Manilla Road - Orgoglio Undergroud

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Pubblicato il:09/01/2025
Ritengo sia personalmente molto difficile definire una passione, qualunque essa sia, dall'ascoltare la propria musica preferita, al guardare un film, e mille altre ancora. Non nel semplice atto del definirla, ma nel spiegare quali siano le sensazioni di appagamento, gioia, soddisfazioni e molte altre emozioni che ci portano a impiegare del tempo per investirlo, appunto, in queste passioni. Restringendo il cerchio alla musica però, la questione si complica ulteriormente quando c'è da definire come sia possibile che un semplice album possa scaturire in noi emozioni differenti, che sia capace di trasportarci in dimensioni che vanno fuori dalla semplice soddisfazione di ascoltare un bel pezzo, ma di farci pensare, di saper creare delle immagini nella nostra mente, di restare nella memoria, e non di sparire dopo pochi giorni, o peggio minuti, come spesso accade con un certo tipo di musica usa e getta oramai popolare non solo fuori dell'ambito metal, ma anche al suo interno, senza far nomi so già che alcuni avranno capito a chi faccio riferimento. Una delle figure che meglio ha saputo rappresentare la prima definizione di ciò scritto finora è senza ombra di dubbio quella di Mark Shelton, chitarrista, leader e fondatore assieme a Scott Park (basso), Robert Park (chitarra), e Benny Munkirs (batteria) nel 1977.

I Manilla Road si sono guadagnati un nome di spicco nel panorama Epic Metal, ma non solo, assieme ai decisamente più blasonati Manowar, parlando strettamente in termini di vendite, almeno nella loro seconda parte di carriera, Virgin Steele, Omen, e Cirith Ungol. L'unicità del gruppo di Wichita, nel Kansas, è stata quella di esser riusciti a proseguire nella propria carriera in un equilibrio musicale esemplare, sempre coerente e logico, senza mai allontanarsi troppo dalle proprie origini e da ciò che erano i temi a loro cari, perdendo raramente la bussola, come accaduto soprattutto ai primi due nomi citati sopra.



La storia dei Manilla Road comincia come quella di tante band, e di tante altre che verranno, un gruppo di quattro ragazi, poi divenuti in tre con il veloce abbandono di Myles Sype alla batteria per il demo ‘Underground' del 1979, appassionati di heavy metal che saranno capaci di tirare fuori il proprio talento con una veloce e rapida crescita. Musicalmente parlando, il debut album ‘Invasion' del 1980 mostrava già alcune delle peculiarità della band di Wichita, nascoste però da una preponderanza di sonorità psychedelic rock e progressive, debitrici verso guppi come Jefferson Airplane e Rush, ma come detto le potenzialità c'erano. Se una ‘The Empire' è rimasta ad esempio nella setlist anche anni e anni dopo, con il suo andamento lento ma con un guitar work di impatto, insieme a ‘Cat And Mouse', veloce e che già mostrava come Shelton fosse a suo agio nel comporre canzoni dai riff pregni sia di impatto, ma al contempo di un tono epico assopito, ma presente, una ragione di fondo ci doveva essere. Una passione verso la musica che, nonostante demo inviati ad ogni casa discografica, anche le più minori, al tempo presenti, non trovò mai un reale interesse al punto da spingere i Manilla Road a fondare autonomamente la loro label, la Roadster Records, per proseguire il loro sogno. Sogno che andò avanti con il successivo ‘Metal' del 1982, ed è da segnalare che tra la release del precedente disco e questo di cui andiamo a parlare, tutto il materiale composto non vide mai vita fino alla pubblicazione di ‘Mark Of The Beast' del 2002 dove fu (finalmente) messo al suo interno, ristampato poi nel 2016 con il titolo di ‘Dreams Of Eschaton', al quale vennero aggiunti i tre pezzi del sopracitato demo ‘Underground' e ‘After Midnight Live', un mini album live in studio del 1979. Anche qui il discorso non cambia di troppo, ma le differenze cominciano a farsi più sostanziali, l'aura psichedelica comincia piano piano a diradarsi per fare spazio a un heavy metal molto più propenderante, come nella iniziale ‘Enter The Warrior', che dal punto di vista dei testi comincia ad avere più vicine a sé tematiche tipiche dell'epic metal, passando alla più sbarazzina, se vogliamo, ‘Out Of Control With Rock ‘N Roll'. Permangono quelle atmosfere più leggere, ma non per questo banali, voglio sottolinearlo, come nella Titletrack o in parte su ‘Queen Of The Black Coast', ma si hanno anche veri e propri pezzi da novanta, talvolta troppo dimenticati come ‘Cage Of Mirrors' un gioiello di proto epic metal (passatemi il termine) che nei suoi quasi nove minuti di durata ha tutto; momenti più progressive, altri più all'insegna di un metal battagliero e fiero, e un assolo che mostra come il buon Mark non fosse per nulla immaturo all'epoca, o perlomeno prima dei migliori lavori dei Road, anzi tutto il contrario.



Il 1983 è l'anno della svolta, non tanto dal punto di vista della popolarità che comunque stava crescendo per il gruppo, ma musicalmente, dato che vengono messe da parte tutte quelle influenze space rock/progressive che avevano contraddistinto i dischi sopracitati, per far spazio a quello che a conti fatti è una pietra miliare del genere Epic, oltre ad essere una gemma troppo poco speso citata nel panorama metal in generale, ‘Crystal Logic'. La voce di Shelton si fa molto più nasale e si contraddistingue come una delle principali caratteristiche dei Road da qui in avanti, con tutte le accezioni negative che possono seguire (io per primo ebbi alcune difficoltà ad approcciarmi alle sue vocals, nei primi ascolti). L'album non conosce punti bassi, spaziando dalle veloci ‘Necropolis' e ‘The Ram', la prima in particolar modo diventata velocemente uno dei pezzi più amati e richiesti dai fan, alla magnetica e doomeggiante ‘The Riddle Master', dalla Titletrack con il suo assolo ipnotico e pregno di un fascino misterioso, finendo con la stupenda ‘Dreams Of Eschaton' che sugella un disco sicuramente non perfetto nella mera teoria (la frizzantina ‘Feeling Free Again' , comunque sufficiente, stona un pizzico nell'ascolto complessivo), ma che a livello di cuore e passione non conosce eguali. Basti pensare che Shelton rifiutò categoricamente l'offerta di Mike Varney, all'epoca produttore discografico e fondatore della Shrapnel Records di cancellare tutto l'album fatta eccezione per l’intro iniziale e di riregistrare il tutto sulla scia di ‘Flaming Metal System' per aver un contratto con l'etichetta statunitense. Le motivazioni del rifiuto furono una sensazione di tradimento verso la propria fanbase, e questo già ne dice molto su quanto la musica dei Road, ma soprattutto l'attitudine e la testardaggine del loro leader, fosse più di quanto sincero e trasparente.



Le vendite di ‘Crystal Logic' vanno bene, oltre le aspettative iniziali, a tal punto da garantire alla band una firma con la Black Dragon Records, label che tra le tante ha il merito di aver dato alla luce uscite come ‘Epicus Doomicus Metallicus' dei Candlemass, oltre che altri gruppi come Liege Lord, Savage Grace, e Chastain. Il passagio a un heavy metal molto più diretto però porta all'abbandono di Rick Fischer alla bateria, prontamente rimpiazzato da Randy Fox, che diverrà per questa prima parte di carriera, oltre che per essere quella più famose e classica, l'elemento che più di altri riuscirà a portare i Road verso sonorità, passatemi il termine, decisamente più pesanti rispetto agli esordi. Ne è la prova ‘Open The Gates' del 1985, che contiene al suo interno vere e proprie cavalcate epic metal come ‘Metalstorm', ‘Weavers Of The Web', o ‘Road Of Kings' dove la maestria nel riffing da parte di Shelton trova la sua massima ispirazione. Non mancano delle reminiscenze verso lo stile dei primi album, ma rivisitati in chiave più epicheggiante e sognante come ‘The Ninth Wave', un vero e proprio viaggio sonoro che porta l'ascoltatore quasi a perdersi nello spazio, o ‘Astronomica', arrivando poi su ‘Hour Of The Dragon' che prende tematiche fantasy sposandole con una miscela musicale fatta di assoli, ritornelli e strutture battagliere piene di pathos dalla prima all'ultima nota. Anche qu le vendite furono eccellenti, andando a registrare ben 10.000 copie solo nel primo mese.



La crescita dei Road fu tanto veloce quanto spiazzante, cambiando ogni volta pelle per avvicinarsi a uno stile molto più incisivo rispetto agli esordi, ma che da una parte non tradiva né il loro spirito originari, e dall'altra riusciva ad aggiungere un diverso pezzo del puzzle che si incastrava alla perfezione nel loro percorso. Con ‘The Deluge' del 1986, si ha l'apice di questo piccolo preambolo. Con sfondo tematico la storia della città sommersa di Atlantide, le cose cambiano nuovamente, con un sound più aggressivo e diretto, non solo per quanto riguarda Park e Fox al basso e alla batteria, ma anche per la voce di Shelton che diventa molto più graffiante, un esempio è ‘Taken By Storm', ma anche ‘Shadows In The Black' con la sua prima metà che sembra cullare verso l'oceano chi ascolta, per poi cambiare direzione e trasportarlo in una vera e propria tempesta, che esplode poi con la Titletrack, contraddistinta da repentini cambi di tempo, assoli graffianti con un fascino quasi apocalittico, che proseguono poi con la doppietta ‘Friction In Mass’ / ‘Rest In Pieces'. C'è inoltre spazio per le più aperte e dirette ‘Divine Victim', dedicata a Giovanna D'Arco e ‘Dementia', con il drumming impazzito di Fox a contraddistinguere il tutto. Come a rappresentare una diversa faccia di una medaglia, il successivo ‘Mystification’ del 1987 portò avanti il discorso, accentuando da una parte il lato più oscuro del songwriting dei Road, con la Titletrack a spiccare, realizzando nel disco un senso di mistero molto più elevato di mistero rispetto ai precedenti, vuoi anche per la dichiarata ispirazione ai racconti di Edgar Allan Poe, come in ‘Masque Of Red Death' che traspare in quasi tutto il platter, eccezion fatta per ‘Children Of The Night', ripresa dal suddetto romanzo dello scrittore americano Robert Howard del 1931, dove si fa riferimento ai miti di Chtulu. Anche qui c'è spazio per canzoni più affascinanti e dal sapore tenebroso, come ‘Dragon Star', o l'implacabile ‘Haunted Palace’. Se però parliamo di un album musicalmente riuscito, per le vendite cominciarono i problemi. La Black Dragon Records ebbe dei problemi di natura economica, frode e vari inganni, che portarono i Manilla Road a marchiarsi, in un certo modo, di collaborare con una label che non aveva un modo di lavorare propriamente corretto. Questo portò ‘Mystification' a passare praticamente inosservato alla stampa, venendo poi rivalutato successivamente.



Con un accordo siglato con la Leviathan Records, label a capo di David Chastain, avvene l'anno seguente la pubblicazione di ‘Out Of The Abyss', il disco che rappresenta la vetta dell'indurimento sonoro da parte dei Manilla Road fino ad ora, con punte di thrash metal, all'epoca al suo apice sia di fama che di qualità nelle release del genere. Seppur lo stesso Mark abbia sempre fatto fatica a considerarlo un album prettamente thrash, è indubbio che nelle varie ‘Warchapel', ‘Midnight Meat Train' e ‘Slaughterhouse' vi sia una preferenza per riff dal sapore veloce, furioso, senza pause. Tutto questo comunque controbilanciato da altre canzoni come ‘War In Heaven', divisa in due diverse parti, ‘Return Of The Old Ones' dove è ancora Randy Foxe a fare la differenza, o nella stupenda ‘Helicon', carica di misticismo, di un'apparente tranquillità, con un crescendo di rara bellezza coadiuvata da una performance vocal di Mark eccezionale. Con ‘In The Courts Of Chaos', uscito due anni dopo nel 1990, il discorso prosegue nella stessa direzione: anche se reo di una produzione di basso livello, molto zanzarosa e impastata che non riesce a far apprezzare al pieno il suono delle chitarre, l'album racchiude nuovamente al suo interno molto perle. Basti pensare a ‘Vlad (The Impaler)’ che sembra un proseguire dello stile di quegli ultimi anni dei Road, passando per la spettacolare ‘From Beyond' con un ottimo gioco di tastiere nell'inizio, per poi proseguire sempre più in velocità verso la fine, per continuare con ‘A Touch Of Madness', un vero e proprio rompicapo musicale che rivela la sua bellezza dopo ripetuti ascolti, la più direta ‘Dig Me No Grave', e chiudendo con ‘The Book Of Skelos' che riprende le atmosfere che erano di ‘Mystification'.



Da qui la storia dei Manilla Road intraprende una breve, ma importante pausa. Dettata sia da contrasti interni alla band tra Randy Foxe e Scott Park, ma anche da problematiche legate alla distribuzione degli album, Shelton decise di mettere in standby la sua creatura, e far nascere i The Circus Maximus, che nel 1991 diedero alle stampe il loro lavoro omonimo, con la differenza che il disco uscì sotto il monicker Manilla Road, in quanto la Black Dragon Records pensava, erroneamente, che avrebbe venduto più copie. La qualità è sempre alta, pur discostandosi abbastanza dall'epic puro che contraddistingueva i Road, ma le vendite non giustificarono un eventuale tour o secondo album, e fino agli anni 2000 Mark intraprese solo qualche sporadica data qua e là, sciogliendo poi i Circus Maximus nel 1994.



I Manilla Road verranno poi riformati poco tempo dopo, pur non trovando nessun promoter o casa discografica oramai interessata a loro, in un periodo dove senza ombra di dubbio il metal classico, in particolar quello proposto dalla band di Wichita, non poteva dirsi al massimo del suo splendore. Fu la performance al Bang Your Head Festival nel 2000 a riaccendere la fiamma e a far sì (con problemi anche qui legati alla presenza prima confermata, e poi annullata di Randy Foxe) che, solo un anno dopo, nel 2001, uscì ‘Atlantis Rising', pieno di tematiche riferite non solo alla città di Atlantide, ma anche nuovamente ai miti di Chtulu e alla mitologia norrena, e che pur con una produzione non eccellente riuscì a riportare il nome della band in auge, almeno nel circolo underground. Con l'aiuto del roadie Bryan Pratick, che successivamente negli anni aiuterà Mark in molte della parti vocali, sia in studio che in live, il disco funziona e più che bene, tra le furiose ‘Megalodon' o ‘Decimation', dove senza ombra dubbio un suono migliore avrebbe aiutato non poco, ma il fascino della musica dei Road è anche questo, e le affascinanti ma tenebrose ‘Sea Witch' e ‘March Of The Gods', il risultato è ceramente encomiabile. Solo un anno poi passerà dalla release di ‘Spiral Castle', che doveva essere inteso come il primo album dei riformati Manilla Road, mentre per il precedente tale monicker non doveva esserci. Vengono riprese atmosfere misteriose, ad esempio con ‘Shadow' dove si omaggia nuovamente Edgar Allan Poe, o in ‘Merchants Of Death', con un riff capace di trasportare indietro nel tempo, tra passaggi doom di assoluto valore, o la Titletrack che gioca molto sulla batteria e le ritmiche che suonano come un vero e proprio inno alla guerra.



Con ‘Gates Of Fire' del 2005 le tematiche si fanno sempre più interessanti, con una trilogia dedicata in ordine al romanzo ‘La Figlia Del Gigante Dei Ghiacci', di Robert Howard del 1932, racchiuso all'interno delle geste di Conan, passando per racconti dedicati all'Eneide, e alle battaglie tra Romani e Spartani. Qui la presenza alle vocals di Bryan Patrick si fa più consistente, e il dualismo tra la voce di quest'ultimo, possente e aggressiva, e quella di Shelton che andava per forza di cose affievolendosi fu un connubio ottimamente riuscito, come su ‘Riddle Of Steel' dove tra strofe e ritornello si ha una perfetta unione. Da citare inoltre la bellissima ‘Rome', una suite di quasi 12 minuti dove viene tutto orchestrato, o quasi, dalla chitarra di Shelton, vera e propria guida che si erge, ancora una volta, come anima e cuore dei Manilla Road.



Gli ultimi dieci anni dei Manilla Road furono, a parere di chi scrive, una sorta di riassunto della loro carriera, arrivando in cinque album a mostrare ogni volta le varie sfaccettature della loro proposta, partendo da un vero e proprio capolavoro come ‘Voyager', il quale narra della conversione al Cristianesimo ai Vichinghi da parte dell'Impero Bizantino, con un tatto e maestria musicale senza eguali, da ‘Totentanz (Dance Of Death)’, la ballad ‘Tree Of Life', ad ‘Eye Of The Storm', difficile rimanere impassibili. I successivi ‘Playground Of The Damned' e ‘Mysterium' sono due facce della stessa medaglia, dei lavori che ora verrebbero additati come mestiere, ma d averne di mestiere così. Ben bilanciati tra arpeggi epicheggianti e parti più accellerate e orientate maggiormente alla velocità, com'è tipico degli album della band oramai, entrambi mostrano nelle varie ‘Grindhouse', ‘Brethren Of The Hammer', la narrante ed emozionante ‘The Battle Of Bonechester Bridge' e ‘Only The Grave' tutto quello che oramai è diventata la loro proposta. Il doppio album ‘The Blessed Curse / After The Muse' del 2015, e ‘To Kill A King’ di due anni dopo saranno le ultime, magnifiche, testimonianza dei Manilla Road e di Mark Shelton, che pur con fatica non accennava a voler spegnere la sua ispirazione, suonando ogni nota con la stessa energia e passione. Da citare, il progetto Hellwell, attivo dal 2011 al 2018 con due album orientati verso un epic/doom molto più oscuro, e l'album 'Obsidian Dreams', con sonorità acustiche e folk che danno uan diversa prospettiva di ciò che rappresentava la musica per Mark. Un amore vero, senza frasi di circostanza, senza false apparenze, senza la pretesa di essere nella parte più alta del bill, di calcare i palchi più grandi, senza mostrarsi al proprio pubblico come un qualcosa di intoccabile e di superbo. In maniera genuina ed onesta, aperta a tutti, come fu allo stesso modo la sua musica. Mark Shelton morirà il 27 Luglio 2018 a causa di un malore dopo essersi esibito all'Headbangers Open Air Festival, in Germania.



Un sound che si rifiuta di guardare al moderno, che utilizza il passato non per mero auto-citazionismo, ma per raccontare saggiamente di ciò che fu, della continua meraviglia nell'ascoltare e riascoltare un album cogliendo ogni volta un particolare diverso, di non creare musica usa e getta, ma di un qualcosa che rimarrà immutabile lì, nel tempo. Della fatica e della pigrizia che scompaiono davanti a un talento musicale secondo a pochi, e che ancora oggi, al ricordo della sua scomparsa ormai avvenuta quasi sette anni fa, riviviamo ogni volta che schiacciamo play ad un loro album. Un’istituzione nel panorama metal, e della musica tutta. Grazie Mark, da una persona che senza i Manilla Road non sarebbe mai venuta a contatto con questo mondo.

'Conquer for life inside your dreams.
We'll never outlive all the schemes
Of darker spirits in between.
We're on the road, the Road of Kings'
Articolo a cura di Francesco Metelli

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