Hi people, this is Elektradrive and Elektradrive is not a music only for your ears, but is a music for your imagination … and is here that music begins …In questo modo iniziava “… Over the space” (per la cronaca, un Lp ancora oggi attualissimo!), lo splendido esordio ufficiale di cinque ragazzi torinesi camuffati dietro “protettivi” appellativi anglosassoni (presto abbandonati), e anche se sono passati ben venticinque anni da quella “dichiarazione d’intenti”, la loro musica è ancora una volta un’entità che travalica una “elementare” lusinga dei timpani.
Eh già, perché dopo quel debutto, un disco enorme come “Due” (1989, Minotauro), incensato anche dallo spocchioso Kerrang (ottenne una valutazione più alta di “Slip of the tongue” dei Whitesnake!), in tempi tutto meno che benevoli nei confronti dei nostri colori, un lavoro eccellente come “Big city” (1993, Dracma), penalizzato solo da problemi di produzione, e un’attesa lunghissima fatta di promesse, occasioni sfumate e annunci vari, è tempo finalmente di vedere concretizzato quello che non esito a definire (come credo faranno tutti i loro fans!) un autentico “evento”, il ritorno discografico dei favolosi
Elektradrive.
“Living 4”, questo il titolo della lungamente invocata rentrée, ci riconsegna un gruppo (in versione “originale” per quattro quinti) certamente più maturo e pragmatico, a partire dallo spessore concettuale dei suoi testi (mai stati banali, comunque) che oggi trattano d’ecologia, corporazioni, massonerie, guerre di “profitto”, ma anche di mancanza d’autostima, atavici dubbi esistenziali e di un’epoca “superficiale” nei rapporti interpersonali, nei giudizi e in quei sentimenti che dovrebbero essere “universali” e invece riempiono solo la bocca e non il cuore.
Anche dal punto di vista squisitamente musicale, il suono è diventato maggiormente “fisico” e “asciutto”, con un minimo ricorso a quelle tastiere (ai tempi gestite dal grande Eugenio “snake” Manassero, oggi fuori dalla band) così importanti nell’economia sonora degli ex Overdrive, ma nonostante le piccole “variazioni”, inevitabili per chi possiede una grande personalità e non è quindi affatto interessato ad uno sterile riciclaggio del suo pur illustre passato, la proposta degli Elektradrive appare semplicemente come uno straordinario esempio d’emozionante hard rock melodico, “attuale” senza forzature, variegato nei sentimenti e nelle suggestioni che evoca, profondo nei temi che affronta, completo nella stimolazione sensoriale di muscoli (compreso quello cardiaco) e cervello.
Rock duro, blues, soul e una modesta aliquota di vocazione esplicitamente “adulta” (e per questa ragione il platter appare, a grandi linee, probabilmente più affine a “Due” che non a “Big city”), attraversano l’ora abbondante di durata di un Cd privo di momenti superflui, suonato alla perfezione e cantato (se ciò è possibile!) pure meglio da un Elio Maugeri (ottimi in generale gli arrangiamenti vocali) pronto a rientrare nella stretta cerchia dei sommi interpreti internazionali di un ruolo tanto impegnativo quanto essenziale.
Le canzoni, come anticipato, andrebbero tutte commentate diffusamente e tuttavia, per evitare di dilungarmi (una cosa che mi piace molto, per la verità … come “forse” avete capito!) eccessivamente, mi limiterò a fornire qualche indicazione sulle impellenti “priorità” di grado superiore in un ambito artistico in realtà sprovvisto di prelazioni: innanzi tutto “Get power from the sun”, una delizia assoluta alimentata da un mood non dissimile da quello applicato ai loro gioielli dai formidabili King’s X, impreziosita dal flauto dell’illustrissimo ospite Mauro Pagani e poi la pulsante opener “Evil empire”, la suprema carica passionale di “Feed the ground” e “Son of the universe”, la sensazionale espressività della title-track e di “In a superficial way”, la sensibilità poetica di “Pain” e “You are always on my mind” o ancora il calore irresistibile e vibrante di “What we still don’t know”, “Water diviner”, “Dirty war of bloody angels”, “What you see is what you get” e “Fake news”, nuovamente assimilabili al modus operandi di Pinnick, Tabor e Gaskill, escludendo, sia ben chiaro, da tale modalità operativa una qualsiasi condotta fastidiosamente imitativa.
Non rimane che affidarsi ai ringraziamenti, rivolti alla Valery Records, per aver riportato “alla vita” una formazione così meritevole e con ancora così tante cose da “dire” (non solo musicalmente), ricordandole che ora “l’urgenza” è quella di sostenerla adeguatamente (e i presupposti mi sembrano confortanti) e ai membri degli Elektradrive … grazie di cuore “ragazzi”, per quello che avete fatto e sono sicuro farete … e credetemi non c’è retorica in queste mie parole, forse solo un pizzico d’orgoglio “sabaudo” nel poter affermare ancora una volta che uno dei migliori act di hard melodico italiano, attrezzato per affrontare con tranquillità la “contesa mondiale”, proviene proprio dalla “mia” Torino.
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