Retrospettiva: l'importanza di "Bloody Vengeance" (1986) dei Vulcano 
Dai più dimenticati, i
Vulcano sono una band brasiliana dedita a una forma molto estrema di Thrash metal, formata nel 1981 a Santos, nello stato di San Paolo. Comunemente considerati i pionieri della scena metal estrema in Brasile e in tutta l'America Latina, avendo influenzato numerose formazioni successive, tra cui sembrerebbe – seppure a livello di full-length esordirono nel medesimo anno – i celebri
Sepultura e, i meno conosciuti ma egualmente fondamentali per lo sviluppo di generi come Black e Death metal,
Sarcófago.
Dopo l'EP
"Om Pushne Namah" del 1983, il demo
"Devil on My Roof" nel 1984 e l'album dal vivo
"Live!" nel 1985, i
Vulcano pubblicarono il loro primo lungo in studio:
"Bloody Vengeance", esattamente il 10 agosto 1986, sotto l'etichetta
Rock Brigade Records.

Il Brasile in quegli anni era realmente molto avanti per quanto concerne il processo evolutivo di estremizzazione sonora. Si pensi che di lì a circa un anno verranno rilasciati, oltre al debut dei già citati Sarcófago, anche il masterpiece degli
Holocausto "Campo de Extermínio" e il, seppur meno estremo, ottimo
"Immortal Force" dei
Mutilator (in realtà vi sarebbero da citare varie altre opere e complessi, ma ho deciso di limitarmi a ciò che risultava più estremo).
Se contestualizzato nel 1986, anno cruciale per il Metal estremo,
"Bloody Vengeance" rappresenta un disco che, pur non ottenendo la stessa cassa di risonanza internazionale di altre uscite coeve, rivestì, come già affermato, un ruolo importante nello sviluppo dei sottogeneri del Metal più oltranzisti, in Brasile e non solo.
Nel medesimo anno, la scena Metal vide la pubblicazione di album seminali come
"Reign in Blood" degli
Slayer e
"Darkness Descends" dei
Dark Angel; i più orecchiabili
"Master of Puppets" dei
Metallica e
"Peace Sells... but Who's Buying?" dei
Megadeth, giusto per fare alcuni esempi. Lavori che definirono nuovi standard di velocità, tecnica e aggressività in ambito Thrash metal. Ma non solo, il 1986 si distingueva come un anno particolarmente prolifico, anche per l'uscita di svariati altri LP che avrebbero influenzato profondamente il genere – proseguendo oltre il Thrash – in una direzione più oscura, pur non essendo destinati alla stessa fortuna di quelli appena menzionati. Tra questi:
"Pleasure to Kill" dei
Kreator,
"Obsessed by Cruelty" dei
Sodom,
"Beyond the Gates" (1986) dei
Possessed (preceduto un anno prima dall'ancora più fondamentale
"Seven Churches"),
"Morbid Visions" dei
Sepultura, ecc. ecc.
"Bloody Vengeance" è composto da otto tracce che, nonostante una durata complessiva di circa 23 minuti, riescono a trasmettere un'intensità e una ferocia all'epoca inaudite. I brani sono brevissimi, con una componente Hardcore marcata – che influenzerà anche il Grind – caratterizzati da riffs taglienti e una sezione ritmica martellante che spesso e volentieri si inoltra nei sentieri assordanti del blast beat, al servizio di un Thrash metal bastardo – indubbiamente influenzato dagli
Slayer – sanguinario e dalle tinte Black/Death, che fa della blasfemia e della violenza iconoclasta il proprio stendardo.
Il songwriting è essenziale, i
Vulcano non si sperticano certo in virtuosismi; i solos sono presenti in buona quantità ma appaiono perlopiù cacofonici, basati su rozze scale dissonanti sparate a velocità folli, similmente allo stile adottato da
Kerry King. Tuttavia, in ambito estremo, se riffs e linee vocali presentano il giusto grado di ispirazione, gli hooks azzeccati, e tutto ciò viene affiancato da un'eccedenza di spinta propulsiva, non si potrà non conquistare il cuore dei metal heads di tutto il globo.
"Bloody Vengeance", pur non essendo un vero e proprio capolavoro (anche se ci si avvicina), è uno di quei dischi che hanno contribuito a trasfigurare definitivamente il volto dell'Estremo. A mio avviso, insieme ai primi tre album degli
Slayer, i primi due di
Sepultura,
Kreator e
Sodom, la tripletta nera dei
Bathory,
"Into the Macabre" (1987) dei nostrani
Necrodeath,
"I.N.R.I." (1987) dei
Sarcófago,
"Scream Bloody Gore" (1987) dei
Death e pochi altri... può essere annoverato tra quei dischi che agirono in funzione di spartiacque.
P.S. Per chi potrebbe avere in mente di criticare il suono di questo disco, tenga presente – oltre al fatto che sono trascorsi quasi 40 anni – che la sua incisione avvenne in condizioni particolari: con un budget assai limitato, e inoltre sembrerebbe che la band avesse a disposizione soltanto 24 ore per registrare e mixare le tracce.
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