Fleshgod Apocalypse: benvenuti alla corte del Re!

Considerarli il nostro orgoglio nazionale sarebbe veramente fin troppo riduttivo. Nel corso di pochi anni, i Fleshgod Apocalypse sono stati in grado di portare l’orgoglio tricolore al di fuori dello stivale, diffondendo un genere musicale particolarmente amato all’estero fuori dalle propria mure domestiche. Freschi di release con il loro quarto album, “King”, la band di Tommaso Riccardi si dimostra ancora più cattiva ed intrigante. In occasione dell’unica data italiana tenutasi al Fabrique di Milano lo scorso 18 aprile, abbiamo avuto la possibilità di incontrare il mastermind perugino il quale, nel corso di una breve mezzora, ci ha portato a scoprire interessanti retroscena inerenti proprio a quest’ultimo album.

“King” è uscito da pochi mesi e già ha avuto un riscontro veramente notevole sia dai fan che dalla stampa. Che tipo di accoglienza ha avuto?
Grandiosa, direi… non che non fossimo fiduciosi, ma è andato molto bene! Le review in generale sono state positivissime, voti molto alti, ma al di là di quello l’apprezzamento tecnico, sia quello dalla parte della stampa in generale, di chi ascolta i dischi anche per lavoro, e poi tanto da parte dei fan. “The Fool”, che abbiamo messo fuori come singolo tre settimane prima dell’uscita del disco, in pochissimo tempo ha fatto più di 200 mila visualizzazioni ed è solo un audio, non è nemmeno un videoclip! È andato velocissimo! Il video di “Cold As Perfection” sta andando molto bene, così come il lyric video di “Gravity”… In generale la risposta è stata fantastica, poi questa è una cosa che si vede subito nei live, nel senso che a parte iniziare un tour da headliner negli Stati Uniti con una full production e tutto quanto era una bella sfida. È la prima volta che facciamo una cosa così in veste di full headliner con un tour lungo, con tutta la crew ecc… però è stato un successone da subito! Su 20-22 date, la metà era sold out e l’altra vantava comunque locali pieni. È stato veramente bello! Pochi giorni dopo l’uscita del disco – e questa è una cosa che mi ha veramente colpito – è stato vedere tanta, tanta gente che canta i ritornelli dei pezzi del disco nuovo che era uscito da cinque o sei giorni! Poi è chiaro, uno magari si scarica prima il disco e quello che ti pare, però non avevo mai visto una reazione così! Questa è la reazione dei fan che oramai sono fan di un gruppo, non si tratta più di gente che dice: “ok, mi piacciono i fleshgod, vado al concerto, conosco le canzoni, so qualche pezzo”. Si tratta perlopiù di persone che dicono “Ok, sono un fan di questo gruppo, mi piace, leggo il booklet, so i testi, ci vado, so tutto!”. C’è l’evidenza della presenza di fan che sono veramente uno zoccolo duro ormai! In generale anche questo tour sta andando bene, è un tour particolare poiché noi siamo tanto “fuori dal coro”, quindi vi è meno pubblico nostro, però può sempre essere utile, perché molta gente non ci conosce e vedo che c’è subito interesse. Fa parte tutto di un lavoro che va fatto, per cui va tutto molto bene!
Il disco, un altro concept, si basa su una corte immaginaria e ogni pezzo dell’album parla di un personaggio. Tutti i personaggi interagiscono tra loro, abbiamo già imparato a conoscere la regina con “Cold As Perfection”, ma cosa possiamo dire del Re? Che cosa rappresenta?
Il Re rappresenta quella parte di noi, di ognuno di noi che è veramente in grado di riconoscere quali sono le cose importanti, quelle vere, quelle più concrete, più semplici, ovvero quelle cose delle quali abbiamo più bisogno! Purtroppo viviamo in un momento in cui la nostra società, anche se non vorrei essere politico, si è spinta in un punto in cui è stato creato, instillato nella gente tanto il mito del successo, della perfezione e della bellezza assoluta! È veramente un mito e siamo ad un punto in cui la gente dubita. Molti se lo chiedono, altri dubitano veramente del fatto che la bellezza e la felicità siano cose del tutto soggettive, quindi quando succede questo, succede che le persone fanno delle cose che potrebbero dar loro la felicità ma che vengono fatte con un atteggiamento derivato da un’imposizione esterna talmente forte che le stesse cose che, in realtà, li rendono felici li rendono frustrati! C’è gente che si sposa e fa figli ed è triste! Se lo fai, dovrebbe essere una cosa che, dal profondo del cuore, dovrebbe renderti gioiosissimo! Hai un figlio, è una cosa bella, pazzesca. Molti lo fanno e non riescono a gestirlo per il fatto che vivono troppo le cose nel dubbio, perché non riescono più a distinguere quale è il loro volere vero e quale è l’autoimposizione, il mito che ha creato intorno alle cose. Io ho fatto un esempio di una cosa che dovrebbe essere bella e che, quindi, in generale cambia le persone anche nelle situazioni peggiori… Noi siamo bombardati da tutta questa roba, dai reality show, dai talent show, è diventato tutto un fintume infinito ed è triste! Il Re rappresenta, quindi, una parte che noi tutti abbiamo, nessuno escluso! È l’istinto più profondo, quello che sta prima di tutta questa sovrastruttura che ci siamo costruiti sopra che ci porta a dire: “Oh no, questo è buono per te, questo, invece no!”… e se è una cosa completamente diversa che piace al 90% delle persone… ma sticazzi! Detta proprio come va detta! È così, è la vergogna di essere diversi che ti porta poi a questa cosa qua! Il Re è questo e tutti gli altri personaggi in fondo rappresentano invece tutti gli atteggiamenti delle persone, della nostra società, che tendono a smantellare questa verità, una verità soggettiva. Nelle culture orientali la verità soggettiva è la verità assoluta, mentre la verità relativa è quella scientifica, perché deve sempre relazionarsi con paragoni e qualcos’altro; quella assoluta è la verità che tu hai, quella che tu senti! Quella è tua, non te la può toccare nessuno! Se senti una cosa, è quella! Il discorso è proprio questo, “King” parla di questo, di questo bisogno di tirar fuori il Re, quella parte di noi capace di prendersi la responsabilità di dire: “Io sono questo e basta!”.
Devo ammettere che questo disco mi ha colpito sotto vari punti di vista. Personalmente trovo che “King” sia molto più diretto e un filo più cupo rispetto ai vostri dischi precedenti, lo si percepisce anche dalle orchestrazioni, che sembrano addirittura essere pesanti, oscure e forse un po’ meno classiche rispetto ai lavori passati. C’è anche un equilibrio più omogeneo a parer mio… Proprio a causa delle orchestrazioni e della loro personalità esplosiva, avete rilasciato una versione orchestrale del cd, è esatto? Non l’ho sentita ma deduco sarà una figata bestiale...
È molto bella! È un’idea che avevamo da un po’, in realtà avremmo potuto farlo già su “Labyrinth”, anche perché lì c’erano tante cose dentro! È vero, verissimo che in alcune cose c’è meno “classicismo” perché il disco è molto vario, ha molte cose, è più cupo. Ci stanno anche tante cose moderne, più contemporanee, poi ci sono gli exploit come “The Fool” che suona barocco al 100%. Lo senti perché è un po’ il filo conduttore di ciò che facciamo, però ci sono dei pezzi come ad esempio “Syphilis”, che sembrano quasi pezzi doom! Ci sono atmosfere molto più pesanti, più moderne effettivamente a livello di arrangiamento orchestrale, quindi è verissimo questo! Abbiamo allargato lo spettro di quella parte della nostra musia, quindi alla fine per questo e anche perché comunque con tutto l’amore e il rispetto per tutto quello che abbiamo fatto finora, questo è stato un disco in cui per tanti motivi abbiamo fatto molti passi in avanti in termine di produzione e si sente! C’è voluto tempo per lavorare su alcune cose, poi ovvio che nel missaggio e nel mastering c’è un personaggio come Jens Bogren, salta fuori un discorso di disponibilità, di strumentazione di un personaggio con un’esperienza di un certo tipo che fa sì che, a livello qualitativo, ovviamente ti dà un senso all’investimento. È una cosa che dà una patina diversa a tutto quanto, quindi anche in base a questo e al lavoro che abbiamo fatto con Marco ai Kickstudios abbiamo pensato che l’orchestra suonasse veramente bene, pensando che fosse arrivato il momento giusto per realizzare questa cosa! Ci sono tante cose che succedono nella nostra musica che, purtroppo, nel complesso qualche dettaglio lo perdi… per forza! Io penso che un fan dei Fleshgod Apocalypse abbia la curiosità di sentire cosa succede in ogni singolo dettaglio dell’orchestrazione di un disco. Qui c’è proprio la possibilità di ascoltare quel lato della nostra musica totalmente a se stante da solo, senza nient’altro e… effettivamente è una cosa molto figa! Vedo che molta gente ha apprezzato perché l’obiettivo era proprio quello, dare una chicca, materiale in più che, però, ti dà la possibilità di capire tante cose che noi facciamo sotto una chiave diversa e di ascoltare l’insieme di tutta la musica in modo diverso.

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Un’altra questione che ha attirato la mia attenzione è legata a due cose: la prima è l’inserimento delle parti vocali “pulite”, una caratteristica questa che avevate intrapreso già con “Mafia” e la seconda è la partecipazione di Veronica Bordacchini, che già avevamo imparato a conoscere in “Agony”. Cosa potete dirci a riguardo? Mi è piaciuta molto la sua prestazione in “Paramour”…
Questo fa parte della nostra continua ricerca d’equilibrio e anche di gusto proprio nostro. Io penso che risalta subito il fatto che tu ascolti “In Aeternum” e Paolo canta in un registro molto diverso da quello usato fino ad ora. Fino a questo momento noi abbiamo sfruttato quei registri molto alti, perché lui li ha e sono molto belli e questa è la cosa molto divertente e bella! Se tu scrivi musica e segui un’ispirazione, poi dopo quando vai a mettere quella musica in pratica è la musica stessa che ti chiede delle cose, non è che tu puoi decidere. Ad un certo punto la musica prende il sopravvento, lei ti dice: “tu devi darmi questo, altrimenti io non funziono!”. Ad un certo punto, quindi, da una serie di atmosfere, la tipologia di riffing, il tipo di canzoni che stavamo scrivendo ci hanno fatto capire che c’era bisogno di cose posizionate e bilanciate in maniera un po’ diversa. Abbiamo fatto questa prova, ci siamo detti di provare a fare questo pezzo dove Paolo cantava in un registro più basso e “sporco”, aggressivo, usando una voce sì pulita ma molto più graffiato… ed è venuto fuori fighissimo da subito e ci siamo detti che andava fatto! Come hai visto, ci sono dei pezzi dove si spinge più su, non è mai lassù in cima, sta sempre tra le sue note medie e quelle alte che tocca a tratti, ma sta sempre su quel range lì; contemporaneamente abbiamo anche usato Veronica in maniera diversa, l’abbiamo proprio sfruttata di più nel vero senso della parola! Secondo me c’è anche il fatto che Veronica ha quel timbro particolare, con voce lirica e note molto alte, è un mezzo soprano, mentre Paolo ha un timbro più accattivante, risultato perfetto in un disco cupo come questo. Abbiamo fatto in modo che le due cose si sovrapponessero molto di meno in modo tale che tutti e due coprissero degli spazi che, alla fine, permettessero una maggiore varietà perché, a parer mio, questo disco è molto più vario rispetto ai dischi precedenti. Ci siamo lasciati portare da quello che veramente sentivamo essere giusto in quel momento ed in questo particolare caso è venuto fuori che questo era il modo migliore. Per quel che riguarda “Paramour”, è stato un insieme di cose, è stata una cosa particolarissima. C’erano una serie di motivi, un po’ come quello relativo all’orchestrazione, dove c’era un pezzo pianoforte e voce femminile che tira fuori tutto un aspetto della nostra musica che c’è sempre, ma dove ti permette di ascoltare quella parte della nostra musica isolata… È anche un vero e proprio tributo perché è un tipo di composizione ispirata al foglio d’album, al laid, a tante forme del periodo romantico per pianoforte e voci, quindi erano canzoni composte in quel modo, con quel tipo di regole… quindi riprende veramente quello stile, si sente, a livello stilistico è un vero tributo ad un certo tipo di musica. Il fatto, quindi, di mettersi a scrivere quel tipo di cosa è stato divertentissimo, a livello pratico è uscita di getto tant’è che è stata scritta in poche ore proprio perché era divertente farlo! Alla fine ci siamo detti di piazzare il brano in una determina posizione perché dà quello stacco fichissimo, prima troviamo “Mitra”, che è un pezzo pesantissimo, marcissimo, è la scuola dei Fleshgod Apocalypse ai massimi livelli, e in seguito arriva “As The Future Beholds” che è una mazzata in faccia… quindi l’abbiamo messa in un punto che permette di avere un po’ di respiro pazzesco per poi ritornare alla parte finale del disco che riparte più pesante, poiché troviamo “Gravity”, “A Millions Death”… tutti pezzi pesantoni… Abbiamo scelto il tedesco perché era troppo figo, ahaha! Nell’opera c’è tantissimo tedesco in generale, era bella l’idea del tedesco per una serie di motivi, poi comunque l’ambientazione immaginaria del disco è il periodo romantico e il pezzo deriva da una parte di un poema di Goethe chiamato “Die Leidenschaft bringt Leiden” (“La Passione Porta Dolori”, ndr), che è proprio il romanticismo sturm und drangt al massimo… Quello è proprio uno degli emblemi dello sturm und drangt e ci siamo detti di prendere due piccioni con una fava! Ci stava perfettamente! A me è piaciuto molto, proprio perché il tedesco gli dà un’impronta diversa e, per quanto ci siamo impegnati, la pronuncia è italianizzata un po’, abbiamo avuto un buonissimo tutor quindi alla fine è venuta fuori una bella cosa. I tedeschi non si sono lamentati, quindi va bene!
Parlando invece del tour, oggi siete di nuovo a Milano. Come vi sentite ad esibirvi di nuovo in casa, questa volta accompagnati dagli Ensiferum e dagli Heidra?
È stata una tournéé particolare, perché siamo tra due gruppi folk metal, quindi noi siamo “molto fuori dal coro”. A volte ho visto anche la sorpresa nel pubblico, il chè è buono perché è una delle ragioni per cui l’abbiamo fatto, ovvero proporci a pubblici un po’ diversi da quelli più affini al genere che facciamo noi… e ci sta! Con “King” abbiamo deciso di fare questa cosa, poiché è un album più trasversale e sta funzionando molto bene. In generale il tour è stato veramente bello, è un tour dove ci stanno tutta una serie di equilibri che se vengono a mancare è un casino! Nel nostro caso, c’è stata una disponibilità estrema del tour manager, della crew e degli Ensiferum, che sono persone tranquillissime, molto amichevoli, così come gli Heidra, anche loro molto tranquilli, nordici. Per tutte queste ragioni è venuto fuori un tour bello, i locali erano bellissimi, i pubblici erano grossi, bei numeri… E’ un tour proprio bello in generale, poi il fatto che c’è anche questa atmosfera che fa sì che dopo diventa tutto molto più facile, nel senso che quando c’è un relax diverso rispetto ad altre situazioni dove c’è più pressione, una persona suona meglio, è tutto rilassato. Adesso mancano quattro date, compreso oggi. È volato! È andato bene, poi oggi è un lunedì per cui non so cosa aspettarmi… Il locale è fantastico, non ho mai suonato qui… Tra l’altro, ci tengo a sottolinearlo, abbiamo suonato in locali belli e grandi, ma questo è uno dei locali più fighi del tour e, già da quello che ho visto oggi pomeriggio, ho una delle crew migliori di tutto il tour! È l’orgoglio! È fighissimo! Al Fabrique do un 10 e lode!
Come ben sai, ho avuto modo di vedervi live lo scorso anno e devo dire che più che assistere ad un concerto metal, sembrava di assistere ad un vero e proprio spettacolo. La cura del dettaglio, gli abiti di scena… è tutto molto magico, etereo… Personalmente, avendovi già visti dal vivo io so cosa aspettarmi ma cosa dovranno aspettarsi tutte quelle che persone che vi vedranno questa sera o che vi vedranno dal vivo prossimamente, come all’Agglutination?
Con un occhio necessariamente viziato, io penso che noi facciamo teatro in un certo senso e musica in un altro! Questo è quello che, secondo me, si dovrebbero aspettare! È uno spettacolo di musica, ma nel senso più teatrale, il che significa “ok, non è che scapoccio quando suono”, ma c’è un significato dietro le cose che facciamo e il modo in cui queste cose vengono proposte è sempre legato ad un concetto! Non è quindi solo il concept album, io penso che i Fleshgod Apocalypse siano una band di concetto, ovvero quello che facciamo è sempre legato ad un immaginario e ad un modo di pensare, di proporre le cose che poi si riflette nel tipo di energia che portiamo sul palco, delle cose che facciamo on stage. Questo è il fulcro della cosa e credo che, alla fine, sia quello che, piano piano, sta saltando fuori nella pratica, poiché vedo sempre che la parola ‘teatro’ viene associata alla nostra musica. È una cosa che mi piace molto e cerchiamo di espandere questa cosa sempre di più, di tirar fuori sempre più idee per avere questo tipo di impatto perché per noi l’aspetto teatrale è un aspetto che ricopre il 60% di un concerto che facciamo! Questo è il punto!

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Siete certamente una delle band più rappresentative del panorama italiano e uno dei gruppi maggiormente amati anche all’estero. Definirvi il “nostro orgoglio nazionale”, credetemi, sarebbe riduttivo. Secondo te qual è la chiave del vostro successo? Perché la gente è così attratta dalla vostra proposta musicale?
Grazie, troppo gentile! Io penso che quello che paga è sempre la qualità! Noi passiamo tantissimo tempo, spendiamo tutta la nostra energia da sempre nel cercare di fare qualcosa che abbia una qualità tangibile, non esiste “Scrivo un riff e faccio un pezzo”, non esiste: “Ho un’idea e domani la ripropongo sul palco così come viene”. Tutto è pensato, perché ci sono dei meccanismi che nelle emozioni che tu susciti nelle persone vanno studiati, rispettati, capiti! Noi abbiamo semplicemente messo tutto quello che avevamo a livello di risorse umane dentro ad una cosa a cui credevamo al 100% fino in fondo, sempre e in ogni istante e senza mai tralasciare il minimo dettaglio anche al costo di fare le nottate! Penso che questo sia il segreto in generale del successo – e non voglio usare questa parola in senso superficiale – per me non si tratta di: “Ah, ok, sono famoso”. No, per me non è così! Per me è una situazione di questo tipo, trovarmi in una situazione dove posso salire sul palco e avere la possibilità di scambiare un’energia veramente forte con le persone che mi stanno di fronte. Questo succede perché dietro c’è un lavoro enorme che ricopre il 99% del lavoro, di cui chiaramente il risultato finale è quando sali sul palco, ma è un risultato finale. È la punta di un iceberg davvero enorme che passa alla suddivisione dei lavori. C’è chi si occupa solo dell’accounting, chi della relazione con le etichette e con i manager, chi fa solo il booker e si occupa solo ed esclusivamente di tutti gli show, di come organizzare le tournéé… È un team ed è un team che ragiona come un’azienda, nel vero senso della parola! Questa cosa, però, vai poi tutta tradotta in senso emozionale, quindi serve avere entrambe le cose… Il fatto è questo: avere un sogno ma sognare con i piedi estremamente per terra! Se tu perdi un attimo è lì che la qualità crolla subito! È faticoso, ma secondo me non è nulla di nuovo nel senso generale, è una cosa vale per tutto quello che uno fa! Se una persona è precisa, dedita, ci crede e non lascia passare sé stesso e nessuna “porcheria”, allora nel tuo percorso, nonostante gli errori, arrivi al top! La media si alza e questo è lavorare continuare sul dare di più! Secondo me è questo il segreto!
Bene, purtroppo il tempo a nostra disposizione è letteralmente volato... Come la tradizione vuole, lascio a te la possibilità di concludere questa piacevole chiacchierata!
A me la parola! Questo è sempre il momento più difficile! Che dire? Proprio collegandomi a quanto ho appena detto, noi dalla nostra parte daremo sempre il massimo, quindi chiunque si imbatterà nei Fleshgod Apocalypse sappia questo. I Fleshgod danno il massimo, poi nel momento in cui succederà che non avremo voglia di dare il massimo… vuol dire che è tempo di smettere; fino a che avremo questo istinto, che per ora è bello forte, vai tranquillo che..
Come si dice in inglese: “go with the flow!”
Esattamente! Questo è l’importante!
Intervista a cura di Arianna G.

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