Porter Dick - Nu Metal - Le Origini

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Pubblicato il:13/05/2005
Sono del parere che quando si scrive un libro, soprattutto quando si scrive un libro che per forza di cose si deve basare su dati reali, come è il caso di una storia delle origini del nu metal, la cosa più importante siano le fonti, ma ancora più importante è saperle interpretare. Perché si possono avere anche tutte le fonti disponibili, ma se poi non le si sa interpretare, si finisce per scrivere grosse castronerie.
Prima di parlare direttamente di questo libro e quindi cercare di farvi capire se vale o meno la pena comprarlo, è d’obbligo sviscerare alcuni dati. Iniziamo dall’autore. È Dick Porter, il quale è per sua stessa ammissione un ex-punk rocker, che ha già scritto una biografia dei Ramones, ex-squatter del quartiere londinese di Tooting, e, a suo dire, esperto di Popular Music. Non so voi, ma a me queste credenziali mi hanno fatto un po’ storcere il naso, visto e considerato che sono uno che il nu metal lo ha vissuto sin dagli inizi, quando ancora non c’era la storpiatura fonetica e nu metal si leggeva ancora new metal. Visto e considerato ancora che la mia enciclopedia del nu metal un giorno, secondo i miei progetti, dovrebbe essere pubblicata, ampiamente riveduta e corretta, ho avuto l’opportunità di confrontarmi con una persona che dice di saperne. Tuttavia già leggere nella presentazione che “[il nu metal]…contiene a sua volta generi e sottogeneri (rapcore o rap-metal o grindcore o industrial).”, il dubbio che l’autore sappia ben poco quello di cui voglia parlare assume dimensioni grosse, dimensioni che diventano mastodontiche quando tra le righe si leggono altre perle quali “I Judas Priest, che si barcamenavano tra le onde del vecchio e del nuovo metal, arricchirono i loro inni cantilenanti con parti di chitarra neoclassica che in seguito avrebbero influenzato il death metal.”.
Ora non voglio trasformare questa recensione nella caccia allo sfaldone del signor Dick Porter, ex- punk rocker ed esperto di Popular Music, ma voglio cercare di capire insieme a voi quale è la ragion d’essere di questa opera. Questo perché quando si inizia a leggere il libro, sulla cui copertina è riportata una bella foto di Corey Taylor, singer degli Slipknot, per le prime 50 pagine si parla solo di rap, al punto che uno sguardo complessivo al libro lascia trapelare che qui si è focalizzata l’attenzione sul cosiddetto rap-metal.
Allora vuoi vedere che qua c’è puzza di fregatura? Subito due considerazioni:
1) Il titolo originale, come volevasi dimostrare, è “Rapcore. The Nu Metal Rap Fusion.”. Il che ci fa capire che l’editore italiano ha operato una forzatura grossa come una casa, spacciando per una storia delle origini del nu metal, quella che al massimo ne potrebbe essere solo una parte. È stato poi messo in copertina il cantante degli Slipknot solo per attirare l’attenzione, quando in realtà nel libro degli Slipknot si parla solo per una ventina di pagine. Strategia commerciale?
2) È evidente che l’autore confonde il nu metal con il rap metal, non comprendendo che il fenomeno è molto più vasto, laddove il rap è solo una delle componenti del più vasto movimento di contaminazione che ha attraversato il metal negli anni ’90.
Messi per bene i puntini sulle i, non ci resta che passare all’analisi del libro.
L’autore dicevo spende le prime 50 pagine del libro per parlare delle prime contaminazioni tra rap e musica rock, partendo molto da lontano addirittura da Jimi Hendrix! Passando ovviamente per i giganti hard degli anni ’70. Però quasi subito arriva l’orgia fatta di Afrika Bambaata, Run Dmc, Public Enemy, LL Cool J e la Def Jam Records. Si arriva al punto di chiedersi se questa in realtà non sia una storia del rap. Dal punto di vista dell’architettura, il libro è ben strutturato con moltissime citazioni di musicisti evidenziate e con una ricca sezione fotografica.
Ad un certo punto si ha la svolta, quando si inizia a parlare di Red Hot Chili Peppers e Rage Against The Machine e della commistione tra metal e rap. Da lì in poi si arriva in territori più consoni al metallaro, e si parla anche dei Sepultura, prima di tornare ad Ice T e ai Body Count.
I capitoli successivi si addentrano un po’ di più nella materia con Nine Inche Nails, Ministry, White Zombie, Korn, Limp Bizkit, Kid Rock, gli Slipknot, ad alcuni dei quali è dedicato solo qualche trafiletto, mentre ad altri interi paragrafi.
Spesso però si ha la sensazione che l’autore abbia fatto un copia e incolla di vari articoli pescati chissà dove, certo ci sono molti stralci di interviste, però quasi mai si ha la sensazione di una rea e conoscenza della materia. Insomma una cosa è viverla la musica, un’altra è parlarne guardandola dal di fuori, ed è proprio questo il caso di Dick Porter.
Inoltre l’errore di fondo, ma questa è una mia teoria personale condivisibile o meno, è che l’autore non si preoccupi realmente di individuare le basi sociali di questa contaminazione, ma si limiti a prenderne atto solo dal punto di vista musicale, con un’operazione che sa di filologia retrograda, ovvero un sezionare gli artisti e gli eventi per individuare i punti di contatto, le commistioni e le fusioni.
Infatti gli ultimi due capitoli del libro ci danno ampiamente ragione, dove nel primo sono citati, come in un calderone, tutta una serie di gruppi, cui però non è dedicato lo spazio che si meritano, alcuni, mentre per altri si fa fatica a comprendere la sola idea che possano essere citati nella storia del nu metal, e parlo, in ordine sparso, di System Of A Down, Linkin’ Park, Papa Roach, Mudvayne, Static-X, Rammstein, Amen, P.O.D.
Nell’ultimo capitolo c’è poi una discografia commentata senza capo né coda. Potrete trovarci in ordine sparso i Led Zeppelin quanto i Blue Cheer, i Funkadelic quanto i Clash, i Crass quanto i Beastie Boys. Tutti gruppi senza i quali il nu metal non sarebbe mai esistito. Ovviamente anche qui ci sono chicche imperdibili che lascio a voi scoprire.
In definitiva questo è un libro dove comunque ci sono molte notizie e molte cose interessanti, ma che però non getta alcuna luce significativa sulla nascita di un genere. Un po’ come il punk, questo libro si fa grandi domande, ma si dà piccole risposte.
Articolo a cura di Luigi 'Gino' Schettino

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