Ho visto
Steven Wilson dal vivo l'ultima volta nel 2015, a Cremona al Teatro Ponchielli. Quello per me è stato un concerto importante per tanti motivi che non sto ad elencare, e ricordo di essere andato via soddisfatto ma non al 100%. Ricordo anche con precisione i motivi della mia insoddisfazione: mancavano
Guthrie Govan e
Marco Minnemann;
Craig Blundell non aveva né la classe di
Gavin Harrison, né la "pacca" del sopracccitato
Minnemann;
Dave Kilminster era più fumo che arrosto. In compenso audio e luci erano perfetti,
Adam Holzman mi aveva fatto sognare e
Nick Beggs aveva dimostrato ancora una volta di essere il vero istrione sul palco nonostante "l'aura sacrale" che avvolgeva
Wilson.
Cos'è cambiato quasi 3 anni dopo? Non molto a dire il vero. Da un lato si è acuita questa sensazione per cui ormai il genietto britannico preferisce circondarsi di turnisti piuttosto che di una vera band (io li ricordo bene i live dei Porcupine Tree, e la situazione era decisamente diversa), dall'altro la sua fama ha raggiunto livelli tali da consentirgli con facilità di fare
sold-out al
Teatro Degli Arcimboldi in una piovosa serata milanese.
Adam Holzman rimane un fenomeno incompreso (su
"Regret #9" ha dato la m***a al 90% degli pseudo-tastieristi prog in circolazione),
Craig Blundell continua a non piacermi (chirurgico sul timing, decisamente inadeguato sulle timbriche - immaginate
Portnoy, ma a tempo),
Nick Beggs pareva piuttosto svogliato (pazienza) e il nuovo arrivato
Alex Hutchings non mi pare che si sia ancora ambientato a dovere (nonostante sulla carta sia un altro
Guthrie Govan, come se ne esistesse uno). Detto in altro modo: con questi musicisti non credo che
Steven Wilson si sarebbe potuto mai permettere un altro "live-in-studio" alla stregua di
"The Raven...".
Esagero io? Forse sì. Quel che è certo è che i brani del nuovo
"To The Bone" funzionano meglio su disco che dal vivo (5 secco all'introduttiva
"Nowhere Now"), mentre gli estratti da
"Hand.Cannot.Erase." sono stati resi proprio bene (10 e lode a
"Home Invasion"). È stata anche l'occasione per riascoltare perle indimenticate dei Porcupine Tree come
"The Creator Has A Mastertape", "Arriving Somewhere But Not Here" o
"Lazarus" ma per i motivi di cui sopra è stato quasi come sentire "un tributo" alla band inglese, non so se mi spiego. Luci, video e proiezioni olografiche di prima classe non oscurano
Steven Wilson che lascia intendere di avere un'altissima considerazione di sé; il pubblico ne è convinto e glielo fa credere, anche quando l'artista spara a zero sul pop contemporaneo - a
Justin Bieber non le ha mandate di certo a dire. Lo stesso pubblico è molto preparato e competente, tanto da riuscire ad andare a tempo con gli applausi anche sui tempi dispari, cosa non da poco. L'estenuante set (interrotto da una pausa da 15 minuti) si conclude con il trittico
"Even Less"/"Harmony Korine"/"The Raven...", passato, presente e futuro di questa istituzione prog contemporanea di nome
Steven Wilson.
Mi sento fan prima che reporter
(anche perché i biglietti me li pago praticamente tutti, ndr), e come fan mi sarei aspettato un concerto diverso, meno "supponente" e distaccato: è chiedere troppo?
Setlist:
Nowhere Now
Pariah
Home Invasion
Regret #9
The Creator Has A Mastertape (Porcupine Tree)
Refuge
People Who Eat Darkness
Ancestral
Arriving Somewhere But Not Here (Porcupine Tree)
Permanating
Song Of I
Lazarus (Porcupine Tree)
Detonation
The Same Asylum As Before
Heartattack in a Layby (Porcupine Tree)
Vermillioncore
Sleep Together (Porcupine Tree)
Encore: Even Less (Porcupine Tree) + Harmony Korine + The Raven That Refused To Sing
Non è ancora stato scritto nessun commento per questo concerto! Vuoi essere il primo?