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Flowing Tears “piace” cambiare, casa discografica e modalità espressive.
Lasciano la Century Media per la Ascendance Records (per la quale, in verità, era già uscito il live “Invanity”), abbandonano la ricerca spasmodica della struttura melodica catchy e della fruibilità “gothic-pop” e ritornano un po’ sui loro primi passi, quando si chiamavano Flowing Tears and Withered Flowers ed erano emersi come una confortante promessa del metallo gotico variegato e intenso.
Il risultato è un buon disco, atmosferico, vario e adeguatamente malinconico, ma anche potente e vibrante, sebbene personalmente non abbia ravvisato una costanza in quella carica emotiva capace di distinguerlo in maniera perentoria da tanti prodotti analoghi.
“Thy kingdom gone”, impreziosito da un fascinoso artwork (opera di Seth Siro Anton), ottimamente suonato e prodotto, cantato impeccabilmente dalla brava Helen Vogt, capace di ostentare una notevole duttilità interpretativa, alterna momenti di notevole attrattiva a situazioni decisamente meno catalizzanti, figlie di quella piacevolezza effimera che colpisce solo la superficie e non irrompe nel profondo dell’animo.
“Orchidfire”, la title-track (ospite Vorph dei Samael, per “the probably heaviest song on any Flowing Tears album so far”, come dichiarano le note promozionali dell’albo), “Words before you leave”, “Miss Fortune”, “Colossal shaped despair”, “Kismet” (la mia preferita), “For my enemies” e “The war we left behind”, dimostrano sostanza e ricchezza espressiva, includendo scaltrezza (la band non ha comunque perso il suo instant goth appeal), “modernità” (certi contributi elettronici) ed estro (partiture che sanno essere anche sufficientemente complesse e articolate) e fanno pendere l’ago della bilancia verso una valutazione ampiamente sufficiente, lasciando però la sensazione che si sarebbe potuto, con questi mezzi a disposizione, fare molto di più.
Bravi sono bravi (e a dire la verità lo sono sempre stati, nonostante certe scelte artistiche non completamente condivisibili), sono tornati ad una dimensione verosimilmente più consona alle loro qualità, e anche se c’è ancora qualcosa da (forse ri)mettere a punto, ci sono discrete speranze che i Flowing Tears possano in futuro contribuire fattivamente a rivitalizzare (se non a “rinnovare”, ma forse è chiedere troppo!) un genere che è diventato oggetto di un trend asfissiante, è arrivato pressoché alla saturazione e dovrà quasi sicuramente giungere ad “implodere” definitivamente su se stesso per rinascere a “nuova vita”.
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