: in quanto mastermind e principale compositore dei Nevermore, il grosso dell'attenzione non poteva che essere per lui. Su disco sono buoni più o meno tutti di shreddare, ma riuscirà il biondo axeman dal faccino adolescenziale e pacioccoso a rendere in maniera fedele i propri pezzi? La risposta è un deciso e secco SI: le sue dita scorrono con scioltezza sulla chitarra, riproducendo con precisione assoluta riff e assoli ultraveloci, confermando l'enorme qualità di questo musicista straordinario. Veramente fenomenale!
- Chris Broderick: conoscendo la caratura e il talento del personaggio, molta era la curiosità di sentire come avrebbe contribuito a ingrossare il Nevermore sound dal vivo. Va tuttavia sottolineato come, dopo ripetuti ascolti in cuffia, Broderick sia (con tutta probabilità, volutamente) tenuto un po' in disparte rispetto al collega Loomis, ed i volumi leggermente più bassi della sua Ibanez ne sono una dimostrazione. In ogni caso, il suo sporco lavoro lo fa eccome, anche se un paio di errori grossolani su "The Learning" (l'assolo iniziale non si può sentire, ed un attacco sbagliato nella seconda parte del pezzo è inaccettabile) fanno abbassare un po' la votazione. Il nerboruto Chris rimane comunque una garanzia.
- Jim Sheppard: non pervenuto. Le chitarre della premiata ditta Loomis/Broderick non gli lascia proprio spazio se non in rarissimi frangenti, nei quali si evince come Jim non sia proprio il miglior bassista del globo, il quale però fa il proprio lavoro egregiamente. D'altronde questo è il prezzo da pagare quando si utilizzano chitarre a sette corde. Tuttavia il suo basso è essenziale per dare al sound dei Nevermore la giusta botta e pesantezza.
- Van Williams: il vero e proprio motore pulsante e ritmico dei Nevermore, dal gusto e dalla classe cristalline. Come su disco, il suo drumming è vario, potente, mai ridondante ma sempre avvincente, e scandisce con germanica precisione il tempo della band. Un tassello fondamentale del gruppo.
La scaletta Il grosso della setlist viene prelevato dalla produzione post "Dead Heart In A Dead World", costituendo più di metà scaletta. Il gruppo non dimentica però i primi tre album, omaggiando il primo con un convincente medley di "What Tomorrow Knows/Garden Of Grey" ed estraendo dalla coppia "The Politics Of Ectsasy"+"Dreaming Neon Black" giusto gli episodi più famosi. Gradita invece la scelta di inserire "Matricide", giusto tributo all'EP "In Memory", troppo spesso dimenticato all'interno della discografia dei Nevermore. Certo, avrei voluto sentire la resa live di pezzi come "The Seven Tongues Of God", "Beyond Within", "Decontrusction", "Poison Godmachine" o "The Passenger", ma a conti fatti la scaletta è abbastanza bilanciata e non ci si può lamentare.
Il pubblico Che album live è se non c'è il pubblico? E' forse questa l'unica critica che si potrebbe muovere nei confronti di "The Year Of The Voyager", poichè il tutto suona dannatamente perfetto, pulito, ed il pubblico si sente solamente nei vari intervalli tra un pezzo e l'altro o in rare occasioni. Tuttavia si fa sentire, talvolta anche accompagnando Dane nei ritornelli più accattivanti, come nel caso di "Heart Collector". Tutto sommato, non perfetto, ma nemmeno da buttare via.
Tirando un po' le somme, ci si trova tra le mani un prodotto eccellente, su cui però pesa talvolta il dubbio delle reincisioni o degli aggiustamenti in studio (di cui personalmente non sono convinto), ma che nel complesso è un must per tutti i fans dei Nevermore che hanno atteso tanto a lungo questa uscita. Vista l'eterogeneità della scaletta, "The Year Of The Voyager" potrebbe anche essere l'uscita discografica migliore per i neofiti della band, i quali avranno qui una panoramica sufficientemente completa della carriera dei Nevermore. E come disse Dio scacciando Adamo ed Eva dall'Eden:
"Andate e comprate...il più possibile".