Luci ed ombre sull’ottava edizione dell’Armageddon In The Park… e non mi riferisco all’ombra generata dalle nuvole, visto che, contrariamente alle previsioni, il tempo è stato clemente, con un piacevole sole ad allietare il pomeriggio e la tarda serata. Parlo di ombre perché, a differenza delle aspettative, questa non è stata l’edizione della consacrazione definitiva, nonostante la crescita evidente del bill rispetto agli scorsi anni. Se da un lato abbiamo potuto assistere, appunto, alla presenza per la prima volta (ed era quasi ora, visto che siamo arrivati all’ottava edizione e fin’ora erano stati presenti solo i Grind Inc. nell’edizione del 2008) di ben due gruppi stranieri di un buon livello, dall’altro lato ci sono state diverse cose che non sono andate per il verso giusto. La prima, e più evidente, è stata la scarsa affluenza di persone, almeno un terzo in meno rispetto allo scorso anno. E se sono vere le voci che da settimane giravano, e cioè che molti non sarebbero venuti (come hanno fatto) per il prezzo del biglietto, è il solito scandalo italiano, visto che con soli 15€ si poteva assistere a ben sette show. Ma si sa ormai come ragiona il metallaro medio, quindi non mi stupisco neanche più di tanto… La seconda è che per quasi tutte e sette le band abbiamo dovuto sopportare un audio assolutamente non all’altezza della situazione, che ha funestato le esibizioni dei gruppi, fatta eccezione per lo show dei Vader, che comunque non era iniziato nel migliore dei modi, ma che per fortuna s’è ripreso via facendo. Ma di questo parleremo nel dettaglio durante l’analisi dei vari show. Ultima, ma non per questo meno importante, una serie di piccoli ma significativi cambiamenti a livello organizzativo che hanno infastidito non poco non solo noi addetti ai lavori, ma anche le semplici persone del pubblico. Non voglio scendere nei dettagli, ma dico solo che una delle caratteristiche che ha da sempre distinto il festival rispetto ad altre manifestazioni era proprio quella sensazione di festa che si percepiva, e che quest’anno ha invece pericolosamente latitato, portando, appunto, al disappunto della gente. Questo, perlomeno, è quello che ho percepito io personalmente e che ho raccolto chiacchierando con amici e conoscenti presenti nel piccolo parco di San Giacomo. La speranza generale è che non sia un’escalation senza ritorno, e che l’edizione del prossimo anno recuperi quella genuinità di cui ha bisogno una manifestazione come questa. Fatta questa doverosa introduzione, passiamo a quello che resta l’aspetto più importante, e cioè l’analisi delle band che si sono alternate sul palco.
TRODDEN SHAMEAd aprire le danze ci pensano, per il secondo anno consecutivo, i Trodden Shame, unici rappresentanti del Molise in questa edizione. Per loro l’occasione è buona per promuovere “Chaos let be my world”, primo full length autoprodotto uscito proprio in questi giorni. Rispetto all’anno scorso la crescita è evidente. Tengono il palco in maniera molto più sicura, e anche da un punto di vista strettamente musicale si nota una decisa evoluzione. Certo lo spostamento dal thrash degli esordi verso sonorità più moderne non ha giovato molto alla loro proposta, visto che, dopo il secondo/terzo brano, le canzoni finiscono con l’assomigliarsi un po’ tutte, piene come sono di breakdown, ma devo dire che tutto sommato la loro esibizione risulta vincente, visto che riescono a coinvolgere in maniera soddisfacente il (poco, per la verità) pubblico presente sotto al palco, nonostante l’audio pessimo che faceva risultare tutto impastato. Il tempo a loro disposizione viene sfruttato tutto presentando i nuovi brani, tra cui spiccano sicuramente “Anger”, “iGod” e la titletrack. Qualche piccolissima ombra sull’esibizione di Vito, che, se da un lato salta come un ossesso da una parte all’altra del palco dimostrando di credere fino in fondo in quello che fa, dall’altra non risulta sempre precisissimo dal punto di vista strettamente vocale, ma tutto sommato nulla di imperdonabile. Nulla da eccepire invece sulla prova strumentale degli altri, con un punto in più, come sempre, per Pasquale, migliorato davvero tantissimo dietro le pelli, ed Andrea, che porta avanti con decisione e sicurezza le parti soliste. Cosa dire, il genere proposto inficia un poco il risultato finale, anche se dal vivo, rispetto al cd, la band guadagna qualche punto. C’è da sottolineare come alla fine della giornata i Trodden Shame risulteranno vincitori di un ipotetico scontro tra le tre band di apertura, nonostante la giovane età e la relativa minore esperienza. Piccola ma grande soddisfazione per la scena molisana…
TRACKLIST:
Walking on the last mile
You can't see my face
Never look back
Igod
Anger
Jarhead
The mad
Chaos let be my world
A.I.M.
THE JULIET MASSACRE I secondi a calcare le assi del palco sono i Juliet Massacre. In molti siamo rimasti scettici riguardo la scelta di chiamare la band di Vasto, vista la poca attinenza musicale con il resto del bill, ed infatti l’accoglienza non è stata delle migliori. Il loro deathcore non ha fatto assolutamente presa sul pubblico, che, anzi, risulta essere abbastanza restio nei confronti del gruppo. Astio, questo, che ha portato i due singer (sì, la band è di quelle che annoverano due cantanti, uno che si occupa del growl, l’altro dello screaming… non proferisco parola su questa cosa perché potrei diventare offensivo, ma non è certo una novità, è un’usanza abbastanza tipica tra le band del genere…) ad incazzarsi non poco, cercando, inutilmente, di incitare e coinvolgere il pubblico, che proprio non ne ha voluto sapere di supportare la band. Musicalmente parlando non è che il gruppo abbia aiutato poi molto l’audience a ben disporsi nei suoi confronti, visto che il deathcore proposto dai nostri non è certo di altissima qualità, quindi il tempo a loro disposizione passa via tra l’indifferenza generale del pubblico, che ha preferito rifocillarsi allo stand degli arrosticini, oppure dare un’occhiata agli stand di vinili. Insomma, un mezzo flop sotto tutti i punti di vista…
TRACKLIST:
Intro
World of Terror
Consumed by Nothingness
Lifeless Face
Pray for an afterlife
ENDLESS PAINCon l’arrivo sul palco degli Endless Pain, speravo che le cose migliorassero nettamente, visto che non stiamo parlando di novellini ma di una band in giro ormai da una decina di anni. Effettivamente dal punto di vista strettamente esecutivo nulla da eccepire, la band dimostra la sua esperienza sia strumentalmente parlando, sia come tenuta scenica, in particolare per quanto riguarda il singer Hate, che si sbatte come un dannato per coinvolgere il pubblico, arrampicandosi perfino su una delle colonne dell’americana, con qualche sussulto tra gli organizzatori. Sbattimento, però, che non ottiene particolari risultati, visto che anche l’esibizione dei bresciani passa abbastanza in sordina, non riuscendo ad ottenere consensi significativi tra la gente presente, che dimostra partecipazione solo quando incitata da un Hate scatenato dà vita al primo wall of death della giornata, o quando si lascia andare ad un primo timido pogo solo sulle note del loro ultimo brano. Quello che ha convinto poco è stata proprio la proposta musicale. Io avevo lasciato la band ad un thrash abbastanza tipico, e l’ho ritrovata, invece, alle prese con una sorta di thrash/death di derivazione svedese, e fin qui niente di male, ognuno è libero di evolvere il proprio sound come meglio crede. Quello che non ha convinto è che i brani non hanno granché personalità, finiscono col confondersi a mille altri brani di questo genere. Se a questo aggiungiamo anche i problemi di sound di cui abbiamo già parlato, è facile capire come anche gli Endless Pain non abbiano sfruttato al meglio questa occasione. Opinione, questa, confermata anche raccogliendo pareri nel pubblico. Questa ottava edizione ha decisamente qualche problema a decollare…
TRACKLIST:
The Ascents of Golgotha
…In Cold Blood
The Prophet
Dead End Nightmare
Atrocity
Triple Murder
FINGERNAILSComplice il revival del thrash metal e la “riscoperta” (potere di internet) di vecchi gruppi underground che all’epoca non avevano riscosso particolari consensi (un motivo ci sarà), si è portato a status di mito una serie innumerevole di band, più o meno meritevoli. Senza entrare nel merito della questione, non è questa la sede adatta, anche i Fingernails rientrano in questa categoria, e grazie al supporto dei metal kids stanno vivendo una seconda giovinezza. Riflessioni a parte, a questo punto della serata la speranza è che almeno loro riescano a risollevare le sorti del festival, grazie al loro speed metal, e a far smuovere un po’ la platea, fino ad ora palesemente statica. Beh, fortunatamente così è stato… pur non proponendo nulla di particolarmente innovativo o che faccia gridare al miracolo, la loro attitudine “cazzona” ha finalmente fatto presa sul pubblico, con conseguente pogo e headbanging (finalmente sembra davvero di stare ad un concerto metal!!) da parte della gente assiepata nelle prime file. Bidoli è palesemente contento di esibirsi al festival, tanto da finire la sua esibizione con addosso solo le mutande, e Anthony Drago non si fa certo pregare, sbattendosi da una parte all’altra del palco. Pezzi semplici e diretti fanno il loro mestiere, cioè far smuovere le teste, quindi tra una “Crazy for blow jobs” (un titolo un programma) e una “Suicide generation”, finalmente il festival decolla e la gente inizia ad assieparsi sotto il palco e diventare parte attiva dello show. I Fingernails sono la dimostrazione di come, spesso, le cose più semplici siano anche le più efficaci. Ed è così, quindi, che senza riff arzigogolati, tempi dispari e quant’altro, ma solo con una sana e fottuta attitudine metal (e rock ‘n’ roll, aggiungerei io), e qualche simpatico siparietto del leader “Angus”, riescono a conquistarsi il podio, risultando, sicuramente, uno dei tre gruppi vincitori del festival. Dopo la doppietta “Kill the rich”/“Total destruction”, tocca, ovviamente, a “Heavy metal forces” chiudere lo show, tra gli applausi e il tripudio generale. La band lascia il palco visibilmente soddisfatta, consapevole di aver dato uno scossone al festival e di aver dato prova della propria bontà musicale. Promossi a pieni voti…
TRACKLIST:
Just Like You Want
Suicide Generation
Born To Lose
Crazy For Blow Jobs
Destroy Western World
Kill The Rich
Total Destruction
Heavy Metal Forces
NATRONDopo il devasto dei Fingernails non è certo facile salire sul palco e mantenere lo stesso livello di adrenalina. Ma, signori, stiamo pur sempre parlando dei Natron, una band che sa il fatto suo e che di show ne ha suonati a migliaia, e non si tira certo indietro rispetto ad una piccola sfida come questa. E infatti fin dalle prime note di “By the Dawn of the 13th” si scatena di nuovo il putiferio. Il death metal dei baresi è ferale, tecnico e preciso quanto basta, senza perdere, però, un’oncia della violenza e dell’irruenza tipica del genere. Max Marzocca è come sempre una sicurezza dietro le pelli, così come il suo compagno di sempre, Domenico Mele, che macina riff su riff con una semplicità devastante. Ho notato l’ennesimo cambio di line up, con l’ingresso di Stefano Pomponio al basso al posto di Alyosha Danisi, mentre dietro il microfono continua a grugnire Nicola Bavaro, ormai da qualche anno con la band. Mi dispiace doverlo sottolineare di nuovo, ma avendo visto i ragazzi diverse volte live, so quanto importante sia, per loro, avere un buon sound che valorizzi la loro musica. Beh, purtroppo alla fine della giornata risulteranno una delle band più penalizzate, con il basso praticamente inesistente, la chitarra appena udibile, e la batteria completamente sommersa dalla voce, altissima… Ed è un peccato, perché musicalmente parlando il gruppo è in formissima e annichilisce tutti con brani come “Rot among us”, “Flatline” o “House of festering”, delle rasoiate death che molte band più blasonate si sognano. A chiudere uno show praticamente privo di sbavature ci pensa addirittura una cover dei Terrorizer, “Dead shall rise”, riproposta in maniera impeccabile. Che dire, i Natron sono una sicurezza dal vivo, non sbagliano un colpo e devastano tutto, e chi li aspettava nelle scorse edizioni del festival è stato finalmente accontentato. Una realtà della scena italiana ormai consolidata come la loro non poteva certo mancare qui all’Armageddon In The Park…
TRACKLIST:
By the Dawn of the 13th
Only living witness
Morgue Feast
Dead Beat
Heads are rolling
Rot Among Us
Backyard Graveyard
Flatline
Hatemonger
House of festering
Dead Shall Rise (Terrorizer cover)
GAMA BOMBA questo punto giungiamo alla prima delle due band estere della serata. In pieno thrash revival poteva forse mancare una band del genere nel bill dell’Armageddon? Certo che no, ed ecco quindi arrivare, direttamente dall’Irlanda, i Gama Bomb, di recente saliti alla ribalta grazie proprio alla riscoperta del genere e all’accettazione (alquanto discutibile, direi) di ogni cosa che suona anni ’80, indipendentemente dal reale valore della proposta. Beh, la curiosità di vedere se dal vivo gli irlandesi sarebbero riusciti a convincermi più che in studio era parecchia, ma devo dire che il loro show non è stato affatto privo di sbavature. Intanto il singer Philly Byrne, non sempre impeccabile, e poi qualche errore di esecuzione qua e là, oltre al volume degli assoli di uno dei due chitarristi, veramente altissimo rispetto al resto degli strumenti (anche se la prova dell'axeman è da sottolineare, visto che ha sostituito l’infortunato Domo Dixon all’ultimo momento). Anche se non te li aspetti da un certo tipo di band, sono stati errori tutta via veniali, sopperiti da un’attitudine divertente e scanzonata, che fa sicuramente presa sul pubblico, impegnato in numerosi circle pit, oltre che nel secondo wall of death della giornata. Tra alti e bassi, quindi, la band riesce a tirare avanti per un’oretta, con brani che hanno colpito di più (“Hammer slammer”, “Thrashoholic”) e altri meno, e anche un antipatico siparietto quando arriva il momento di eseguire “Mussolini mosh”. I proclami antifascisti del singer e del bassista hanno infastidito qualcuno fra il pubblico che ha ben pensato di arrivare sotto al palco per iniziare una tarantella a distanza che stava sfociando in un bel rissone, fortunatamente sventato dall’intervento della security e di noi ragazzi presenti al momento. Episodio tanto increscioso quanto evitabile, da entrambe le parti, ma sono cose che possono accadere quando si toccano temi così delicati in un concerto. In ogni caso un neo che non ha rovinato nulla, salvo il fine serata dei nostri, quasi scortati per evitare ripercussioni. Nel complesso l’esibizione dei Gama Bomb non mi ha convinto appieno, mi aspettavo un muro di suono più devastante e un’esecuzione più tagliente. Questo a dimostrazione che a volte si incensano band non propriamente impeccabili solo per moda, ma quest’è…
SETLIST:
Zombie Blood Nightmare
Slam Anthem
New Eliminators Of Atlantis BC
Three Witches
In The Court Of General Zod
Hammer Slammer
OCP
We Respect You
Evil Voices
Thrashoholic
Hell Trucker
Mussolini Mosh
Last Ninjas Unite
Bullet Belt
Zombie Brew
VADERSe Fingernail e Natron si giocano al photofinish il secondo e il terzo gradino del podio, è innegabile che la posizione più in alto spetta inevitabilmente ai Vader, giunti sul palco sulle mastodontiche note della “Marcia Imperiale” di Starwars. Realtà più che consolidata del death metal europeo, non devono certo dimostrare nulla a nessuno, visti gli ottimi dischi pubblicati, ma soprattutto i devastanti live show a cui ci hanno abituati. Eppure questa sera in molti sono curiosi di vedere se la nuova line up (è rimasto il solo Piotr Wiwczarek a portare avanti la baracca) sia all’altezza del nome della band. Io personalmente non avevo questo dubbio perché ho avuto la fortuna di vederli già in azione un mesetto fa all’Hellfest, e sapevo perfettamente che la scelta dei sostituti è stata più che azzeccata. Evidentemente se ne sono accorti subito anche tutti i presenti, visto che fin dalle iniziali “This is the war” e “Sothis” si scatenano sotto il palco. Purtroppo ancora una volta i suoni sono scadenti, ma per fortuna dopo il terzo pezzo le cose migliorano nettamente restituendo alla band quel muro sonoro di cui ha bisogno per essere devastante al 100%. La scaletta propende per brani estratti dalle ultime uscite anche se non manca qualche richiamo al passato, così come un inedito di prossima pubblicazione, “Come and see my sacrifice”. Da notare come Piotr sia particolarmente allegro stasera (chi lo conosce sa che è una mezza rarità vederlo così gioviale), forse ben disposto dal pubblico che gli ha riservato un’accoglienza calorosissima. E quindi tra una parola di italiano qua e là e qualche bestemmione, riesce a catturare le simpatie dei presenti, che dal canto loro non si risparmiano sotto al palco. Ancora una volta pogo selvaggio, e terzo wall of death della serata… Dopo le presentazioni di rito dei membri della band, ci si avvicina alla fine dello show, per la verità un tantino corto (un’oretta circa, ci si aspettava almeno una quindicina di minuti in più), chiuso, peraltro, in maniera alquanto insolita. Invece di regalarci qualche altra perla estratta dalla loro nutrita discografia, i nostri preferiscono congedarsi con ben due cover, la prima, più onirica e d’atmosfera, “Black Sabbath”, la seconda devastante, “Raining blood”, che scatena l’isteria collettiva e, forse, il pogo più massacrante dell’intero festival. Che dire, scelta perlomeno discutibile, ma si sa che i Vader hanno da sempre avuto una predilezione per le cover (ne hanno incise un sacco), quindi tutto sommato c’era da aspettarselo. Per il resto, a parte la brevità dello show, nulla da eccepire, un’esibizione assolutamente priva di sbavature, possente e devastante come è lecito aspettarsi dai polacchi, che mette il sigillo all’ottava edizione dell’Armageddon In The Park. A questo punto il pensiero va già all’anno prossimo, per vedere cosa tireranno fuori dal cilindro i ragazzi di San Giacomo, sperando che non si facciano demoralizzare dai problemi di quest’anno, soprattutto quelli relativi alla scarsa affluenza di pubblico.
Ci si vede sotto il palco la prossima estate…
SETLIST:
This Is The War
Sothis
Crucified Ones
Devilizer
Rise Of The Undead
Black To The Blind
ShadowFear
Come And See My Sacrifice
Dark Age
Impure
Wings
Black Sabbath (Black Sabbath cover)
Raining Blood (Slayer cover)