Sono stati necessari due Cd, come dire, di “apprendistato”, per consentire agli
Shadowman di sfornare (finalmente) un’autentica meraviglia discografica, che risponde al nome di “Ghost in the mirror”.
Del resto, era abbastanza “strano” che i magnifici Steve (Overland e Morris) dell’AOR albionico, con il loro autorevole curriculum (FM, The Ladder e Heartland, per i più distratti) si accontentassero di produrre lavori all’insegna di una “semplice” gradevolezza superiore, senza raggiungere quello status “definitivo” che inevitabilmente ci si attendeva da una collaborazione di tale livello.
Ebbene, il nuovo album rimette tutte le cose a posto e cancella istantaneamente le piccole frustrazioni patite nel passato, rivelandosi come una perfetta sinergia tra individualità artistiche di enorme spessore e grandi brani musicali, capaci di conquistare i sensi anche quando sottoposti all’ascolto reiterato.
L’ambito espressivo è, come di consueto, quello di un emozionante hard rock impregnato di blues e di soul, ma questa volta eleganza, orecchiabilità e una vitalità sensibilmente superiore a quella rintracciabile nel precedente “Different angles”, si coniugano prodigiosamente grazie ad un songwriting scintillante che non rivela la benché minima ombra di “maniera” nelle sue intense vicende operative.
La splendida voce di Overland, la chitarra vibrante di Morris, l’impeccabile sezione ritmica di James e Childs (“partners in crime” anche nei Thunder) e il contrappunto tastieristico di Millington (Sad Cafe, 10 cc, Wax), manifestano tutta la loro magnificenza nella “nobile” dozzina di canzoni che plasmano il nuovo platter, per le quali è davvero difficile stilare una qualsivoglia classifica di merito.
Che si tratti, infatti, del grintoso retaggio Purple-iano palesato in “Road to nowhere” e “No man’s land”, delle deliziose levigatezze di “Bad for you”, della fremente “Keeper of my heart” e di “Blues city”, del romanticismo perspicuo della ballata “I’ve been wrong before” o ancora del pathos raffinato e dinamico di “Colour of your love”, di “Fire and ice” (un favoloso pezzo in pieno ardore FM-esque!), della contagiosa “It’s electric” e della “polverosa” “Outlaws” o delle inflessioni rhythm ‘n’ blues di “Hard ways” e “Little miss midnight”, “Ghost in the mirror” raggiunge costantemente le vette dell’ammirazione e dell’euforia nelle valutazioni di chi si aspettava già da un po’ di tempo una reazione di questo genere nei propri sentimenti di fedele seguace di un gruppo così “stimolante” nel personale esecutivo.
A completamento dell’eccellente risultato segnaliamo pure una resa sonora adeguatamente incisiva (produzione di Morris e brillante mixaggio di Tommy Hansen) per un disco che non deve assolutamente mancare nelle collezioni dei sostenitori del migliore British Adult Oriented Rock.
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