21 marzo 2009, Datchforum di Assago (Mi), appuntamento con la storia del rock ‘n roll, ore 21.00. un buon cronista lascia fuori i fronzoli, la sciatteria e le banalità. Un buon cronista riporta i fatti, freddamente e con lucidità.
Fortunatamente, io non sono una buona cronista.
Credo sia impossibile scrivere di ciò a cui ho partecipato senza lasciar trapelare l’entusiasmo e la scarica di elettricità che ha attraversato una marea di gente.
Tutto nasce dal ritmo: è la base del feeling di ciò che suoniamo. Noi vogliamo che la gente riesca a sentire fisicamente l'energia che sprigioniamo. Vogliamo che ingoi ogni singolo watt!
(Angus Young)
Nell’era di Mtv e Xfactor, cinque quasi sessantenni hanno fatto tremare il Datchforum (attuale Mediolanum Forum). Otto anni di attesa dopo la loro ultima esibizione italiana a Torino nel 2001. Altrettanti anni sono intercorsi tra l’uscita di Stiff Upper Lip (nel 2000) e quella del nuovo album, Black Ice (nel 2008). 36 anni di carriera (gli AC/DC si formano ufficialmente nel 1973 in Australia), infiniti cambi di formazione e due soli punti fermi: Malcom e Angus Young. Malcom il defilato, Angus lo scatenato; Malcom alla chitarra ritmica, Angus alla chitarra solista. A vederli così non diresti mai che sono fratelli. Malcom è il cervello degli AC/DC, Angus l’anima. Ed è Angus che cattura l’attenzione su di sé, con la sua immancabile divisa da scolaretto (a volte blu, a volte rossa), il cappellino, la camminata che l’ha reso celebre e la diavoletto che lui ha reso celebre.
Le band con alle spalle una carriera del genere si contano sulle dita di una mano. I biglietti per la prima data italiana (19 marzo 2009) del nuovo tour sono esauriti in meno di un’ora. Quelli per la seconda data hanno avuto vita ancora più breve. Quasi sette mesi di attesa per chi è riuscito ad accaparrarsi il biglietto, meno per chi è arrivato a sborsare cifre importanti pur di averne uno. Nei parcheggi attorno al forum i bagarini alzano la posta fino a 400 euro. Alle tre di pomeriggio la coda è già consistente (i cancelli apriranno solo alle 17) e ben prima delle 21 la gente arriverà ad occupare anche lo spazio sopra il 2° anello (la cosiddetta piccionaia). Italiani, spagnoli, tedeschi, gruppi di ragazzi ma anche famiglie con bambini, cerchietti con le corna rosse lampeggianti, chiodi e giubbetti di jeans tappezzati con toppe di ogni genere e forgia, anche con foto fatte plastificare a testimonianza della passione per questo gruppo.
Gli irlandesi
The Answer, gruppo spalla, vengono un po’ snobbati dal forum popolato di piccole luci rosse intermittenti e cuori frenetici ed impazienti. Scende il buio e, irreale, cala il silenzio. Sull’enorme schermo che fa da sfondo al palco parte un video. Un treno in corsa, un indiavolato Angus macchinista, un Brian Johnson allietato da una biondina ed il treno irrefrenabile. Rotaie che si fanno incandescenti mentre Angus viene legato da due signorine tutt’altro che amichevoli. La fine della corsa si avvicina e il treno non accenna a rallentare. All’ultimo Angus riesce a liberarsi, impugna la sua diavoletto e salta dal treno in corsa. Dietro di lui i componenti del gruppo rock che ha venduto più di tutti nella storia di questo genere. Esplosione sullo schermo, fuochi d’artificio sparati sul palco e pubblico in delirio. Chi è nell’arena di fronte al palco alza le braccia al cielo, quelli seduti sugli spalti scattano in piedi.
Angus fa il suo ingresso, in perfetta tenuta da scolaretto, con il riff inconfondibile di
Rock ‘n Roll Train. Brian Johnson non fa in tempo ad attaccare che il pubblico riversa la propria unica voce su quel palco da cui è impossibile staccare gli occhi. Lo schermo si apre e sul palco appare una locomotiva marchiata AC/DC. Un’apertura degna delle aspettative, non solo a livello musicale ma anche visivo e, soprattutto empatico.
A seguire
Hell Ain’t A Bad Place to Be e il riff che ha scavalcato i limiti della fama di
Back In Black.
Black Jack,
Dirty Deeds Done Dirt Cheap e Shot Down In Flames aprono la via al fulmine. Una sola lettera ripetuta ritmicamente su un riff arcinoto e
Thunderstruck prende vita. È inutile descrivere lo spettacolo, il delirio, la folla che canta all’unisono (per la cronaca, la lettera è la A), Angus che si scatena sul palco, le luci, i suoni, bisogna vedere con i propri occhi. Si torna al nuovo album con
Black Ice e si scivola verso
The Jack in cui viene riproposto uno dei punti forti delle esibizioni dal vivo del gruppo: lo spogliarello di Angus. Occhi in fissa sul palco o sui maxi schermi, Angus si agita, si toglie cappello, giacca, camicia. Sfila la cintura e si posiziona di schiena. Si abbassa sinuoso e cala i pantaloni. È il trionfo di un paio di boxer neri con la scritta AC/DC fiammeggiante. Dall’alto cala la campana del peso di una tonnellata con la scritta AC/DC impressa a fuoco. Brian Johnson prende la rincorsa e tra i rintocchi inizia
Hell Bells.
Shoot To Thrill, War Machine, Anything Goes in una sapiente miscela di vecchio e nuovo, di passato e presente, di batteria tonante e chitarre leggere. Brian Johnson si rivolge al pubblico femminile e dedica
You Shook Me All Night Long alle scatenate fanciulle sotto palco.
T.N.T. è dinamite pura, una scarica di adrenalina in corpo. A cavallo della locomotiva prende forma un’enorme bambola in reggiseno e autoreggenti: è il momento di
Whole Lotta Rosie.
Let There Be Rock lascia tutti a bocca aperta. Non per il pezzo in sé quando per i dieci minuti e passa di assolo di Angus. 54 anni vissuti da rockstar, viso scavato e rughe che lo fanno sembrare più vecchio del dovuto. Ti aspetti che uno così stia a casa a godersi i soldi fatti in tutti questi anni. Ma Angus Young è quello che stravolge una copertina indossando corna e una coda finta, quello che a vent’anni come a cinquanta si presenta sul palco vestito da scolaretto irriverente, quello che di una chitarra ne ha fatto un mito. Parte dal centro del palco, a torso nudo, ruota su sé stesso dopo aver saltato sul finale di ogni singolo pezzo. I capelli madidi di sudore, porta la chitarra sulla testa senza smettere di suonare, sfila per tutta la passerella che taglia a metà l’arena, come un fiume in piena, lui uomo non certo possente in mezzo a centinaio di persone, brilla di luce propria. Alla fine della corsa lo aspetta una torretta e, appena ci mette piedi, eccolo staccarsi dal suolo. Solo, in alto a sovrastare tutto e tutti, lui e la sua fedele diavoletto illuminati. Potrebbe finire tutto con questo fantastico effetto scenografico. Col cavolo! Angus si getta letteralmente a terra, ruota su sé stesso come un forsennato, si rialza come nulla fosse, come nelle gambe avesse vent’anni se non meno. Alza il dito al cielo e la torretta scende di nuovo a terra. Angus ripercorre la passerella correndo, si ferma davanti alla batteria tenendo il tempo con le gambe che si alzano in alternanza e quando il tutto sembra essere sulla via della chiusura, lui riparte. Sale di corsa sulla struttura sopraelevata, simbolo dell’immensa scalinata del suo regno (il palcoscenico) , la chitarra che segue i suoi passi, il fiato e di nuovo quel dito alzato verso il cielo. Accarezza le corde della sua Gibson è inizia un nuovo assolo, questa volta di stampo blues. Lo schermo dietro di lui offre il dettaglio delle sue dita che si muovono agili e veloci sui tasti. Angus sfida il pubblico in un botta e risposta, rallenta, stoppa la chitarra in sincro con un leggero movimento di petto e riprende, di nuovo. Instancabile. Inumano. Scende di corsa dal lato opposto della struttura, si riporta al centro del palco e parte con la sua camminata saltellante. Si rigetta a terra e poi sulle ginocchia, prende la rincorsa e chiude. Saltando.
E dopo averla percorsa tutta sotto i nostri occhi, ecco che ad Angus basta un accenno di
Highway To Hell per scatenare il delirio. Rock nella sua forma più pura. Rock che ti scorre nelle vene. Stare fermi è impossibile. Dagli spalti si vedono gli occhi puntati sul palco di quelli che sono sotto quel palco. Braccia alzate, bandiere, zone di pogo, cerchietti con le corna rossa che non smettono di lampeggiare. Ognuno a suo modo, come lucciole. Il primo attimo di silenzio dopo due ore di concerto. La locomotiva scompare. Sulla struttura rialzata, teatro del memorabile assolo di Angus, fanno il loro ingresso sei cannoni, tre per parte.
We're just a battery for hire with a guitar fire
Ready and aimed at you
Pick up your balls and load up your cannon
For a twenty-one gun salute
I cannoni sparano in sequenza ad ogni
Fire gridato da Brian Johnson. Da destra a sinistra, dal centro verso l’esterno, piovono scintille e tuonano cannoni. La storia del rock saluta e rende onore a chi, per una sera, ha tenuto loro compagnia.
For those about to rock, we salute you