Alessandro Del Vecchio è uno dei principali artefici di un cambiamento a suo modo epocale, almeno per tutti i melomani del Belpaese.
Se il nostro rock melodico non è più oggetto di derisione (a volte anche un pochino giustificata, vista l’artigianalità dei risultati!) da parte di stampa e pubblico internazionale e se l’intero movimento ha acquisito forza, credito e sicurezza, molti dei meriti sono da ascrivere ad artisti come lui, oggi diventato un riferimento “globale” quasi imprescindibile quando si parla di suoni “adulti”.
Produttore, musicista e compositore (nonché vocal coach), impegnatissimo e richiestissimo dai nomi più importanti del settore, il nostro non ha però perso quell’umiltà e quella disponibilità (e sì che con un palmares come il suo potrebbe davvero “tirarsela” … meditate, giovani “rockstar” emergenti!) che solo chi è ancora alimentato dalla passione autentica conserva intatte nonostante riconoscimenti così gratificanti.
Beh, ovviamente ci vuole anche tanta competenza, determinazione, maturità e sensibilità (e magari un pizzico di fortuna … che non guasta mai!), tutte doti non comuni che traspaiono pure dalle parole di questa lunga e approfondita intervista che Alessandro ci ha gentilmente concesso …
P.S. un grazie speciale al mitico Pierpaolo "Zorro11" Monti, per il suo fondamentale ruolo “d’intermediazione” :) …
Ciao Alessandro, per me è un vero piacere e un onore ospitarti sulle pagine virtuali di Metalhammer.it. Benvenuto! Anzi, sarebbe meglio dire bentornato … nel preparare quest’intervista, ho scoperto che in realtà eri già stato nostro ospite, con gli Edge Of Forever, ai tempi di Eutk.net.
Come si passa dall’Alessandro Del Vecchio fondatore di un gruppo di “belle speranze” (anzi, bellissime … era appena uscito "Feeding The Fire") all’Alessandro Del Vecchio produttore, compositore e musicista super richiesto? Non credo sia stato un percorso “semplicissimo”?
Beh, proprio semplicissimo no. Diciamo che ci vuole tanta dedizione e tanti sacrifici. In fin dei conti io volevo fare esattamente queste cose a livello musicale, quindi ho dovuto fare le scelte giuste senza scendere a compromessi sulla qualità perché sapevo che mi sarei scontrato con chi questo genere l’ha creato e forgiato. Alcuni mi dicevano “ma cosa ti metti a far la guerra agli americani?” Non che si trattasse di fare la guerra, ma sicuramente la concorrenza sapevo sarebbe stata di qualità.
A proposito, qual è la situazione attuale della band?
Vorremmo uscire l’anno prossimo. Purtroppo impegni e un imperdonabile perfezionismo non aiutano sui tempi di lavoro sulle nostre cose.
La credibilità italiana nell'ambito della musica rock, in particolare quella d’estrazione “adulta”, per molto tempo è stata praticamente nulla, mentre oggi si può dire che grazie a te e a un manipolo di “folli” e motivati appassionati del genere (musicisti, autori e discografici …), il movimento “melodico” italiano ha conquistato un ruolo di prestigio, tanto che americani, tedeschi e scandinavi non ci guardano più dall’alto in basso … cos’è successo? Qual è stato, se c’è stato, il momento “topico” di questa inversione di tendenza?
Sicuramente il fatto che bands come Journey e Toto firmino per un’etichetta italiana ha aiutato a sdoganare molto il nostro paese a livello musicale nel nostro genere. Non voglio darmi meriti perché non mi piace, ma sicuramente quando ho iniziato sia con gli EOF che con i miei lavori non c’erano molti italiani a farlo a livello professionale. A favore degli EOF bisogna dire che nel 2004 la nostra etichetta ci spedì completamente a sue spese a New Orleans per registrare il disco “Let The Demon Rock’n’Roll”, cosa assolutamente “nuova” per una rock band italiana. Contratto major e budget talmente alto da avere la band intera in studio per un mese a New Orleans. Ah, i bei vecchi tempi della discografia!
Uno degli aspetti che probabilmente ha tradizionalmente “frenato” i nostri gruppi è l’invidia e la scarsa coesione … ritieni che le cose siano (almeno in parte) cambiate negli anni?
Non penso siano cambiate molto le cose. Io per primo ne sono vittima, ma ognuno che fa qualcosa di un pelo più grande, finisce nel mirino di critiche ingiustificate e dell’invidia del vicino della porta accanto, cosa tipicamente “provinciale”. Ma forse fa parte del gioco e va bene così. A volte chi critica si dimentica che dietro ad ogni successo ci sono sacrifici e tanto duro lavoro. Io credo molto nella meritocrazia e se lavori duro e sei competente non vedo perché le cose non debbano arrivare. D’altronde fare il musicista è un lavoro come un altro. Ho imparato a non prendermela più e godermi cosa mi arriva. In fin dei conti io sto vivendo il mio sogno e non voglio avvelenarmi con invidie e altri sentimenti negativi e la musica dovrebbe essere il lavoro più bello del mondo. Sono un romantico e voglio credere in un mondo musicale ancora pulito, soprattutto in un genere di nicchia come l’AOR.
La tua attività di produttore è apprezzatissima a livello internazionale … quali sono i “segreti” di una produzione griffata Del Vecchio? In un’epoca in cui tutti, grazie alla diffusione tecnologica, sembrano in grado di registrare un Cd, come deve suonare secondo te un disco di AOR per essere valorizzato e distinguersi?
Mmh ... domandona. Non penso ci siano segreti nelle mie produzioni. Ho il mio modo di far suonare i musicisti e far cantare, soprattutto, i cantanti in studio. Li spingo oltre i limiti di quello che farebbero da soli. Mi preoccupo della qualità dei brani, degli arrangiamenti e delle performance prima di tutto. Nei mix dicono che si senta il mio tocco, ma io tendo sempre a mixare rispettando l’identità dei brani. Se ascolti i mix di Bonfire, Revolution Saints, Graham Bonnet e Kelly Keeling, tutti mixati nell’arco di pochi mesi l’uno dall’altro, suonano tutti e quattro diversi. Un disco di AOR, come quello di ogni altro stile musicale, ha delle regole da rispettare. Diciamo che nell’AOR, essendo un genere iper-prodotto, si tende a dare un po’ troppa importanza al vestito piuttosto che alla sostanza, ma è parte del suono avere la batteria con il rullo “a sparo delle Olimpiadi” o riverberi ovunque. Io tendo a mixare per il brano, rispettando il genere, ma inserendo sempre elementi che lo caratterizzino pur lasciando il tutto “classico” come sound. Ho sempre amato i mix ordinati e che danno carattere al disco. Forse, se esiste un segreto, è la passione. Io ogni giorno mi sveglio, mi approccio alla musica ancora con amore incondizionato ed estremo rispetto, e quando metto le mani su una produzione lo faccio da musicista, da produttore ma anche da fan e voglio innamorarmi di quello che esce dal mio studio.
Hai collaborato con quasi tutti i nomi più importanti del settore … qual è quello con cui hai sentito di avere la maggiore “affinità elettiva”? Con chi, tra i venerabili del settore che ancora mancano nel tuo straordinario curriculum, ti piacerebbe instaurare una partnership?
Se guardo indietro, forse c’è un solo disco che non avrei voluto produrre. Non posso nominarlo perché odio lavare in pubblico i panni sporchi, ma in genere lavorare con me significa lavorare a zero ego e molto rispetto e tutti accettano di buon grado il ruolo del produttore come guida assoluta del disco. Nella mia lista d’idoli mi mancano David Coverdale, Yngwie Malmsteen e Steve Perry. Per il resto ho lavorato in un qualche modo con tutti quelli che ascoltavo da ragazzo. A livello di affinità non nascondo che Fergie Frederiksen ha significato tanto come persona e come artista per me. Poter produrre il suo ultimo disco e viverlo ha cambiato il mio mondo. Pensa che il suo disco “Equilibrium” è stata la colonna sonora, con “From Now On” di Glenn Hughes, di un periodo molto buio della mia vita e aver avuto l’occasione di rivedere musica e vita con entrambi, lo vedo come compimento assoluto del mio essere musicista. Come dico sempre, “Who’s Luckier Than Me?”.
Con tutte queste collaborazioni prestigiose, in studio e sui palchi, immagino che gli aneddoti “bizzarri” si sprechino … ti va di condividerne qualcuno con noi?
Aneddoti, fin troppi. Soprattutto quando sei on the road con personaggi come Glenn Hughes, Steve Lukather e compagnia bella dei “nonni” degli anni ’70, o idoli del carisma di Josh Ramos e Ted Poley! Un aneddoto simpatico che non penso di aver condiviso ancora è successo con Fergie Frederiksen. Una sera dopo le registrazioni, cotti da ore in studio, decidiamo di andare a mangiare giapponese. Un ragazzo da un tavolo a fianco continua a fissare Fergie fin quando si decide a chiedermi “Ma è Fergie Frederiksen dei Toto?”. Alla mia conferma, il tizio esce di corsa dal ristorante e torna con dei cd da farsi autografare. Altre persone si avvicinano e iniziano a scattare foto con Fergie e paradossalmente anche con me. Scommetto in tanti manco conoscessero il personaggio in questione, ma dopo tutto il trambusto da paparazzi, ci siam ritrovati con la cena offerta dal ristorante in cambio di una foto con Fergie e me!
Le curiosità sul tuo operato sono ovviamente moltissime … scelgo di “soddisfarne” almeno una, che personalmente mi “stuzzica” particolarmente … com’è nata l’idea di “trasformare” “Nel nome del padre” di Francesco Renga in una bomba “adulta” da affidare ai Revolution Saints? Mi risulta che la cosa abbia creato un po’ di scompiglio nella “comunità melodica”…
L’idea è stata di Serafino Perugino, presidente di Frontiers. Mentre stavamo firmando i contratti per il disco dei Revolution Saints, mi chiese se avessi voluto fare un riadattamento rock di quel brano con testo in inglese. Con Frontiers io ho lo stesso editore di Renga quindi si trattava di registrarne una versione in inglese e presentargliela per avere la sua approvazione. Renga ha ricevuto il mio arrangiamento con il mio testo ed entusiasta della cosa, ci è rimasto quando gli abbiam detto che un membro dei Journey lo avrebbe cantato. Un giorno dovrei tirare fuori alcuni di questi demo … sarebbe bello far sentire le versioni “originali”.
Ora una domanda un po’ provocatoria … non hai paura che, con tutto lo “stacanovismo” che ti contraddistingue, si rischi una “sovraesposizione” del tuo trademark, con un relativo appiattimento creativo dei risultati? Dove trovi gli stimoli necessari a scongiurare il pericolo della routine?
Guarda, io sono molto critico con me stesso e se non ho ispirazione non scrivo. Molto semplice, se mi chiedono brani e non ho niente da dire, non scrivo. Idem per produzioni e lavori, per quanto possibile faccio quello che so di poter fare senza dover forzare la situazione. Di certo il fatto di potermi dedicare alla produzione, o ai tour, o ai seminari, o alle lezioni, mi aiuta a cambiare aria spesso, evitando di stagnare sempre sulle stesse cose.
Pensi che il melodic rock debba evolversi o ritieni che così facendo possa perdere la sua identità?
Il melodic rock non si evolverà mai. Almeno finché i fan non vorranno contaminazioni, cosa necessaria per evolversi. I fan del rock e del metal sono tra i più intransigenti a sto' mondo, quindi per ora lasciamo tutto com’è da trent’anni perché quando si parla di AOR ci sono delle piccole grandi regole che i fan vogliono rispettate, quindi, per ora le rispettiamo e va benissimo così.
Secondo una teoria piuttosto accreditata, il binomio tra rock e società è indissolubile e sarebbe questa una delle ragioni per cui negli anni novanta, a causa di recessione economica, conflitti e scontri razziali, l’edonistico “class rock” non era più in grado di rappresentare efficacemente le esigenze del pubblico … se così fosse, però, non si spiega perché nonostante la crisi attuale, il genere sembra aver recuperato un certo interesse … “nostalgia” più forte della “sociologia”? O forse solo un classico esempio di “ciclo naturale” delle cose e dei gusti musicali?
Penso sia una questione di cicli naturali. Negli anni 90 son tornate di moda sonorità tipiche degli anni 70 rivestite di un nuovo sapore tipico di quegli anni ma io non ho mai sentito nulla di così innovativo, se non per bands come Skunk Anansie, Soundgarden e pochi altri. Tanto di questo revival nel melodic rock (se mai possiamo chiamarlo tale) è dovuto a film come “Rock Of Ages” e sicuramente a un crescente interesse nel mercato statunitense a riguardo del rock. Guardando i numeri che fanno gruppi come Journey, Styx, Foreigner, Def Leppard nei tour negli US oggi rispetto a quindici anni fa è abbastanza facile capire che i fan son tornati a voler sentire un certo tipo di sonorità e sognare di nuovo con le hit più belle del rock.
Alessandro Del Vecchio e l’universo dei “social” … qual è il tuo rapporto con esso e la tua opinione sul “fenomeno” in generale?
Per me i social sono come un grande bar dove comunicare con i miei amici e un’ottima piattaforma per poter promuovere i miei lavori avendo un contatto diretto con le persone che comprano i miei dischi e seguono i miei tour. Per il resto penso che se usato correttamente sia un ottimo tool per noi musicisti perché i social hanno accorciato di molto le distanze tra musicisti e acquirenti. Da un lato ad alcuni musicisti andrebbero tolti facebook e twitter perchè riescono a ridicolizzare la propria posizione, ma il tutto rende l’intero business molto più umano.
E ora ti chiedo un giudizio sul pubblico del rock melodico, notoriamente piuttosto preparato e molto esigente, al limite “dell’incontentabile” talvolta … e poi ti chiedo cosa ne pensi di quello italiano in particolare … è vero che è esterofilo?
Il pubblico del melodic rock ha un solo difetto a mio parere: il fatto che tutto debba essere messo in determinati cassetti, tutto deve suonare come i classici degli anni ’80 e hanno grosse opinioni su ogni cosa. Di contro però questo difetto ha portato a un amore sconfinato per certe band e sonorità e tutto questo ha permesso al genere di sopravvivere. A volte penso che un po’ tutti vorremmo osare, ma a me va bene così. Il pubblico italiano è forte. Punto. Magari sono in pochi ma quelli che ci sono, vedi al Frontiers Fest o altri eventi, son tosti perché supportano e vogliono godersi la musica. Di certo tantissima esterofilia, piccole cattiverie e troppe critiche non aiutano la scena, ma le facce “note” che vedo agli eventi dove suono, sono quelle di persone che negli anni hanno dimostrato quanto amore hanno per il nostro lavoro.
La domanda precedente e la tua risposta mi consentono di sollecitare un tuo commento su quello che da un paio d’anni a questa parte è da considerare un vero “evento”, impensabile fino a qualche tempo fa … il Frontiers Rock Festival …
Un sogno per i fan, un sogno per i musicisti. Organizzazione ottima e la possibilità di avere in Italia artisti che altrimenti ci sogneremmo, oltretutto anche in un’ottima location. Sono fiero del lavoro svolto da Frontiers per questo evento e non smetterò mai di ringraziarli per avermi fatto salire su quel palco con le mie band e i miei artisti.
Non mi rimane che provare a “strapparti” qualche anticipazione sui prossimi passi del tuo lavoro …
Di ufficiale ho il disco della nuova band di Craig Goldy e Vinny Appice. Un disco di cui siamo tutti molto molto contenti. Suona molto Dio ovviamente ma con ritornelli molto melodici e aperti. Poi ho il nuovo Hardline in uscita l’anno prossimo, il nuovo Edge Of Forever (promesso!!!!), il nuovo Voodoo Circle che esce il prossimo novembre e molti, troppi, altri dischi. Di certo con me le novità non mancano, e sto anche producendo una delle voci migliori che ci siano sul pianeta, un cantante amatissimo dai fan dell’hard rock e dell’heavy metal e sto per iniziare un nuovo disco con Doug Aldrich … insomma, non so stare fermo!
Hai mai pensato a fare un disco da "solista"?
Allora, io sono un musicista da "band". Ora come ora mi “farebbe strano” un disco solista a nome mio.
Se fosse un progetto solista, sarebbe almeno "Alessandro Del Vecchio and The Blues Ball Congregation", e dalla denominazione si capisce che non sarebbe AOR … e non perché non mi piace l'AOR, ovviamente, ma solo perché se facessi un disco nello stile con cui già lavoro tanto, temo risulterebbe un prodotto prevedibile, con tutto quello che la gente già conosce di me … onestamente riuscire a "inventarmi" qualcosa per essere originale nello stesso genere, sarebbe dura :-) ...
Farei, invece, un bel disco di blues “marcio” con una band di soli musicisti di colore ad accompagnarmi seduto dietro un bellissimo Hammond B3, intento a cantare di malinconie odorose di delta!
Con te mi piacerebbe ripristinare una vecchia consuetudine delle mie interviste … quali sono i tre dischi che ti hanno “cambiato la vita”? E già che ci siamo, qual è quello che ritieni in assoluto più sottovalutato?
Mi metti in difficoltà, ma direi questi:
Genesis “Selling England By The Pound”
Queen “A Night At The Opera”
Yngwie J. Malmsteen’s Rising Force “Marching Out”
Il più sottovalutato? Sicuramente nel nostro genere “Mr. Moonlight” dei Foreigner e “Too Hot To Sleep” dei Survivor che per me rimangono due tra i dischi migliori al mondo.
E sempre in fatto di “vita”, ti chiedo quali sono le tue passioni al di fuori della musica (ammesso che ti rimanga il tempo necessario a “coltivarle” :) …) …
Sembrerà strano ma ho anche passioni oltre alla musica e riesco, a fatica in alcuni periodi, a coltivarle. Mi piace viaggiare e ho scelto il mezzo più vitale del mondo per godersi il viaggio: le Harley-Davidson. Ne ho due e tutta la mia famiglia viaggia con bi-cilindrici. Poi ho una grande passione per una razza canina che ritengo sia unica: il Cane Lupo Cecoslovacco. Un ibrido magnifico tra Lupo dei Carpazi e Pastore Tedesco, un cane dall'aspetto e l’intelligenza lupina ma con la dolcezza e l’addestrabilità (ok, non è facilissimo addestrarli) del cane. Ne sono letteralmente innamorato!
Grazie mille Alessandro, per la disponibilità e per quanto stai facendo per la “causa” … io per ora mi fermo qui, ma tu hai ancora la possibilità di sfruttare questo spazio, se ti va, per salutare i nostri lettori e per urlare al “mondo” quello che ti pare!
Prima di tutto, grazie per avermi dato quest’opportunità e grazie a voi per il supporto che date a noi musicisti. Continuerò a far musica dal cuore e spero di continuare a rendere felici le persone che comprano i miei dischi magari rendendoli orgogliosi di essere italiani:-).