Una grande curiosità. E’ questa la “molla” principale che ha spinto questo non più giovanissimo
rockofilo sabaudo a fare letteralmente “i salti mortali” (a causa d’impegni personali e lavorativi …) e a sottrarre importanti e preziose (oltre che adorate …) ore di sonno alla sua routine quotidiana, per assistere ad un concerto abbastanza “lontano” dalla sua accogliente magione e soprattutto dalle sue attuali abitudini d’ascolto.
Quello che generalmente possiamo definire
power metal sinfonico non è esattamente, infatti, dopo una notevole infatuazione iniziale, il genere che prediligo e che “seguo” in maniera capillare al momento (ragione per cui cedo di “diritto” ogni valutazione “specialistica” all’inossidabile Rapetti, ben più “ferrato” di me sull’argomento), ma ero molto attratto dall’idea di poter saggiare “in prima persona” le capacità "dal vivo" di una delle band italiane più apprezzate, famose e chiacchierate (tanto da poter scomodare i classici “fiumi di parole” di
Jalissiana memoria!) dell’intero scacchiere metallico internazionale.
Ebbene, i
Rhapsody of Fire e il loro cosiddetto “Hollywood metal” (o “film-score metal” che dir si voglia) si sono dimostrati un gruppo davvero potente, tecnicamente impeccabile, pilotato da un cantante straordinario, versatile e sempre “a fuoco” (veramente impressionante nelle parti aggressive e molto ispirato in quelle maggiormente “intime”) oltre che simpatico (carino il ricordo di Christopher Lee, il grande attore inglese voce narrante di alcuni pezzi delle band, noto per le sue interpretazioni nei film della saga del Conte Dracula, ne “La mummia”, “Star Wars” e “Il Signore degli Anelli”, ma che qualche cinefilo ricorderà pure per circostanze meno “clamorose”, come la serie di pellicole dedicate al cattivissimo “Fu Manchu” o per il thriller circense “Circus of fear”) e disponibile nella “gestione” del pubblico, smentendo chi, invece, lo aveva dipinto come uno “che se la tira”.
Non posso dire che da domani i
power-metal-writers di metal.it avranno un nuovo agguerrito contendente nell’accaparramento delle recensioni di settore e nemmeno che ho abiurato completamente le mie convinzioni su uno stile musicale (a cui i Rhapsody of Fire hanno fornito parecchie sfumature peculiari, è opportuno sottolinearlo) che ritengo ormai eccessivamente retorico, prevedibile e ripetitivo, eppure, sarà anche perché circondato da una prepotente atmosfera di consenso e condivisione (il pubblico appare veramente entusiasta, affezionato e partecipe!), non posso non ammettere che la mistura di magniloquenza, neoclassicismi, fantasy, folk, dinamismo, pathos e ritornelli e cori istantanei di stasera mi ha piuttosto compiaciuto.
Soddisfazioni che arrivano pure, se escludiamo una resa sonora ampiamente perfettibile, dai
Bejelit, formazione assai interessante impreziosita dalla laringe eccellente di Fabio Privitera, e dai capitolini
Kaledon, che ricordavo per una buona prova al GOM torinese del 2010 e che si sono confermati dignitosi ambasciatori di un piacevole e rigoroso
power / epic metal.
Insomma, una bella serata, alla quale concedere senza patemi, come doveroso tributo, l’inevitabile “stato comatoso” e il persistente “acufene” del giorno successivo.
Marco Aimasso Chiedere a Marco di fare una breve introduzione è come chiedere al Governo Monti di abbassare le tasse. Non è che ora mi resti poi tanto da dire.
Il nostro arrivo al Live Club ha coinciso proprio con il momento in cui i
Bejelit salivano sul palco, aprendo il concerto con “The Darkest Hour”, opener del loro ultimo album, “Emerge”, dando subito l’impressione di essere in palla. Sul palco ritroviamo anche il bassista Giorgio Novarino che aveva dovuto saltare alcune date del tour, anche se non mancano all’appello nemmeno alcuni problemi tecnici e soprattutto una resa sonora non particolarmente brillante, una situazione che fortunatamente migliorerà quando sul palco saliranno poi gli headliner.
Beh… queste sono le
fortune che toccano ai gruppi di supporto, con i Bejelit che comunque sfruttano nel migliore dei modi l’occasione, confermando tutto il loro valore, una formazione competente e ben rodata che ha la
fortuna di avere dietro al microfono un interprete ben sopra alla media quale Fabio Privitera. La scelta è quella di privilegiare esclusivamente “Emerge”, ed eccoli quindi snocciolare una dietro l’altra “Fairy Gate”, la titletrack, “We Got the Tragedy” e “Dancerous”.
Ormai più di una promessa.
Setlist:
The Darkest Hour
Fairy Gate
Emerge
We Got The Tragedy
Dancerous Anche i
Kaledon non si possono certo più definire una promessa, con all’attivo sei album ed una lunga carriera che hanno
riassunto da poco nella raccolta antologica “Mightiest Hits”.
Rispetto ai Bejelit, i Kaledon hanno maggiori affinità con gli headliner, e sembrano sottolinearlo dando il via con un pezzo d’annata come “In Search Of Kaledon” (dal loro album d’esordio), tuttavia sembrano partire un po’ più contratti e si scioglieranno maggiormente nella seconda parte del loro show, direi a partire dalla dirompente “Desert Land Of Warriors”.
Purtroppo anche loro non vengono aiutati dal mixer, ma lo storico chitarrista del gruppo Alex Mele ed il cantante Marco Palazzi tengono la scena senza lasciarsi condizionare più di tanto, interagendo con il pubblico (soprattutto verso quello femminile…) e lanciando proclami da fieri
metallari.
Setlist:
In Search of Kaledon
Clash of the Titans
Steel Maker
Desert Land of Warriors
Surprise Impact
The God Beyond the Man
The New Kingdom Stava giungendo il momento di veder salire sul palco i
Rhapsody of Fire quando ammetto di aver sentito tutto il peso di anni spesi a consumare la mia passione metallica e di essermi fugacemente chiesto quale fosse la loro
incarnazione che avremmo visto di lì a momenti…
Un attimo di appannamento subito spazzato via nel riconoscere Fabio Lione, che si confermerà vocalist di valore assoluto, ed un po’ defilato, dietro le sue tastiere, Alex Staropoli.
Ad accompagnarli musicisti nuovi e vecchi, il bassista Oliver Holzwarth ha raggiunto il fratello (e batterista) Alex, mentre alle chitarre troviamo Tom Hess e Roberto De Micheli.
Nel corso della serata e di un lungo e variegato excursus nella discografia dei Rhapsody, per quanto l’assenza di Luca Turilli si faccia inevitabilmente sentire, l’attuale formazione non mostra alcun cedimento, e se Fabio Lione - ovviamente – domina la scena, i due chitarristi non si fanno mancare assoli e pose plastiche, mentre i fratelli Holzwarth si concedono un assolo a testa.
Le canzoni dei Rhapsody of Fire non si possono sicuramente descrivere come dirette ed immediate (
in questo ricordano un certo writer di mia conoscenza….) ma il concerto non ne soffre più di tanto, nemmeno nei già citati assoli, Lione riesce a calamitare l’attenzione del pubblico cantando alla grande e ricorrendo a qualche aneddoto d’annata, poi alcuni salti nel passato, come avviene in occasione di “Land of Immortals” o “Emerald Sword”, fanno il resto.
Quasi quindici anni fa, tenendo fra le mani un sorprendente “'Legendary Tales”, risultava difficile pensare che potessero arrivare a questi livelli.
Oggi la sensazione è che fosse inevitabile.
Setlist:
Ad Infinitum / From Chaos to Eternity
Triumph or Agony
Unholy Warcry
Lost in Cold Dreams
Land of Immortals
Aeons of Raging Darkness
Drum Solo
The March of the Swordmaster
Dawn of Victory
Bass Solo
The Village of Dwarves
The Magic of the Wizard's Dream
Holy Thunderforce
Encore:
Reign of Terror
Knightrider of Doom
Epicus Furor / Emerald Sword
Act VI: Erian's Lost Secrets
The Splendour of Angels' Glory (A Final Revelation) Sergio Rapetti