Scream For Me: Ronnie James Dio

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Pubblicato il:24/04/2023
Di fronte ad un personaggio del calibro di RJDio (R.I.P.) ogni metallaro che si rispetti, sia che ascolti Death Metal sia che ascolti AOR, deve fermarsi un attimo e riflettere sulla grandezza e sull’importanza che questo piccolo/grande uomo ha avuto sulla nostra musica. Pur avendo militato in band di prim’ordine quali Black Sabbath, Rainbow e Heaven&Hell, è da solista che Dio ha dato il meglio di se e per questo è ricordato, con alle spalle una nutrita discografia che va da “Holy Diver” ( 1983 ) a “Master of The Moon” ( 2004 ).[/B]

Musica che univa elementi classix a power a speed metal e testi onirici che trasportavano l’ascoltatore verso mondi immaginari fatti da dragoni, spade, misticismo, viaggi nel tempo, demoni, nei quali il sogno era l’elemento dominante in cui rifugiarsi dalla realtà ( “I could have been a dreamer, cause dreams are what we are...” da “I Could Have Been A Dreamer” ) così come l’arcobaleno (“Rainbow In The Dark” ) simbolo di libertà.

HOLY DIVER (1983)

Già col debut “Holy Diver”. RJDio mette a segno uno dei suoi capolavori assoluti, in apertura la veloce “Stand Up And Shout” mette in chiaro le coordinate del disco, musica veloce ed epica sulla quale si staglia la voce quasi tenorile del cantante italo-americano- La title track è un potente mid-tempo, mentre “Gipsy” e “Caught In The Middle” si muovono su ritmiche hard rock prima di farci cullare dall’ipnotico e malvagio arpeggio di “Don’t Talk To Stranger”. Tutti i pezzi sono potenziali hits - "Rainbow In The Dark" lo divenne - miglior debut solista non era possibile anche grazie alla band stellare con Campbell alle chitarre, Bain al basso e Appice alla batteria, una lineup che accompagnerà negli anni RJDio.


THE LAST IN LINE (1984)

Se qualcuno si fosse chiesto se era possibile far meglio o almeno eguagliare “Holy Diver”, il secondo disco dei Dio fuga ogni dubbio. “The Last In Line” è un altro masterpiece che si apre con l’anthemica “We Rock”, un inno da cantare su un ritmo galoppante e che prosegue con l’epica titletrack un lento e possente brano che evoca gli scenari dell’Apocalisse. Sulla velocità quasi speed metal si muovono invece “I Speed At Night” e “Evil Eyes” che mostrano il lato più selvaggio dei Dio mentre la maestosa “Egypt, (The Chains Are On)” si muove su una melodia che rimanda ai Faraoni, alla sabbia del deserto e agli schiavi dell 'Antico Egitto. Disco monumentale come monumentale fu anche il tour imperniato sull' Egitto e che vedeva la batteria issata su una piramide a diversi metri di altezza e i laser uscire dalla chitarra.


SACRED HEART (1985)

Dopo i due album capolavoro precedenti, "Sacred Heart" passa un po' in sordina. Il disco vede per l'ultima volta Vivian Campbell alle chitarre e presenta alcuni ottimi brani, "King Of RnR" apre alla grandissima il disco con la sua galoppata dirompente e in sottofondo un'audience creata in studio per simulare l'atmosfera dei live, segue l'epica titletrack e la più sostenuta "Another Lie"; ci sono altri brani degni di nota come la coinvolgente power ballad "RnR Children" mentre altre tracce quali "Hungry For Heaven" o "Shoot, Shoot" sono sicuramente minori, "Just Another Day" risolleva le sorti col suo ritmo tirato e l'avvincente linea melodica. Bellissime come sempre le copertine dei dischi, qui abbiamo due mani gigantesche che tengono sospesa una sfera con all'interno un dragone, i temi fantasy si confermano il leitmotiv dei Dio.


DREAM EVIL (1987)

Io amo in modo particolare questo disco, tuttavia a giudizio di molti è un passo indietro verso sonorità più "commerciali" , magari strizzando un pò l'occhio al mercato americano. Vero o falso che sia, "Night People" apre alla grande il lavoro con il suo ritmo incalzante e la melodia ficcante, i brani sono cattivi, più incisivi rispetto al disco precedente e forse il contributo di Craig Goldy alle chitarre spiega il tutto. Sono molto presenti anche le tastiere e questo arricchisce il suono generale del disco che si muove fra mid tempo rocciosi, accenni di speed metal ("Overlove") e due stupende power ballads, capolavori di Dio, quelle "The Fools Sailed Away" e "I Could Have Been A Dreamer" che uniscono melodia, potenza, epicita', chorus e solos da brivido e prestazioni vocali fra le migliori in assoluto. Da segnalare che la Deluxe Edition contiene un inedito, l'oscura "Hide In The Rainbow".


LOCK UP THE WOLVES (1990)

Rowan Robertson non diceva niente a nessuno all 'epoca, eppure fu questo l'elemento distintivo del quinto album in studio dei Dio che vede peraltro l'intera lineup rivoluzionata con Simon Wright (Ac Dc) alla batteria e Jens Johansson (Stratovarius) alle tastiere Ma se questi ultimi due musicisti erano ben noti, non era lo stesso per il giovanissimo talento chitarristico Robertson che diede prova di grande abilità esecutiva nonché spalla di Dio nel songwriting.

Dal punto di vista commerciale il disco fu un flop (e difatti Dio decise di lì a poco di tornare nei Black Sabbath per l'ottimo "Dehumanizer") nonostante contenesse alcuni brani decisamente validi si pensi a "Wild One" un pezzo speed dal grande riff e dalla linea melodica accattivante. Sicuramente l'inizio dei '90 con gli stravolgimenti musicali che ne seguirono, contribuì all' insuccesso di un lavoro che si basava sul titpico classix metal alla Dio che arrancava un po' nell'affrontare l'irruenza del Grunge, tuttavia i brani buoni non mancano anche se il lavoro soffre di un eccessivo ritmo lento e pesante. Oltre alla già citata "Wild One" e alla sostenuta "Walk On Water" abbondano appunto brani lenti tra i quali spicca la sabbathiana "Evil On Queen Street", un lavoro da riscoprire ma sicuramente migliore di alcuni dei successivi album di Dio, curioso da ultimo il nuovo look da "street metal" di Dio ( date un'occhiata al video in calce ) che vede il singer abbandonare il cuoio e le ali da dragone per indossare più tradizionali jeans!


STRANGE HIGHWAYS (1993 )

Da questo album in poi la magia dei primi lavori pare scemare. Complice il mortale abbraccio del Grunge e del Nu Metal, la produzione dei Dio post 1990 vede un maggior ermetismo del songwriting e la scomparsa della linearità nelle composizioni che spesso si ingarbugliano fra tecnicismi chitarristici, iniezioni di groove, produzioni "fredde". La matrice epica-classix metal appare più sfumata anche se indubbiamente il trademark di RJDio non scompare del tutto ma l'ascolto di questo "Strange Highways" richiede una maggior attenzione rispetto ai classici degli '80 risultando pesante e articolato in molti passaggi. Innanzitutto la velocità scompare quasi del tutto a favore di un approccio più pachidermico (la titletrack, "Firehead", "Hollywood Black") e complesso ("Evilution"). La voce di Ronnie rimane l'elemento caratterizzante e peculiare e accompagna il ritorno nelle fila dell'amico Vinnie Appice alle drums e l'ingresso di Jeff Pilson al basso e Tracy G alla chitarra (encomiabile il suo lavoro lungo tutto il disco). I riff sono complessi e compressi, i solos ficcanti e ricchi di sovraincisioni, i brani pesano come macigni e sono molto heavy ("Pain", "One Foot In The Grave") o cupi (la drammatica "Give Her The Sun") mentre più accessibili sono il roccioso mid tempo "Blood From A Stone" e la (finalmente!) veloce "Here's To You" che rimandano ai Dio anni '80.


ANGRY MACHINES (1996)

Un disco controverso, figlio di una direzione musicale poco chiara. Non si capisce se sia stato una specie di esperimento di industrial metal dominato da riff secchi e freddi, privi di quella "passione" che da sempre ha contraddistinto la proposta del folletto americano. Le ritmiche sono complesse, articolate, con campionature ("Institutional Man", "Black", "Big Sister") o cupe ("Hunter Of The Heart", "Stay Out Of My Mind") e solo raramente ritroviamo il classix metal tipico come nella veloce "Don't Tell The Kids" - il pezzo più clssico del disco -. Sonorità grezze e violente, si, ma che non bastano a far emergere un disco che presenta troppe canzoni pesanti e legnose ("Dying In America") . Paradossalmente, ma non troppo, il miglior risultato ci viene offerto dalla struggente ballad voce/piano posta in chiusura "This Is Your Life".


MAGICA (2000)

"Magica" è un concept album che presenta, nell'edizione Deluxe, la lunga introduzione (più di 18 minuti) fatta dallo stesso Dio che ne spiega la genesi.
La voce narrante di Ronnie è coinvolgente come il canto, "Eriel", "Otherworld" i titoli dei brani assumono un significato, "Magica" è il nome di un libro di magia attorno al quale si snoda una storia futuristica - fantasy, e la musica? Rispetto ai due album precedenti, "Magica" è un passo in avanti, ma è un disco complesso, le canzoni sono lente e monolitiche, i riff di scuola sabbathiana abbondano e la voce di Ronnie ci esalta in "As Long Ad Is Not About Love" e la musica da opera sinfonica accompagna "Magica Theme" che apre la strada a "Lord Of The Last Day" un pezzo lento e potente che detta le coordinate del disco, non c'è la velocità dei primi album ma c'è l'impronta a fuoco del miglior Dio onirico e narratore. "Magica" è un capitolo imprescindibile nella discografia di Dio nonostante il suo ermetismo di fondo.


KILLING THE DRAGON (2002)

Gli anni 2000 si aprono con un RJDio che cerca di tornare alle origini suonando una musica meno cupa e più vicina al r'n'roll grazie anche all'ennesimo grande chitarrista fra le sue fila, Doug Aldrich."Killing The Dragon" sin dalla copertina ci riporta all'immaginario tipico del cantante italo-americano dominato da draghi, spade e temi fantasy e la titlertrack che apre l'album è una cavalcata d'altri tempi mentre la successiva "Along Comes A Spider" è un 4/4 roccioso e tirato come non si sentiva da tempo. Il classico Dio-style ritorna prepotente in "Scream" dominata da riff taglienti come lame, la chitarra di Aldrich disegna trame semplici ma dannatamente efficaci ("Better In The Dark") e la sezione ritmica formata da Simon Wright e dal redivivo Jimmy Bain schiaccia tutto come un carro armato. C'è sempre spazio per le ballad come "Rock And Roll" dominata da riff lenti e pesanti e dal un chorus di grande presa, e per mid tempo di sicuro effetto come "Push" o "Before Te Fall" con un bel solo di hammond mentre un tono epico e drammatico lo troviamo nella lenta e possente "Throw Away Children" con la voce di Ronnie che trasmette pathos e disperazione e con un solo di chitarra lungo e struggente. "Killing The Dragon" ci riporta un RJDio fresco ed energico ai fasti che gli competono.


MASTER OF THE MOON (2004)

Purtroppo è l'ultimo lavoro di Ronnie come solista (nel 2009 uscirà "The Devil You Know" ma con gli Heaven and Hell), il cantante ci lascerà a Maggio del 2010 dopo una battaglia contro il tumore.

"Master" è un ritorno alle sonorità epiche, classiche delle quali Dio è maestro e alcuni brani entrano di diritto nei migliori della sua discografia. La titletrack è un lento e possente brano pieno di epicità con la voce di Ronnie in gran spolvero, "The End Of The World" è un 4/4 roccioso con riff alla Ac Dc, ma è con "Shivers" e "Death By Love" che i mid tempo diventano trascinanti mentre le magiche vocals di Ronnie tornano in grande spolvero con la splendida ballad "The Man Who Would Be King", giusto il tempo per aumentare il ritmo con "Living A Lie".

Articolo a cura di Marco ’Metalfreak’ Pezza

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