Son passati già 12 anni dall’esordio degli acclamati
Staind. Una carriera la loro, costeggiata di grandi successi e numeri di vendite invidiabili e che li vede nel 2008 ancora sulla piazza con un album “The Illusion Of Progress”, per il quale, scusate il gioco di parole, non vorrei vi foste fatte troppe illusioni durante l’attesa.
Ancorati saldamente al loro stile rock inconfondibile, gli Staind raggiungono livelli di tedio preoccupanti, con un album dalla coraggiosa durata di un’ora e sei minuti che fa meditare su quanto da tale minutaggio poteva essere escluso senza esitazione alcuna. Il filo conduttore rimane una massiccia dose di melodia speziata (e spezzata) solo dalla distorsione di parte delle chitarre, su cui protagonista indiscussa è la voce di Aaron Lewis che va a completare la ricetta della band rock dal sapore grunge che continua a seguire il proprio copione dagli anni ’90 e pare proprio non avere la minima intenzione di tradirlo né di guardare in altre direzioni. In fondo perché rischiare? Questa sembra essere la filosofia degli Staind che anche in questa release hanno scelto una selezione di pezzi rock misti a ballate morbide e a momenti stucchevoli, che potrebbero essere inserite con estrema disinvoltura nella programmazione di importanti radio ma che nonostante la forte orecchiabilità potrebbero passare inosservate, inudite o ignorate con altrettanta facilità. Del resto la Roadrunner Records è una casa discografica il cui credo principale chiamasi “vendite e copertura di più mercati possibili” ed è lecito che faccia affidamento anche su prodotti del calibro di “The Illusion Of Progress”. Ricordo anche di aver letto su queste pagine web le parole del leader del gruppo, Aaron Lewis, che in fase di promozione esaltavano quest’album come “il migliore tra quelli scritti dagli Staind”, ora immaginatevi un fruitore che si accosta alla band per la prima volta, cosa potrà mai pensare di fronte a cotanto piattune? “Davvero? Immagina gli altri!” Quanto rimane evidente è la mancanza di creatività nel songwriting, di slancio artistico, qui annichilito, e di variazioni sul tema che ne avrebbero portato il livello qualitativo quantomeno ad un livello accetabile e sufficiente. Nessuno mi restituirà il tempo dedicato all’ascolto dell’album, ai tentativi impegnativi di scavare a fondo per carpirne un’ipotetica forza nascosta, ma io posso consigliare a chi non è esattamente un fan del genere di conservare il proprio di tempo per impiegarlo in qualsiasi altro ascolto che non sia quello di “The Illusion of Progress”. Ringraziatemi.
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?