Pubblicato lo scorso ottobre per Avantgarde music, un'etichetta sempre molto attenta alle realtà più valide in campo ambient-post black metal, Earth II rappresenta il momento più intenso, suggestivo e maestoso e nella carriera degli Earth and Pillars. Una band che ci ha concesso una lunga e dettagliata intervista per conoscere alcuni aspetti più intimi del progetto che si cela dietro la figura di Z.
Partiamo dal nome: Earth and Pillars, la terra e i pilastri. Un nome che evoca, se non sbaglio, radici solide, fondamenta, un legame stretto con la propria madre terra... come anche i testi, legati alla natura, alla terra, alla forza e lo spirito che la anima.
Z.: Il nome del progetto effettivamente richiama l’idea di radice. La dualità nel nome tra terra e pilastri fa riferimento alla dualità tra le nostre
anime, una più naturale ed una più umanizzata. Terra appunto, legame con la natura in senso molto
vago, e che ahimè l’urbanizzazione sta assopendo sempre di più. Pilastri, legame con le nostre origini, la nostra storia, le nostre religioni, i pilastri appunto sui quali costruiamo la nostra vita.
Quello che a volte mi sembra si dimentichi oggi è che la visione che abbiamo della natura è appunto figlia dei nostri
pilastri, mentre di per sé, la natura ha un’essenza a sé stante. I testi quindi hanno sì un tema naturale ma che in realtà è solo lo spunto per investigare lo stupore/frustrazione di fronte all'
inspiegabilità della natura. Temo che l’urbanizzazione delle nostre generazioni (accompagnata da una forte scientizzazione del modo di pensare) abbia completamente anestetizzato la pulsione spirituale nella nostra relazione con la natura... al punto che a volte parliamo della natura come un “altro” da noi, come un oggetto da osservare/utilizzare/modificare.
Per quanto riguarda la vostra formazione, qual è il ruolo di ognuno all'interno della band e nel processo di songwriting?
Z.: La formazione ha subito qualche modifica col passare degli anni, soprattutto a causa delle mie peregrinazioni. Al momento mi fanno compagnia Mark (M. oppure B. nel libretto...non ricordo) alla batteria per l’ultimo disco appunto “Earth II” e Radok ormai dal precedente “Pillars I”.
Il primo disco è stato composto ed arrangiato con F e I, come fossimo una band
standard: ci incontravamo almeno una volta a settimana in sala per arrangiare/sperimentare soluzioni differenti alle idee principali che avevo. Dopo circa un anno di lavoro (con una pausa di 6 mesi dovuta ad un mio soggiorno in Danimarca) siamo arrivati al completamento di “Earth I”.
Le cose a questo punto sono cambiate drasticamente: per motivi lavorativi ho prima vissuto 6 mesi in Olanda. Poi, per scelta di vita (ma anche in parte lavorativa), mi sono trasferito in Francia, nella regione di Grenoble, dove attualmente risiedo.
Questi spostamenti hanno forzatamente accentrato la band sulle mie spalle, al punto che “Pillars I” è stato composto in una solitudine totale. Allo stesso modo, “Earth II” è stato composto e progettato nella mia stanza: ho lasciato libertà a Mark di interpretare i brani come meglio li sentiva, secondo il suo gusto che trovo davvero azzeccato per Earth and Pillars... stessa cosa per Radok, che ha lavorato sulle linee di basso..ma non sono stato molto disponibile a
interazioni compositive con l’esterno.
In questo momento mi piacerebbe avere tempo e modo di creare una vera band attorno ad Earth and Pillars, ma troppe cose hanno preso la priorità nella mia vita sulla musica e non penso sia un progetto realizzabile nel breve termine. L’isolamento compositivo ha tanti aspetti positivi e sicuramente affascinanti (nel conoscersi e nel mettersi alla prova) ma ha anche una serie di limiti notevoli, da un punto di vista pratico (motivazioni) ed artistico (soliloquismo?!).
Tranne “Towards The Pillars”, che contiene 5 tracce, tutti i vostri album si compongono di 4 pezzi, immagino non sia una casualità...
Z.: Il fatto che “Towards the Pillars” abbia 5 tracce è una mera casualità. Al momento della sua registrazione, sono arrivato allo Stravert studio con alcune idee fissate ed altre più sperimentali. Lo stesso per Radok. Per 3-4 giorni abbiamo girato attorno a quelle idee fino ad arrivare alle 5 tracce che sono poi entrate nel disco.
Per gli altri dischi invece, la scelta dei 4 brani è in accordo con il ciclo delle 4 stagioni e dei 4 elementi. Ci saranno quindi 4 dischi (manca solo “Pillars II”), ciascuno con 4 brani e poi il progetto Earth and Pillars terminerà il suo corso. Lascio la porta aperta ad eventuali esperimenti come “Towards the Pillars”, ma non credo in nulla di più. L’essenza di questo progetto è molto forte, delineata ed in parte rigida...quanto meno, fortemente idealizzata e pura nel mio immaginario. Non è un progetto nel quale sia possibile un evoluzione stilistica che potrebbe giustificare una maggiore longevità. Penso che ciascuno di noi abbia un numero limitato di idee/cose da dire/comunicare prima di cadere inevitabilmente nella ripetizione. Se in più, ci si impone una maschera stilistica forte, come quella di Earth and Pillars, le cose possono diventare molto rapidamente banali. Per alcuni probabilmente, Earth and Pillars lo è già ahahahah.
Da parte mia, mi sono imposto una sana limitazione a 4 dischi seguendo un’idea di ciclo ben precisa fin dall'inizio. Se un giorno sentirò ancora il bisogno di comporre, che ci sono cose che posso dire, nulla mi vieterà di creare un nuovo progetto più libero e aperto.
I vostri testi sono ispirati a grandi poeti, Rilke, Shelley, e rivelano un rapporto intimo, forte e potente con la natura. Qual è il rapporto effettivo tra la musica degli Earth and Pillars e i testi letterari citati?
Z.: La letteratura in generale ha avuto e ha ancora oggi un ruolo molto importante nel mio immaginario e quindi in Earth and Pillars. Senza di essa, non credo avrei avuto la stessa spinta/lo stesso interesse rispetto alla composizione musicale e forse non sarei mai arrivato ad Earth and Pillars.
La scelta di utilizzare poesie composte da altri è un’ammissione di incompetenza vis-à-vis di questi autori. Ricordo che, durante la composizione di “Pillars I”, quando cominciai a rispolverare “Il libro delle ore” di Rilke, mi dissi: “
ma questi sono esattamente i testi che avrei voluto comporre io!!!”. Nacque così la decisione di riprendere esattamente le sue parole, rielaborandole un po’ (e quindi rovinandole con le mie mani), per calzare sulla musica. Da lì in poi, non mi sono più posto questioni. I testi, l’uso della parola in generale, non sono il medium che più mi appartiene. Meglio chiedere aiuto ai maestri che ci hanno preceduto per riuscire a veicolare in maniera rafforzata quello che cerchiamo di dire con la musica.
Chiaramente, la poesia si presta bene ad essere tramutata in testo e quindi riceve un’attenzione particolare da parte dei musicisti (penso ad esempio alla passione dei Drudkh per Taras Shevchenko). Però, nella creazione dell’immaginario da cui poi nasce la musica, anche la narrativa ha un ruolo di primo piano. Tolkien è chiaramente il nome al quale tutti facciamo più o meno riferimento (Summoning per citare LA band di riferimento), ma credo che il mondo fantasy in generale abbia un’influenza molto forte sulla musica black metal (e metal in generale). Non è un caso che negli ultimi anni ci sia un’esplosione di popolarità anche per il genere dungeon synth, che tanto facilmente riusciamo ad associare all'immaginario fantascientifico.
Nonostante abbia passato la trentina, sono ancora un avido lettore di romanzi fantasy (Robert Jordan, Brandon Sanderson, Scott Lynch, Joe Abercrombie, Brent Weeks), cosa che aiuta ad alimentare il mio immaginario e quindi la mia voglia di comporre musica. Il fantasy è spesso denigrato come genere infantile/adolescenziale, ma credo che negli ultimi anni molti autori si siano spinti ben al di là del semplice immaginario “folletti ed orchi” per trattare temi di grande profondità. Non che lo stesso Tolkien avesse solo e soltanto un piano di lettura banale e fiabesco, ma come spesso accade, l’evoluzione ha portato una tridimensionalità maggiore al genere.
Hai mai pensato di arrangiare la vostra musica in maniera più maestosa, nel senso di “sinfonica”? Mi viene da pensare ai brani “Lakes” o Myth” con una spinta in più…
Z.: Se per sinfonico intendi l’uso massiccio di synth pacchiani alla Dimmu Borgir, no non ci ho mai pensato. D’altra parte, già con “Pillars I” ed ancora di più in “Earth II”, la presenza dei synth è (per il mio orecchio) davvero marcata. Forse non tanto nel muro di suono totale, quanto nella definizione della melodia. Anche da un punto di vista compositivo, devo dire che negli ultimi anni mi sono trovato sempre di più ad utilizzare i synth per comporre le melodie ed in seguito ad arrangiare le chitarre attorno a quelle.
L’effetto sinfonico è però riscontrabile nei layer di suono presenti. Molto spesso sono impossibili da discernere, ma in ciascuna canzone ci sono almeno 12 linee di chitarra distorta e, a seconda dei brani, 5/6 linee di synth. In “Earth II” ci sono anche le linee di chitarra classica (un vero problema/dilemma di mixaggio per il povero Radok). Quindi, seppure in una forma molto differente da quella a cui spesso facciamo riferimento, direi che c’è un’anima sinfonica in Earth and Pillars.
Possiamo pensare a “Towards the Pillars” come ad uno spartiacque nell'evoluzione musicale della band?
Z.: Si sicuramente. Il periodo di composizione di “Pillars I” e soprattutto di “Towards the Pillars” hanno coinciso con la mia personale scoperta dei synth. Non che non fossero già presenti in “Earth I”, ma transitare da un composizione guitar-based ad una synth-based mi ha rinfrescato molto le idee. Credo che molto cose apparse in “Earth II” (ed in futuro in “Pillars II”) non sarebbero tali non fosse stato per i synth.
In questo momento faccio molto fatica a comporre musica lontano dai synth: qualunque idea di chitarra, prima di essere selezionata o scartata, passa attraverso una immersione nei synth. Una volta aggiunta questa tridimensionalità prendo una decisione.
L’altro elemento fondamentale nell'identificare una sorta di spartiacque è il passaggio alla chitarra classica come primo strumento a corde. Da ormai un 3-4 anni passo molto più tempo sulla classica che sull'elettrica, ragion per cui le composizioni sono in primo piano un intreccio classica/synth. “Earth II” ne è l’esempio, in “Pillars II” si ripartirà da questo intreccio per andare però un pelo oltre.....
Hai intuito subito che “Towards the Pillars” avrebbe inevitabilmente spostato la band verso qualcosa di “diverso” come poi ascoltato nell’ultimo “Earth II”?
Z.: Non penso che la diversità del risultato fosse in sé chiara nel momento in cui ho cominciato a registrare le idee per “Earth II”. Non so se sia solo il mio caso, ma penso che per tutti i musicisti non-professionisti ci siano molte fasi di sovrapposizione tra la composizione/registrazione di un disco e quelle del successivo rispetto ai professionisti. Faccio un esempio: le registrazioni di “Earth II” si sono spalmate su praticamente 2 anni, di conseguenza, se a questi 2 anni aggiungo il periodo di composizione che era già cominciato mentre “Pillars II” veniva registrato...ecco insomma non riesco a separare nulla. Dal mio punto di vista tutto è un continuum molto naturale, un’evoluzione garbata e molto dolce tra un disco e l’altro, tra una canzone e la successiva.
Per un ascoltatore esterno, immagino la percezione possa essere molto differente ma non ho mai avuto migliaia di feedback da parte di fan ed amici per potermi costruire un’opinione. Tanto più che nella stragrande maggioranza dei casi ricevo dei commenti come “Fighissimo!”/“Top!” che mi fanno pure dubitare della sincerità dell’opinione e della verità dell’ascolto.
Nella recensione ho scritto che “Howling può essere considerato l’attuale manifesto sonoro della band ”, è giusto?
Z.: Decisamente sì. In ogni disco Earth and Pillars l’ultima canzone assume un ruolo particolarmente importante nel senso che chiude un capitolo e allo stesso tempo è l’apripista per il successivo. Gli elementi importanti e fondanti di quel brano sono spesso l’incipit del disco successivo. Almeno ai miei occhi. “Howling” che tra l’altro Avantgarde scelse come preview del disco incarna in maniera perfetta tutto quello che il disco vuole tramettere: da un punto di vista di presenza, troviamo tutti gli elementi portanti ovvero inizio con chitarre classiche e synth, che poi lasciano spazio sempre di più al synth ed all’intreccio delle melodie con il muro di chitarre distorte. Senza voler troppo anticipare ma “Pillars II” ripartirà da qui per poi poter chiudere il cerchio.
Adesso che è passato qualche mese dall'uscita di “Earth II”, ti senti soddisfatto, senti che sei riuscito a cogliere l'essenza della musica degli Earth and Pillars?
Z.: Già prima dell’uscita ero entusiasta e pienamente soddisfatto di quanto realizzato. Colgo l’occasione di ringraziare Radok e Mark che hanno reso possibile tutto questo. Fin da ragazzino sognavo di poter registrare un disco basato su chitarre classiche e diciamo classico nel senso black metal. Radok e Mark, con ruoli molto diversi, mi hanno permesso di farlo!
Per cercare di rispondere in maniera più esaustiva alla domanda...l’uscita in sè non ha portato molto in termini di percezione personale di “Earth II”. Forse, se devo essere sincero, mi ha pure un po’ deluso nel senso che ho la netta sensazione che il primo disco abbia riscosso molto più interesse. Penso che il mercato moderno sia molto più recettivo verso la novità/nuovo nome che per l’evoluzione compositiva a lungo termine. Oppure e molto semplicemente, quello che mi emoziona e mi spinge a comporre non risuona altrettanto nell'immaginario degli ascoltatori.
So che non vivi in Italia ma in Francia, quanto può influire effettivamente il luogo in cui si vive sul genere di musica che si compone?
Domanda molto interessante. Penso che influisca enormemente ma non necessariamente nel senso più diretto a cui tutti potrebbero pensare. Ovvero, non credo all'equazione “vivere nei boschi=black metal” e “vivere in città=techno”. Nel periodo in cui abitai in Olanda per esempio, composi la stragrande maggioranza dei riff di “Pillars I”, disco puramente montagnard ed in quel caso penso che la distanza dalle mie montagne, la nostalgia e la malinconia per il non poterle salire abbia giovato enormemente a trasmettere una certa energia attraverso la musica. D’altra parte, ho sempre associato il black metal alla natura (al mistico in senso più generale), e quindi in un’ottica musicale non posso che prediligere uno stile di vita più “boschivo”. Trovo molta più ispirazione ed energia nella natura, ed in particolare in montagna, che in città. A dirla tutta, non trovo più neppure una sorta di energia repulsiva nelle città, cosa che mi accadeva alcuni anni fa: negli ultimi 4/5 anni, quando devo passare più di 2-3 giorni consecutivi in una città, sono semplicemente svuotato di energia. Ho trovato un equilibrio molto sereno nella mia vita, che richiede però la possibilità di praticare la montagna costantemente.
Il motivo principale del mio trasferimento in Francia è dovuto alla possibilità di poter svolgere il lavoro per il quale ho studiato (in questo momento sono professore/ricercatore universitario) restando molto vicino alle montagne: vivo a Grenoble, città che mi permette di soddisfare le mie passioni (sci-alpinismo, arrampicata, alpinismo) quotidianamente, con una mezzora di macchina. In Italia non sarebbe (stato) altrettanto facile, anche se non nego che rifletto spesso sulla possibilità di cercare una soluzione per ritornare a casa, magari verso Trento o Torino....mai dire mai.
Com'è il vostro rapporto con la Avantgarde, un'etichetta che davvero riesce a produrre musica di altissima qualità, dando anche spazio a packaging molto curati e particolari?
Z.: Ho un rapporto molto diretto con Roberto di Avantgarde. Ci sentiamo per telefono regolarmente, chiaramente nei periodi di uscita dei dischi le cose si intensificano non poco, ma direi che la stima (spero reciproca) e l’amicizia ormai prescindano dalla musica. Dice di pensarmi intensamente ogni volta che sente parlare di un morto in valanga ahahahah
Umorismo a parte, sono molto contento di come le cose si sono sviluppate per Earth and Pillars e nulla di tutto questo sarebbe stato possibile senza Avantgarde. Fin dagli inizi, Roberto mi ha dato fiducia totale, ha ascoltato le mie richieste senza mai lamentarsi (ad esempio la scelta del formato A5 per i digipack) e semplicemente ha realizzato tutto il realizzabile del progetto Earth and Pillars. A volte, come nel caso del box cassette (francamente un oggetto magnifico), rimettendoci pure dei soldi pur di darmi ascolto. Il mestiere delle etichette è in questo momento molto più difficile di quanto non si pensi: l’unico formato che davvero vende sono i vinili. E sui vinili si gioca spesso sul filo del rasoio del fare stampe limitate (non si vendono più 5000 copie come negli anni 90) ma non troppo (per non far schizzare i costi di produzione della singola copia). Personalmente, mi dispiace che alcuni abbiano perso la possibilità di acquistare il vinile giallo limitato di “Earth II”, ma non posso biasimare la scelta di non voler rischiare di avere, per ogni produzione, 200 copie invendute sul groppone. Ad un certo punto, tutto sarà ristampato, magari in numeri ancora limitati in modo da dare a tutti la possibilità di avere un qualcosa di unico associato ad Earth and Pillars.
Un'ultima domanda... Quanta importanza riveste la band nella tua vita?
Z.: Earth and Pillars è stato il fulcro della mia vita per molto tempo, almeno fino al 2016. E nonostante il progetto in quanto tale abbai preso forma solo nel 2011/2012 (??? Credo ???), nella mia testa ci lavoravo già da tempo. La musica in generale è stata davvero LA priorità della mia vita nel periodo 2006/2016. Le cose hanno cominciato a cambiare lentamente intorno al 2012/2013. Ho cominciato a legarmi alla natura ed alla montagna sempre di più, fino al punto di transizione nel 2016 quando ho scelto di trasferirmi in Francia per realizzare i miei progetti relativi alla montagna.
Non ho mai abbandonato e mai abbandonerò la musica, ma in questo momento sento che non riveste più il ruolo vitale che rivestiva alcuni anni fa. Senza voler citare frasi da Bacio Perugina, ma tutte le cose hanno un ciclo, Earth and Pillars ne ha uno ben preciso che si concluderà con “Pillars II”. E credo che anche la mia relazione con la musica stia seguendo un suo proprio ciclo. Forse dopo Earth and Pillars avrò voglia di continuare, forse no, ma tutto mi sarà più chiaro con il passare degli anni ed un po’ di distanza dalla musica farà sicuramente bene.
In ogni caso sarà quello che sarà ed Earth and Pillars rimarrà per sempre l’identità musicale di tutta la mia “giovinezza”. Un gran bel viaggio, una bella scalata ed un grande sogno che ho realizzato.
Intervista a cura di Burned_byFrost in collaborazione con Emiliano ‘Kalhyma’ Verrecchia.