Uhm uhm... mumble mumble....
Scusate questa intro "fumettistica", ma il nuovo disco dei
Vision Divine mi dà da pensare, eccome. Intanto, un pò di fredda cronaca: come anche i muri ormai sanno, il nuovo
9DWOTM vede il ritorno dietro il microfono di Fabio Turil... ehm Lione, al rientro a casa dopo 6 anni. Periodo durante il quale il nostro ha fatto fuoco e fiamme con i suoi Rhapsody... E non sembra poi tanto un caso che il comeback coincida con un periodo di forzato immobilismo della band di Staropoli & co. Come ormai avrete capito, nel music business non c'è mai nulla di lasciato al caso, e, come si suol dire, le coincidenze aiutano. Quale che ne sia la causa, il nuovo/vecchio singer dei Vision Divine porta in dote, inevitabilmente, tonnellate di confronti con il passato, prossimo e remoto, ed una serie interminabile di elucubrazioni mentali su quanto l'ugola di un singer possa influire sulla riuscita di un disco.
E sta proprio qui, a parere di chi vi scrive, il vero, primo, grande problema di questo nuovo capitolo dei Vision Divine. La pur bellissima voce di Fabio, infatti, sembra assuefatta ormai ad un modo di cantare tipicamente power, dove gli allunghi vengono infarciti di vibrati alla Dodi Battaglia, e dove la grinta la si tira fuori sì, ma senza mai sporcare la linea melodica supportante la canzone. Ed invece, i Vision Divine targati 2009 fanno davvero un altro genere di musica. Il loro sound è adesso più moderno, meno legato agli stilemi ed ai clichè del power/prog, più concentrato verso la ricerca stilistica che verso la mera ostentazione di potenza, argomento che di certo fa loro guadagnare una tacca nello Sbranfometro.
Ma, entrando nel vivo del nuovo album, si percepisce chiaramente come il lavoro, peraltro egregio, in fase di arragniamenti strida come delle unghia su una lavagna con un momento ispirativo particolarmente povero ed infruttuoso: le canzoni si presentano a volte potenti, a volte ruffiane, ma con un'attitudine sofisticata e un pò "sborona" che è forse figlia della troppa ricerca sonora, del troppo attendere a della poca freschezza con la quale, immagino, i pezzi sono stati tenuti nel limbo, in attesa dell'uomo giusto a cui farli cantare.
Già dal primo brano,
"Letter to my child never born", ci si rende subito conto che la parola d'ordine per aprire la porta magica dei Vision Divine non è POTENZA, ma CLASSE. I nostri danno sull'acceleratore ma con stile, picchiano sì ma di fioretto, non di sciabola, e preferiscono alternare i momenti tosti ad altri più rarefatti ed eterei, creando di certo un ottimo bilanciamento in fase di ascolto, ma lasciando alle orecchie vogliose di un metallaro di razza il rimpianto di quella doppia cassa che non c'era, quel riffone che dura troppo poco, quel basso che si sente a fatica nel pur ottimo mixing... In alcuni pezzi, peraltro, come
"Fading Shadow", i Vision DIvine "giocano" a fare i Kamelot.... Scelta azzeccata o casuale accostamento? Trend del music business o gusti personali?
Dove voglio arrivare, dunque? Credo sia emblematico, per farvi capire cosa intendo, coinvolgervi in un giochetto. Saltate a piè pari tutto il disco e andate in fondo al medesimo, ascoltate l'ultima traccia: si, è la cover di
"Touch of Evil" dei Priest, estratta da quel capolavoro che fu "Painkiller"... ascoltate Fabio Lione quando canta con la giusta grinta, ascoltate di cosa è capace quest'uomo, percepite la potenza dei riff, lo schiocco secco di un rullante che fa cadere i vetri.... Bene, fatto? E adesso, provate a rintracciare, nelle restanti 9 tracce, un briciolo della potenza che avete appena percepito... Difficile, eh? Non impossibile, lo so bene, ma difficile;
"9 Degrees West of the Moon" è, per me, un disco interlocutorio e di assestamento. Potrebbe tranquillamente segnare l'inizio di una nuova era, o la continuazione sbiadita dell'ultima. Certo è che confrontarlo con il suo passato, oltre ad essere cosa non giustissima da fare, risulta pratica oltremodo deprimente. Mi sembra altresì doveroso sottolineare che la presente recensione non vuole assolutamente penalizzare un disco che è obiettivamente un buon disco, ma soltanto giocare un pò a "dire la verità", senza inutili paraocchi e senza false ed ipocrite piaggerie di questo o quell'altro. Ho grande stima dei Vision Divine, di Fabio Lione, e credo proprio che un buon viaggio cominci sempre da un piccolo passo.