Eric Clayton: le mille ferite di Eric

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Pubblicato il:19/10/2023

Saviour Machine sono un nome che procura ancora brividi in chi ha avuto la fortuna di seguire la band negli anni '90. In un periodo di cambiamento, sociale e musicale, la band capitanata da Eric Clayton ha saputo imporre un proprio inconfondibile marchio di fabbrica, a base di canzoni profonde e dense di significati, che probabilmente solo oggi fuoriescono in tutta la loro drammatica portata.
Conoscendolo da quei tempi, ed avendo avuto modo di parlare con lui in diverse occasioni, sono sicuro che Eric mal digerirebbe l’appellativo di “profeta”. Eppure basterebbe leggere alcuni suoi testi, accendere la televisione o leggere i giornali, e notare una sovrapposizione di eventi talmente palese da provocare sconcerto. Dopo una lunga pausa, Eric è tornato a far parlare di sé con il magnifico “A Thousand Scars”, ed è proprio da qui che iniziamo la nostra lunga chiacchierata. Mettetevi comodi, e buona lettura.

Ciao Eric, bentornato. Partiamo dal tuo ultimo lavoro “A Thousand Scars”, un album veramente impressionante per intensità e carica emotiva. Come hai composto queste canzoni, e quali sono state le “mille ferite” che ti hanno spinto a scrivere il disco?
Perfetto. Ancora una volta, grazie Alessandro: grazie per il tempo che mi dedichi, e grazie per il tuo supporto. Apprezzo che tu abbia la voglia di parlare della mia piccola carriera musicale. Soprattutto grazie per le tue gentili parole riguardo ad “A Thousand Scars”; significa tanto per me, anche perché è un album molto personale.
E’ sempre bello quando capisco che una persona è in grado di “connettersi” con quello che ho voluto esprimere nel disco. Mi hai chiesto in quale modo è stato composto e quali sono state le “ferite” che ne hanno ispirato la composizione. E’ molto complicato fare un riassunto, ma farò del mio meglio per spiegarlo.
L’ho scritto in diversi anni, cercando di massimizzare l’ispirazione che ho avuto qua e là nel tempo.
Ho vissuto in Utah per tre anni e mezzo, dal 2013 al 2017, durante i quali sono sparito completamente dal mondo musicale e da tante altre situazioni. Sono successe molte cose e, dopo un lungo periodo in cui non ho sentito alcun impulso artistico, essendo anche stato avvelenato dall’industria musicale che mi ha paralizzato come musicista, in Utah mi sono sentito finalmente nella felice sensazione di poter nuovamente respirare. Ho avuto modo di tornare a pensare, finche’ il mio istinto musicale è tornato a bussare alla porta.
Penso che tutto sia ricominciato da quel momento: allo stesso tempo, mi sono innamorato di una donna tedesca, e mi sono trasferito qui in Germania. Anche lei ha contribuito in maniera determinante alla mia rinascita. Dopo che sono venuto a vivere qui, con quella che poi sarebbe diventata mia moglie, ho comunque continuato a tenermi in contatto settimanalmente con mio fratello Jeff, assieme al quale ho realizzato il tributo a David Bowie. E’ lì che ho iniziato a maturare idee concettuali per quello che poi sarebbe diventato “A Thousand Scars”, proprio assieme a Jeff ed un altro caro collaboratore di nome Adam Pederson: ti parlo di una fascia temporale che può essere compresa tra il 2017 ed il 2019. Infatti le songs del disco hanno preso corpo durante questi due anni, durante i quali ho messo assieme una band chiamata Eric Clayton & The Nine, con cui ho suonato pure una manciata di show dal vivo. Il gruppo The Nine è in realtà diventato una parte essenziale nell’esecuzione di “A Thousand Scars”, e nonostante la stragrande maggioranza dei pezzi fosse già stata composta, sviluppata ed arrangiata, sentivo il bisogno dell’apporto di altri musicisti. Volevo infatti realizzare un album che, per quanto possibile, sembrasse il frutto di una vero e proprio gruppo. Poi è avvenuto l’incontro con Devon Graves degli Psychotic Waltz e, nonostante fossimo entrambi della California, i nostri cammini non si erano mai incrociati fino ad allora, se non per l’esperienza live The Theater Equation (Ayreon) nel 2015.
Con Devon è come se avessi scoperto di avere un fratello da un’altra madre, e non avevo idea che fossimo cresciuti solamente a due ore di distanza l’uno dall’altro. Non è nemmeno mai accaduto che Saviour Machine e Psychotic Waltz, nonostante fossero usciti più o meno nello stesso periodo, si incontrassero personalmente magari durante un tour. Io e Devon abbiamo collaborato per il David Bowie tribute, poi gli mandai dei demo embrionali che avevo registrato per “A Thousand Scars”: c’era solo una persona di cui mi fidavo per la realizzazione dell’album, e quella persona era definitivamente lui. Ed il resto è storia, amico mio.
Vengo alla parte finale della tua domanda, ovvero quelle “ferite” per le quali ci sarebbe una storia di circa quindici anni da raccontare. Sull’album ho anche fatto una specie di sinossi generale, ma anche canzone per canzone, per far capire all’ascoltatore da dove venisse quel particolare sentimento che ho espresso nei brani. Una vita intera di “ferite” che andava raccontata, ed allo stesso tempo una storia che deve essere sviscerata per me stesso, per i miei cari e la mia famiglia, ma anche per gli amici e per la gente che ha amato la mia musica. Vedo infatti la “legione” Saviour Machine come una famiglia estesa, che ci ha sempre supportato in modo leale negli alti e bassi della nostra carriera.
Questo album è anche per loro: per spiegare le motivazioni della mia assenza dalle scene così prolungata, decisa peraltro in maniera piuttosto traumatica e drammatica. Ho voluto spiegare perché ho deciso di andarmene per un bel po’. Grazie per la tua comprensione, fratello.

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Hai deciso di vendere direttamente “A Thousand Scars” dal tuo sito ufficiale. Ti ritieni soddisfatto del responso da parte del pubblico?
Si, infatti abbiamo deciso di realizzarlo in modo indipendente. La prima stampa è stata di 600 copie, e la seconda di 300. Ne sono rimaste solamente 9, quindi posso dire che il disco è andato esaurito. A parte alcuni esemplari solamente della “gallery edition”, posso dire che il mio target è stato centrato e che mi posso ritenere soddisfatto dell’accoglienza riservatagli. Abbiamo fatto una pubblicità essenzialmente casalinga, se mi passi il termine, sia per la prima che per la seconda stampa, le quali ovviamente includono entrambe la copia fisica del cd e del doppio LP. Speriamo di produrne altre in futuro, infatti stiamo già pensando ad una terza edizione.
Un grande grazie a tutti coloro che hanno supportato “A Thousand Scars”, che rappresenta un autentico monumento nella mia vita, e vedere che ha toccato la sensibilità e l’anima di così tante persone rappresenta una delle gioie più importanti della mia esperienza musicale e non. E’ bellissimo sapere che una testimonianza così potente ed emozionante sia stata condivisa e compresa.
Come hai già detto, oggi vivi in Europa, precisamente in Germania. Devo confessarti che sei una delle poche persone che seguo sui social, e spesso mi imbatto in tue foto in cui sembri particolarmente felice, con tua moglie, il tuo cane, e con gli eventi di questa tua nuova fase della vita. Ti chiedo se ti mancano gli Stati Uniti.
Si, fratello. Vivo qui ormai da alcuni anni, e sono molto felice: sentire che anche tu abbia notato questo aspetto mi fa molto piacere. Ho molte cose per cui sentirmi sereno. Mia moglie è fantastica, e pure il mio cane!
Ci amiamo e viviamo, semplicemente la perfetta “velocità” a cui dovremmo tutti viaggiare. Per quanto concerne l’America, certo che ho nostalgia di casa, anche se attualmente sono disgustato riguardo al mio paese d’origine. Più che il deserto, i paesaggi, e tutte le bellezze con cui sono cresciuto, mi mancano gli affetti. Ho una famiglia piuttosto estesa che peraltro vive sparsa per quell’enorme nazione che sono gli USA, ed allo stesso tempo io mi trovo qui ad un oceano di distanza da loro.
E’ dura soprattutto d’inverno, nei mesi freddi qui in Germania, durante i quali sento particolarmente la mancanza del “mio” deserto. Penso al mio nipotino che cresce, a mia madre e mio padre che invecchiano, alle mie figlie Kyra e Kashmir, ed a mio fratello Jeff: loro sono la mia anima sempre, in qualunque posto mi trovi. A proposito, proprio in questi giorni, Kashmir si trova in Italia: curioso che io e te stiamo parlando adesso, mentre lei è lì.
Comunque, a Dio piacendo, potrebbe anche essere che io e mia moglie, assieme al suo meraviglioso cane, potremo trasferirci negli States. Sarebbe un bel posto per ritirarsi definitivamente!

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Ho sempre seguito i Saviour Machine fin dall’inizio. Tu hai sempre professato la fede cristiana, eppure i testi che scrivevi erano ben lontani dal classico “amore universale” nello Stryper mood, tanto per capirci. Erano invece lyrics molto “dure”, spesso piene di riferimenti orrorifici, ma in ogni caso ispirati alla Bibbia ed in particolare al libro dell’Apocalisse. Pensi che anche il cambio di decade, dagli spensierati 80’s ai depressi 90’s, abbia influenzato il tuo modo di comporre? Oppure il tuo approccio è stato sempre e comunque differente, indipendentemente dalle circostanze temporali?
Fratello, intanto grazie! Grazie perché sapere che esistono persone che ci seguono da così tanto tempo, ovvero trent’anni, è una cosa che ti fa dire semplicemente: wow! Ovviamente sono un uomo di fede e sono sempre stato aperto su questo argomento.
Come hai già detto tu fra le righe, ho sempre sentito che il mio ruolo non fosse quello di uscire là fuori e fare la “cheerleader”. Però questa è una domanda interessante, e penso che nessuno me l’abbia mai rivolta, soprattutto nel modo così specifico in cui mi hai esposto l’argomento.
Gli 80’s che virano nei 90’s, assieme al cambio culturale che ne conseguì: amico mio, è un nuovo ed affascinante modo di guardare le cose, e devo confessarti che non ci avevo mai pensato prima di oggi. Per farmi un quesito del genere, evidentemente anche tu devi essere stato testimone di quel periodo. Io, Jeff e Dean siamo sempre stati influenzati dalla cultura “dark”: parlo di musica, film, letteratura e tutto ciò che ne consegue. Anche noi tre venivamo dagli anni 80, tuttavia la fondazione dei Saviour Machine, soprattutto dal punto di vista lirico, è sempre stata così forte ed intensa da farci sembrare come un elemento unico ed originale. Il nostro era materiale molto “heavy”, ed in quegli anni non c’erano così tanti gruppi che andassero oltre al solito motto “sex, drugs & rock’n’roll”. Ti ripeto: è una domanda molto interessante ed anche difficile da affrontare, però ti ringrazio di avermela posta.
Saviour Machine I” e "Saviour Machine II” sono ormai considerati dei classici. La band venne immediatamente inclusa nella scena metal nonostante, come hai del resto appena confermato, foste una specie di entità a parte. Vi siete mai sentiti limitati da questo fatto, ovvero che la maggior parte del vostro pubblico fosse composto da fans dell’hard’n’heavy?
Fratello, questa è un’altra ottima domanda: i miei complimenti! Intanto è sempre bello sentire parole di stima riguardo ai primi due album dei Saviour Machine: sapere che rappresentano ancora così tanto per molte persone è una enorme soddisfazione.
Riguardo alla scena metal ed alla nostra enigmatica posizione, siamo sempre stati immensamente grati, intanto di avere una nostra collocazione. E secondariamente che quel posto fosse all’interno del movimento metal, ovvero la fascia di pubblico più leale e fedele in assoluto sul pianeta! In fondo, la nostra è stata un piccola carriera artistica, e non ci siamo mai sentiti limitati dal fatto di essere definiti una metal band o symphonic metal band. In realtà non è mai esistito un termine esaustivo per definire i Saviour Machine: a volte eravamo più heavy, altre più gothic, prog o hard. Tante cose mescolate insieme, che tuttavia non mi impediscono di essere tremendamente riconoscente per essere stato apprezzato dal pubblico metal. Non tutti i metallers ci hanno amato, ed è una cosa normale che non si possa piacere universalmente; tuttavia quella fetta di pubblico che ci ha sempre seguito è sicuramente la più fedele che si potesse desiderare.
Ti ripeto, il fatto di essere associati alla scena metal non è mai stato un problema. Se devo essere totalmente sincero con te, fratello, le uniche limitazioni le ho avvertite quando venivamo inglobati in quello che era definito il movimento americano del Christian rock o del cosiddetto “white metal”. L’ho sempre trovato un fattore di chiusura mentale, a differenza dell’inclusione nella scena hard’n’heavy.

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Guardando agli eventi degli ultimi anni, partendo dalla pandemia ed arrivando fino alle guerre in Ucraina ed Israle, alcuni tuoi testi di 30 anni fa potrebbero essere considerati profetici. Ricordo che in una nostra vecchia intervista, tu usasti il paragone della rana nell’acqua, che non si accorge di essere bollita viva finche’ non muore. In che modo un cristiano come te vive questi tempi? Con angoscia, con paura, oppure alla fine la fede prevale sempre?
Stiamo sicuramente vivendo in un periodo strano, fratello. Non saprei nemmeno dove iniziare per rispondere alla tua domanda, tuttavia ci proverò.
Penso di essere un uomo sensibile e dalle ampie vedute, ma cercherò di tenere una posizione oggettiva riguardo a quanto sta accadendo. Sento che negli ultimi 22 anni, con particolare riguardo agli ultimi 7/8, le cose stiano completamente andando fuori controllo. Il caos e la paura regnano ad un livello mai stato registrato nella storia dell’umanità. Quella che vediamo ed a cui assistiamo quotidianamente è pura e semplice pazzia, un moderno fascismo strisciante che sta prendendo piede nella cultura generale.
Vedo la paura che si insinua sempre più profondamente nella gente, specialmente negli ultimi anni. Le persone sono spaventate, ed i politici hanno capito che è molto facile vendere la paura: che si parli di destra, sinistra, sotto o sopra, non cambia niente. Certo, è più semplice spacciare paura che non amore e compassione, ed attualmente stiamo vivendo in un mondo che sta perdendo completamente l’equilibrio, assieme all’arte della conversazione e del confronto naturale tra esseri umani. E’ terrificante. Potremmo fare decine di interviste su questo argomento, ma non ne verremmo fuori ugualmente.
Fratello, io credo semplicemente che le opzioni siano due: si può scegliere di restare nella paura ed odiare il prossimo, oppure vivere ed amare. Persone sensibili come noi lo sentono: sentono che nell’aria c’è qualcosa di profondamente sbagliato.
Una domanda più “leggera”, allora. Se avessi una pistola puntata alla testa, opteresti per il primo oppure per il secondo album dei Saviour Machine? Personalmente non riesco a scegliere, anche perché quando ascolto canzoni come “Legion”, “A World Alone”, “American Babylon”, “Ascension Of Heroes” e “Love Never Dies”, l’emozione di oggi è la stessa di allora.
Brother, grazie per le tue parole riguardo ad entrambi gli album, e per le canzoni che hai citato in particolare, che rientrano fra le preferite anche per me. Ho sempre cercato di trovare un bilanciamento tra mid-tempo e parti più soffuse, che potessero creare un impianto narrativo ed emozionale particolarmente intenso. Se mi puntassero quella famosa pistola alla testa, non sono sicuro ma credo che potrei creare un bel “greatest hits” con i pezzi inclusi in quei due dischi.
Sia “I” che “II” hanno un posto speciale nel mio cuore, ed è per questo che non riesco veramente ad effettuare una scelta. Sicuramente senza uno non potrebbe esistere nemmeno l’altro, e questo è un dato di fatto.
Il primo album è stato composto in un periodo piuttosto lungo, e ti parlo circa di 3 anni e mezzo, anche perché dovevamo trovare la strada per affermare una nostra identità. “Saviour Machine II” fu scritto invece in modo veloce, circa dodici mesi, e la sua intera narrazione è ispirata dal caos, dal confronto, e dallo scontro culturale a cui la band stava andando incontro in America proprio a causa della realizzazione di “Saviour Machine I”.
Mesi di follia, durante i quali la band è diventata una delle realtà più controverse dell’intero movimento cristiano. Per questo ti dicevo che i due lavori sono così connessi fra loro, proprio perché l’intero concept del secondo lavoro deriva dalle reazioni relative al primo.

Parliamo un attimo del disco tributo a David Bowie. C’è un criterio che hai seguito per scegliere i pezzi, oppure hai semplicemente optato per quelli che ti piacevano di più?
La grandezza di David Bowie, anche solo negli anni '70, è talmente monumentale che non può essere descritta a parole. Quello che ha creato e sperimentato in quella decade, rompendo letteralmente le barriere tra i generi, ha aperto le porte ad intere generazioni di band e musicisti. D’altra parte, stiamo parlando di uno degli artisti più influenti del secolo.
Io e Jeff sapevamo che sarebbe stata una grande responsabilità affrontare il suo repertorio, infatti abbiamo affrontato la cosa molto seriamente. Ci sono alcuni brani sicuramente molto conosciuti, ma per la stragrande maggioranza siamo andati in profondità, optando per songs che potessero rappresentare David Bowie in quel determinato periodo. Come nel caso di “Five Years” da “Ziggy Stardust”.
I Saviour Machine gli devono molto, anche nella creazione di quelle che erano le nostre narrazioni apocalittiche, e sia io che Jeff ne siamo perfettamente consapevoli. Come ti dicevo, non ci siamo limitati alla superficie, ma abbiamo proprio cercato di puntare all’essenza.
Hai parlato di una specie di intossicazione ed avvelenamento a causa dell’industria musicale, eppure noi siamo ancora qui che parliamo di Saviour Machine e del tuo album “A Thousand Scars”. Evidentemente, business o non business, sei e siete riusciti a lasciare un segno indelebile. Penso che sia la massima aspirazione che possa avere un vero artista.
E’ così. Si tratta di un sentimento profondo e sincero che avverto dentro, molto umilmente. Sapere che c’è ancora così tanta gente che si appassiona ai Saviour Machine, alla mia ed alla loro musica: beh, devo dire che è qualcosa che mi lascia letteralmente a bocca aperta ogni volta in cui tocco l’argomento. Come hai detto tu, è qualcosa che si spinge oltre alla soddisfazione personale, ed entra nella sfera della gratitudine. Non puoi mai aspettarti una cosa simile, soprattutto quando pensi che certe canzoni sono state scritte in un garage, qualcosa come 33 anni fa. Se penso che c’è gente che le canta tuttora in ogni parte del mondo, rimango francamente senza parole.

Proprio per questo motivo, mi sento di rivolgerti un’ultima domanda. Credi che una reunion dei Saviour Machine sia possibile in futuro?
Non ho problemi a rispondere a questa domanda oggi, almeno rispetto a quello che poteva essere anche solo 3, 4 o 5 anni fa. Tutto quello che posso dirti, anche riguardo al fatto che cade il trentesimo anniversario del nostro primo album, è che si sta chiudendo un cerchio in una specie di modo inaspettato. Infatti io, mio fratello Jeff e Dean Forsythe ci stiamo sentendo molto più frequentemente rispetto a quello che eravamo soliti fare da tanto tempo a questa parte: e quindi chi lo sa?
Non voglio annunciare alcuna preview o pubblicare nessun teaser a riguardo, anche perché non mi piace prendere in giro la gente o dare false aspettative. Posso solo affermare con certezza che attualmente i tre membri fondatori dei Saviour Machine si stanno frequentando assiduamente, e che vogliamo continuare a farlo anche semplicemente come amici o fratelli. Vedremo ciò che accadrà.
Nel frattempo, grazie per il tempo dedicatomi e grazie ai vostri lettori. Cerchiamo di essere gentili gli uni con gli altri, perché c’è troppa energia negativa in giro per il mondo. God bless you!



Tutte le immagini contenute nell'articolo sono state fornite direttamente dallo stesso Eric Clayton per uso promozionale libero e gratuito
Articolo a cura di Alessandro Ariatti

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