Sembrerà strano ma in circa 20 anni di carriera nel giornalismo musicale non mi era mai capitato di partecipare ad una listening session in studio di registrazione. Fortunatamente questo piccolo tabù personale, vissuto fino ad oggi con una certa "sportività", è stato interrotto domenica 27 ottobre pomeriggio. Questo avvenimento "epocale" ha coinciso con l'invito di
Gianni Della Cioppa, una delle voci più importanti della critica musicale italiana di sempre nonché fondatore dell'etichetta Andromeda Relix, per la presentazione del nuovo album dei
Blind Golem da egli pubblicato.
Così mi sono recato nel primo pomeriggio negli Opal Studios di San Giovanni Lupatoto, una delle aree più fortunate della provincia veronese. La città è infatti piena di servizi, fuori dalle logiche negative del centro di Verona. L'ingresso dello studio avviene dal garage. Mentre scendo con i colleghi di Rock Hard, Metallus, Back in Rock e Suono Ibrido respiro da subito nell'aria - o meglio la vedo con i miei occhi sotto forma di custodie di chitarra e di altri ammenicoli musicali - l'abnegazione di
Fabio Serra, proprietario dello studio nonché produttore del nuovo album della band settantiana veronese. Come da introduzione successiva di Gianni Della Cioppa, i Blind Golem sono il gruppo che fino ad oggi ha venduto di più per la sua
Andromeda Relix, con il precedente disco intitolato "
A dream of fantasy". Un risultato che sarà sfuggito sicuramente agli ascoltatori generalisti, obnubilati dalle stories instagram di Fedez e dai successi dei tre tenori, ma che è un elemento importante per chi si informa davvero sulla musica.
In questo caso siamo al cospetto di un hard rock settantiano piuttosto canonico invero, sulle orme degli
Uriah Heep senza se e senza ma. Undici i brani ascoltati per 59 minuti di durata, che in realtà si sono trasformati in un'ora e mezza e oltre in forza delle domande poste per farci spiegare alcuni aspetti di quanto si stava ascoltando e di qualche birra condivisa.
Inutile dirvi che ascoltare un album come questo direttamente nello studio in cui è stato registrato, con le casse che lo stesso Fabio Serra ha utilizzato per mixare il lavoro, è fantastico. Tanto che già durante la consegna del disco, con la sua apprezzabile copertina e artwork in linea con quanto già proposto nel primo lavoro, già sapevo che i miei dispositivi non avrebbero potuto competere con questo momento d'ascolto. Così me lo sono goduto fino in fondo, fin dalla prima canzone, che parte senza alcuna intro ed entra subito nel vivo del sound, con tutti gli strumenti messi sul piatto, tastiera compresa.
"
E' un album che suona poco italiano", ha detto Serra al termine della sessione, "
se nonché prima di iniziare le registrazioni mi si sono bruciati i monitor Genelec, che però ho sostituito con quelli della IK Multimedia, una ditta di Reggio Emilia, potendo così testimoniare quanta bravura ci sia nel nostro Paese.
Le chitarre sono state registrate tramite un'interfaccia creata dalla Red Seven di Este (PD). Il basso, un Fender Jazz, è entrato nel Sansamp Geddy Lee". Ha poi dichiarato Silvano Zago, chitarrista, "
per i soli ho utilizzato la mia Les Paul Custom del 68, per slide una Junior".
La perizia tecnica è fuor di dubbio, con un basso davvero iper dinamico suonato da
Dalla Riva (già nei Bullfrog come Silvano Zago) e debitamente trattato nel mix di modo da dare sfumature al tessuto sonoro. La batteria suonata da
Mantovanelli, ex dei doomster
All Souls Day, accompagna debitamente con fill e ritmiche ben cesellate il lavoro chitarristico di Zago, che qui tocca delle corde inusitate. E non mi riferisco solo al fatto che abbia suonato anche una 12 corde e chitarre acustiche registrate ottimamente, ma proprio per la capacità di rendere accattivanti riff non necessariamente originali. Una parola a parte va spesa poi per gli assoli, trattati con sapienza e ben fatti, compresi quelli di tastiera e synth da parte di
Simone Bistaffa.
Un plus quello dell'utilizzo di così tanti suoni differenti, che da una parte mette l'accento sulla capacità di Serra di dare un quid al tutto e dall'altra sulla voglia di sperimentazione, per quanto minima nei confronti di un genere in cui, comunque, la fedeltà è richiesta. Farei un torto a non parlare però della voce di Andrea Vilardo, con un'estensione invidiabile e altrettanta personalità timbrica. Una sorpresa per me, meno per i fan
Ora...il
track by track:
GorgonIntro di batteria poi partenza immediata, con tutti gli strumenti assieme. Un brano il cui riffing fa muovere la testa, mentre la voce di Vilardo si fa subito sentire. La parte più degna di nota è quella in cui la tastiera a là
Jon Lord (
Deep Purple) costruisce un solo davvero ben fatto.
Some kind of PoetRiff stoppato di chitarra per la strofa e grande ritornello, con un'apertura sottolineata dai cori che, come svelato da Fabio Serra, sono stati cantati da 4 persone. Un'altra particolarità del disco si nota qui, con il basso che spesso esce dal mix non adagiandosi solo a tenere la ritmica. Bello il solo di chitarra di Zago, ma ancora più bella la parte a 3/4 della canzone in cui l'arpeggio di chitarra lancia l'assolo di tastiera, prima che il brano cavalchi fino alla fine.
Endless runQuesto è il primo di due brani comporto da Silvano Zago, a differenza degli altri nati dalla penna di Dalla Riva. All'intro di organo fa da contraltare un suono di tastiera che mi ha ricordato certe cose della
Pfm, tipo Impressioni di settembre. Quest'ultimo sound s'innesta su tutti gli altri strumenti, componendo un brano riuscito.
Ancora da sottolineare i bei cori con gli Uriah Heep sempre palesi riferimenti. La sensazione generale, complici i tappeti di tastiere che si inseriscono su riff ampi e non intensi, è di un pezzo trasognante.
Man of many tricksChitarra e voce sono sincrone fin dall'inizio. Di lì a poco mi accorgerò che questo "trick" viene ripetuto anche nel resto del brano, dandogli una particolarità e sublimando altri momenti, rendendoli catartici. Questo dualismo s'inframmezza poi con i cori che nobilitano il ritornello, ancora una volta. Interessante lo stop con un suono di chitarra effettatissimo e soprattutto - a seguito del solo della sei corde - il suono cinematografico del moog. Veramente un colpo "di teatro" apprezzabilissimo, così come al solito la qualità del solo stesso.
How tomorrow feelsUn pezzo che si apre con potenza, con tutti gli strumenti uniti nel dichiarare con sempre più forza l'amore per gli Uriah Heep e l'hard settantiano. Qui la differenza sostanziale con i pezzi precedenti è la voce di Dalla Riva, che pur mostrando meno estensione del collega non sfigura, e anzi dona maggiore dinamica all'intero lavoro variando un po' il "menù".
Il riffing è organico, gli stop con l'organo sugli scudi e le ripartenze relative riuscite. Bello il contraltare della tastiera nella strofa, con un effetto quasi beatlesiano. Ottima poi la sfumatura della chitarra acustica che si inserisce sulle ripetizioni sulla strofa per donare più vivacità al tutto.
Da segnale il sound dell'assolo di Zago, sempre ottimo, dolcissimo, anche qui quasi beatlesiano, quasi Something, con i dovuti distinguo anche afferenti ai generi proposti.
Golem!E arriviamo a metà lavoro e nello specifico al brano più lungo nonché quello che in primissima battuta mi è forse piaciuto di più. All'intro segue la strofa terzinata e irresistibile, con momenti in cui alla voce viene aggiunto parecchio eco e con le tastiere a fare la parte del leone. Mentre gli inserti di cowbell aizzano nei vari stop'n'go, il brano continua a scorrere L'ultimo minuto è affidato in particolare all'acustica, con un solo di tastiera sempre riuscito con un sound pseudo horrorifico, che non sfigurerebbe in una pellicola di
Argento.
Just a feelingAll'inizio molto lieve fa da contraltare una strofa composita, con accenti tra tastiera e voce, con una parte in wha sotto. Orrorifico il sound del moog ai 3,20, prima che torni la tranquillità enunciata da un solo evocativo e con note lunghe. Il successivo ingresso dell'organo, con la voce a enunciare le parole, si interrompe con il reingresso degli strumenti e la riaffermazione da parte del basso di un ruolo che in quest'album ha dall'inzio alla fine, quello di costruttore di momenti enfatici, e non solo di accompagnatore. Brano di Zago.
It happen in the woodsQuesto è stato un momento in cui Dalla Riva ha voluto spiegare:
"E' una storia di streghe narrata da Marie Coleridge, la voce dell'intro è di mia moglie". Ed è anche l'unico testo riportato nel libretto. Da segnalare l'evocatività del pezzo e ancor di più il suono del synth verso i 3 minuti.
Questo è il secondo brano cantato da Dalla Riva.
Born liarsEd eccoci al singolo. E non ci vuole molto a capire perché sia stato scelto questo brano quale primo rappresentante dell'opera: tastiera molto dinamica, fill di chitarra nella strofa ogni 4 battute a dare un quid unico, andamento saltellante. Diretto ed efficace, con il titolo ripetuto 4 volte ogni ritornello. Molto bella.
Green eyeFallito il tentativo di coinvolgere il cantante degli Uriah Heep dal 1986
Bernie Shaw i Blind Golem hanno comunque voluto terminare questo demo del '72 composto da
Ken Hesley, il tastierista storico della band loro riferimento presente con il suo strumento sul primo album dei veronesi. "
Un tocco di classe" sostiene Gianni Della Cioppa. Difficile dargli torto.
Coda...entering the WunderkammerLa chiusura è affidata alla ripresa di Golem! con organo e voce, con quest'andamento singhiozzante, poi compiuto dall'ingresso del resto degli strumenti. Se non fosse per i versi della voce si potrebbe definire "strumentale". Da segnalare il lunghissimo solo, che parte poco prima del minuto e mezzo e arriva fino al termine.