(24 marzo 2016) Dream Theater @ Esch sur Alzette, Lussemburgo - 24/3/2016

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Primo vero concerto in terra lussemburghese per il sottoscritto, al cospetto di una band che, a partire da tanti ma tanti anni fa, ho visto live almeno una quindicina di volte. Bene o male, tutte hanno lasciato il segno (non sempre positivo) e anche la serata dedicata interamente alla proposizione dell’ultimo (bellissimo, non lo sapevate? Ecco la recensione) disco non fa eccezione.

Immagino che pochissimi di voi conoscano la location: la Rockhal di Esch sur Alzette è una moderna sala concerti da circa 6.000 posti, che per l’occasione è stata ridotta e riadattata con posti a sedere: circa 800 i posti a disposizione, nemmeno tutti esauriti. Quando mi ricapiterà più di vedere i Dream Theater in un simile contesto? Credo mai più, dunque questo è il primo dei motivi per cui è valsa la pena di vivere questa esperienza.

All’ingresso in sala, l’impatto con il palco non è stato dei migliori. Effettivamente, mi sarei aspettato una scenografia ben più imponente e invece, tutto sommato, il palco era abbastanza scarno, dominato da uno schermo diviso in 5 sezioni (scelta a mio parere piuttosto discutibile, che ha fatto perdere buona parte dell’efficacia alle immagini).
La partenza è stata penalizzata da suoni non ancora al meglio, ma la band si è scaldata decisamente in fretta e la qualità audio è subito migliorata.
Inutile parlarvi dei brani, perché la scaletta è ben conosciuta. Quello che posso dirvi è che, anche dal vivo, il primo atto si è rivelato molto più efficace rispetto al secondo.
Contrariamente a quanto temevo, poi, le basi con orchestra e coro non si sono rivelate troppo invadenti.
L’unica nota davvero stonata, a mio parere, è arrivata dai video trasmessi alle spalle dei musicisti. Durante l’intervista (qui il link), Rudess mi aveva raccontato di aver assoldato una società specializzata per allestire la messa in scena. Sarà che forse per questo avevo delle aspettative molto alte, sarà che a livello di immagini i Dream Theater sono sempre stati molto avanti, sarà che la storia in sé è comunque estremamente banale, fatto sta che i video, tra animazioni elementari ed effetti anacronistici, hanno colpito davvero poco. Peccato perché effettivamente avrebbero potuto dare una spinta decisiva a tutto il contesto, arrivando perfino a coprire la pochezza della trama, come nella migliore tradizione hollywoodiana. Tra l’altro, come vi anticipavo, la scelta di dividere lo schermo in parti ha ulteriormente penalizzato la resa grafica. Davvero un’occasione persa.

Impossibile non dare un giudizio sui singoli. Ebbene, LaBrie ha vinto a mani basse dimostrando una forma e una classe impeccabili. I momenti di piano e voce sono stati da brividi veri e anche sulle parti più alte non ha mostrato alcun cedimento. Petrucci ha confermato quello che dico da un po’, ossia che invecchiando sta acquisendo un gusto e un tocco sempre più efficaci: nelle poche occasioni avute per mettersi in mostra è stato semplicemente sublime. Rudess, ormai padrone assoluto dei Dream Theater, quando si mette a suonare il piano merita solo applausi convinti. A lui il plauso di buona parte del songwriting e anche quello di aver capito che non è necessario fracassare le gonadi degli ascoltatori con muri di effetti tastieristici. Myung l’ho veramente sentito per la prima volta nella mia vita, anche se purtroppo in questo album non è proprio il protagonista. Mangini, infine, è stato una macchina. Pettinatura inguardabile, panzetta simpatica, ha macinato bordate con una precisione chirurgica. Bello, efficace, instancabile, il suo problema è che avrà guardato il pubblico forse un paio di volte. Ogni volta che lo vedo, la nostalgia per Portnoy cresce un filo di più: con lui i concerti dei Dream Theater erano proprio un’altra cosa, inutile negarlo.

Tutto sommato, dunque, una bella esperienza. Mi ha sempre affascinato l’idea del rock nei teatri e, ogni volta che capita, confermo il mio interesse per questo tipo di iniziative. Uscendo, però, il pensiero vaga, arrivando a chiedersi “chissà cosa sarebbe stata una "Metropolis", una "Spirit Carries On", una "Voices" in questa location”…segno che effettivamente l’impatto emotivo del nuovo album non riesce a raggiungere vette ormai lontane. Ma chi s’accontenta gode e per quanto fatto tra disco e tour la band merita oggi solo tanti applausi.

Piccolo cenno finale al comportamento del pubblico lussemburghese. Festival a parte, era la prima volta che assistevo ad un concerto “vero” fuori dall’Italia. Gente composta, file rispettate, nessuna calca sotto il palco ed entusiasmo decisamente controllato. Forse a vent’anni avrei pensato di essere capitato tra gli alieni ed avrei gridato allo scandalo. Oggi, invece, me la sono goduta alla grande. Sarà che sto invecchiando, ma la “mia” dimensione live oggi somiglia molto più a questo tipo di eventi che ai massacri da pogo. Non devo essere il solo a pensarla così, visto che, in platea, i capelli bianchi superavano di gran lunga quelli di altri colori. Il problema è che, una volta, ai concerti, i padri si portavano i figli. Se questo non succede più, amici miei, siamo spacciati.
Report a cura di Alessandro Quero

Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 30 mar 2016 alle 07:53

noto con piacere che il report tutto sommato è allineato con quello della data milanese...