Terzo disco per i Settevite. La band milanese affronta la tanto decantata prova della maturità con una line-up rinnovata dall'ingresso in pianta stabile di un nuovo batterista ex-Kaoslord (grande band...ricordate "Ninos de Rua"?) e di un secondo chitarrista. Per "The Freak Show" i Settevite tornano al cantato in inglese, una scelta assolutamente indovinata che contribuisce a dare al disco un tono di...internazionalità, per così dire. Quel che traspare dall'ascolto è proprio questa cura estrema con cui le canzoni sono state pensate, costruite e prodotte, dando al lavoro nel suo complesso quel tono di "esportabilità" a cui prima si accennava. Poca dunque l'irruenza nel 'modern rock' del quintetto, che non si è ammorbidito, quanto piuttosto levigato, negli arrangiamenti, in cui compaiono tastiere e fibre elettroniche, nei riff mai durissimi, a parte forse in "On My Knees" e "F.A.Q", brano per la verita' avulso dal contesto, cantato con Gianluca Perotti. I Settevite sembrano perseguire uno standard, offrendo interpretazioni che in tante tonalità potrebbero assere accostate alle ultime cose dei Guano Apes: sia quando i ritmi sono più sostenuti, "A.N.I.O", "Nobody Knows", sia quando i pezzi assumono forme più immediate, "Never Dies", il quintetto riesce a svolgere il proprio compito come da copione, soprattutto poi quando la velocità di marcia diminuisce come accade nella atipica ballad "Now Or Never", in "In My Arms", pop e romantica e nella rivisitazione del classico dei Matia Bazar, "Ti Sento", complice la bella e versatilve voce di Lella. A dispetto del titolo, un disco per nulla "Freak".
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