Neraterræ, musica ambient d'autore

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Il progetto musicale Neraterræ dello spezzino Alessio Antoni giunge al secondo album, “Scenes From The Sublime”, disco molto bello che trae ispirazione da alcuni capolavori dell’arte pittorica mondiale. L’occasione è stata ghiotta per fare una chiacchierata con il nostro, non solo per sviscerare il suo immaginario musicale, ma anche per fare chiarezza su alcuni equivoci riferiti alla musica ambient e alla sua percezione negli ascoltatori, soprattutto tra quelli che potrebbero essere gli utenti medi di un sito come metal.it.

Comincerei con una introduzione al progetto Neraterrae. Come nasce? Quale è il tuo background musicale?
Ho seguito studi classici di pianoforte per anni, sono passato per qualche tempo alla chitarra, ma la batteria è sempre stato il vero amore che non ho mai abbandonato. Col trascorrere degli anni, e dopo aver militato in una quindicina di progetti musicali (Prog, Thrash Metal, Death Metal, Hard Rock, acustica), decisi nel 2017 di produrre musica in totale autonomia. Ecco che nasce NERATERRÆ; probabilmente però i primi sentori di quel che sarebbe poi stato NERATERRÆ risalgono al 2009-2010, ma sotto il nome NHART.
Durante quel periodo sperimentai soprattutto in chiave Death Industrial, Noise, Power Electronics. Dopo una serie di registrazioni decisi di aspettare, di studiare, di dedicarmi ad altri generi.
Fu solo nel 2017 che decisi di riaprire quel cassetto, di rifare il mix ad alcuni pezzi e di metterli online verso fine anno in forma di digital EP: “The NHART Demo[n]s”, una raccolta di demo.
Nonostante le coordinate musicali fossero cambiate negli anni, in favore di sonorità meno aggressive e pesanti, decisi comunque di pubblicare l’EP sotto il nuovo nome NERATERRÆ, nome attraverso il quale stavo già lavorando a del nuovo materiale che sarebbe poi divenuto nel 2019 il mio primo album, The Substance Of Perception.
Dal punto di vista musicale quali sono gli artisti ambient che più ti hanno influenzato?
Traggo ispirazione da un discreto numero di artisti stilisticamente diversi l’uno dall’altro, e si và ben oltre l’ambient, ma, rimanendo in questo genere, quelli che al momento mi vengono in mente sono: ASC, Atrium Carceri, Bass Communion/Steven Wilson, Biosphere, Brian Eno, Carbon-Based Lifeforms, Cities Last Broadcast/Kammarheit, Flowers For Bodysnatchers, Jon Hopkins, Kevin Moore, Lustmord, New Risen Throne, Northaunt, Richard Barbieri, Solar Fields, Ulver. Sicuramente avrò dimenticato qualcuno.
Come si diventa musicista dark ambient? Essendo un genere poco diffuso nel mainstream musicale, sarebbe interessante sapere come un neofita potrebbe approcciarsi a questo tipo di musica e quali requisiti sono necessari per comporre questo tipo di musica.
Trovo che l’etichetta di musicista “dark ambient” sia riduttivo (come lo è, a mio parere, quella di batterista “death metal”), penso all’essere musicisti e/o compositori in un’accezione più ampia, si ricerca il proprio io nello/negli stile/i musicale/i più affine/i, non la vedo come una scelta, ma come una necessità intrinseca del singolo.
Si potrebbe essere guidati, come nel mio caso, dalle esperienze di vita più che dai gusti musicali. Personalmente, dopo aver seguito anni di studi classici di pianoforte ed altri di batteria, mi sono sempre più avvicinato all’aspetto tecnico del suono, solo così, dopo aver seguito corsi di ear-training, di tecnica del suono ed essermi fatto un po’ le ossa sul campo ho assimilato i concetti portanti della musica d’ambiente, che sia questa stilisticamente oscura o meno.
Per i metallari o comunque i meno avvezzi al genere la musica ambient viene spesso definita come musica tutta uguale oppure musica da sottofondo, da colonna sonora, e la critica più sprezzante è che sia musica dove non ci sono abilità perché non si suona alcuno strumento, quasi come fosse musica da DJ. Il concetto di “tanto basta comprarsi una tastierina Bontempi e in 3 minuti suono musica ambient” è molto diffuso tra chi non conosce il genere. Sovente si fa anche confusione tra generi musicalmente e concettualmente anche molto diversi, come ambient, noise, industrial, death industrial, martial e via dicendo. Cosa ti senti di rispondere?
Credo che si dovrebbe sempre avere il diritto di poter esprimere la propria opinione; detto questo, in musica (come per tutti gli aspetti della vita) penso sia fondamentale saper ascoltare, informarsi per capire e poi metabolizzare, dico questo perché se si cade in un luogo comune come quello da te citato, è perché non si conosce l’argomento o si prende come riferimento il percorso musicale post periodo black metal di Burzum. Dietro a tantissime produzioni metal (dai Dimmu Borgir ai Septic Flesh ai Tool, per fare qualche nome) e non, è ormai prassi trovare sound designers che spesso nel privato come compositori producono musica ambient (anche oscura), vedi i vari Brian Eno, Lustmord e Robert Rich.
Quindi, come dire, benché ci sia Ambient e ambient, penso si debba aver sempre la curiosità e il rispetto per ciò che apparentemente non fomenta il proprio spirito, perché potrebbe derivare da una lacuna personale.
Pensiamoci, succede costantemente di trovare chi, non essendo avvezzo al metal, non distingua il black metal dal death metal o il grind, finendo spesso per infilare tutto nel solito calderone e snobbare (o peggio, disprezzare), è sempre stato così. Ci vuole curiosità e apertura mentale.
Sai, probabilmente Burzum ha scritto tutti i suoi lavori “ambient” con quella Bontempi, ora che ci penso…
Adesso parliamo di “Scenes From The Sublime”. Come è nato il concept audiovisivo del disco?
Sono un appassionato di arte, lo sono da molti anni, lo devo a mio padre.
Colgo sempre l’occasione di visitare musei locali, basiliche/cattedrali/chiese quando viaggio, lo metto in conto ogni volta. Ecco, durante la scrittura del primo album, tra il 2017 e il 2019, in pieno “fermento creativo”, mi è capitato di spostarmi tra Parigi, Madrid, Toledo, Valencia, Bruxelles e Bruges, e, come immaginerai, non mi sono lasciato sfuggire l’occasione.
È stato un fluire naturale ed istintivo quello di coniugare l’amore per l’arte ed il sublime al mio progetto NERATERRÆ.
L’addentrarsi solitari e vagare di notte nell’ala di un museo, ecco, credo che nella suggestività di questa immagine ci sia molto di Scenes From The Sublime.
Cosa hai inteso cambiare rispetto al precedente debutto “The Substance Of Perception”?
La musica di Scenes From the Sublime è basata sulla mia personale visione di opere famose in tutto il mondo e sotto gli occhi di tutti; partendo da questo è cambiato che anziché descrivere e mettere in musica un mio sentimento o uno spaccato di vita, come nel caso del mio primo album, con Scenes From the Sublime ho voluto osare “prendendo per mano” l’ascoltatore ed immergendolo in quelle opere d’arte attraverso il suono.
Dal punto di vista più pragmatico o tecnico, con Scenes From the Sublime è cambiato il mio approccio alla produzione ed al mixing; inoltre ho voluto lasciare le redini del mastering a Kjetil Ottersen anziché provvedere io, come feci per The Substance of Perception.
I dipinti che hanno ispirato la musica hanno tutti una matrice oscura/occulta, da Bekzinski a Goya, passando per Böcklin, fino ad arrivare al grottesco/surreale di Dalì. Come è avvenuta questa scelta?
L’affinità con certi autori, come quelli da te citati, l’ho sempre percepita, è qualcosa che ognuno di noi prova, ovviamente, non si sceglie.
Durante la composizione dei pezzi mi sono soffermato a pensare a come L’Isola dei Morti di Böcklin (per fare appunto un esempio) potesse vibrare o “suonare”; all’inizio è avvenuto inconsciamente, ma col passare del tempo è stato palese che mi stessi soffermando anche su altri dipinti ponendomi la solita domanda, contemplavo le opere cercando il loro suono.
Quando sentivo la traccia crescere e vibrare con l’opera che stavo contemplando, capivo.
Quale dei dipinti presi in considerazione è il tuo preferito e perché?
Così mi metti in difficoltà…
Direi “Ivan il terribile e suo figlio Ivan” di Repin. Potrei riassumere il motivo soffermandomi sugli occhi del padre, dall’espressività disarmante. Il terrore, l’incredulità, il rimorso e l’inesorabilità del momento sono sensazioni che percepisco in modo pressappoco tangibile.

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Ti va di approfondire il concetto di Sublime del titolo?
Il sublime è stato uno degli argomenti prìncipi al centro delle discussioni filosofiche e artistiche del 1700 e 1800, da Burke a Schopenhauer passando per Kant (ma già ben da prima, nella Grecia del I secolo d.C.) ci si è sempre interrogati in merito al fascino esercitato sull’uomo da parte della grandezza e del mistero della natura. Questa grandezza, stupefacente, grandiosa e talvolta violenta ha ispirato, come nel caso di J. M. William Turner (per fare un esempio) tra le più romantiche visioni artistiche immaginabili, che si soffermano sull’implacabilità dei fenomeni naturali. Altro esempio è Caspar D. Friedrich, che, con la sua sensibilità, ha messo in evidenza la grandiosità della natura dinnanzi all’uomo.
Volevo partire da quell’idea, dalla grandiosità che ci circonda, grandiosità ed implacabilità che è stata impressa su tela da quelle menti che sono state in grado di canalizzarla.
Benché il sublime, nella forma appena espressa, non sia sempre strettamente presente nelle opere a cui mi sono ispirato, trovo che la potenza della natura che dà e toglie la vita, nonché della natura del tempo e della sua inesorabilità, possano essere letti in ognuna di quelle opere.
Nella recensione del disco ho detto che un approccio maggiormente industrial, con l’inserimento di pattern ritmici, avrebbe giovato al tuo sound. Che ne pensi?
Nonostante io sia batterista ti dico che questi primi due capitoli discografici sono nati con l’intento di non includere cellule ritmiche particolari, niente beats, patterns, arrangiamenti ritmici.
Devo però ammettere che sto lavorando ad un album dove i da te citati patterns ritmici saranno presenti, probabilmente in forma non convenzionale, ma ci saranno.
Sempre nella rece ho anche messo in luce il fatto che a fronte di un genere che spesso è isolazionista e egoriferito, ti diverti a collaborare con tantissimi altri artisti, quasi a creare un’opera collettiva. Come mai questa scelta/necessità?
Mi piace, e sì, và controcorrente rispetto a quel che di solito avviene in questo genere; non ho idea del motivo per cui nessuno lo avesse fatto prima, ma per me la musica passa anche attraverso la condivisione di idee, di scambi e di scontri, quindi è stato, per come concepisco io il fare musica, qualcosa di naturale avere a che fare con altri compositori, ad introdurli alle mie idee (o “visioni sonore”) e anche ad invitarli a collaborare.
Tornando alle collaborazione dal punto di vista tecnico/pratico/compositivo come avvengono?
Si parte sempre da una traccia che inoltro al compositore con cui ho a che fare, può essere una traccia completa sulla quale posso chiedergli/le di aggiungere qualcosa di ben preciso per arrivare al compimento del concept, oppure di dare poche opportune indicazioni e lasciare quanta più libertà si desideri. Molto dipende dalla singola canzone e dalle preferenze della controparte.
In linea di massima: chiarite le necessità concettuali del brano si passa alla scelta degli strumenti, dei suoni, in base alla tonalità e al cosa si vuole comunicare si può scegliere la progressione armonica, il come approcciare il sound design, dopodiché è un continuo spedirsi idee, modifiche e via dicendo, finché non si è soddisfatti del brano. Solitamente poi il processo termina con editing e mix finale da parte mia, che mando alla controparte per conferma.
Hai collaborato con molti artisti della CryoChamber, cosa pensi di quest’ultima etichetta e di Simon Heath (Atrium Carceri) come artista?
Ho avuto il piacere di chiacchierare un po’ con Simon, è un produttore visionario poliedrico e preparato, con un grande orecchio e una grande preparazione tecnica, ha uno spiccato senso imprenditoriale e la Cryo Chamber è un bell’esempio di imprenditoria discografica moderna.
Come sei finito sulla Cyclic Law? Tra l’altro il disco è uscito il 20 marzo, in piena pandemia. Come ha influito il covid sulla promozione del disco?
Mentre stavo lavorando al mio primo album iniziai inevitabilmente a guardarmi intorno dal punto di vista discografico e l’unica etichetta che contattai, per affinità, fu Cyclic Law, a cui inviai il disco una volta concluso, da lì nasce la storia con CL.
Il Covid19 ha sicuramente impattato sulla promozione del disco, ma non saprei dirti in che misura, in quanto, rispetto al primo album, il secondo muove sempre le acque in modo diverso. Di per sé l’isolamento domestico ha fatto sì che la gente trascorresse molto più tempo online e quel che ho notato è che, di riflesso, le uscite discografiche, i videoclip e gli eventi in streaming si moltiplicavano di settimana in settimana, rendendo tutto ancora più rapido e dispersivo del solito.
Se potessi immaginare un sound ideale come lo vorresti? Per darti un’idea il mio sarebbe un mix tra Nordvargr di “Awaken”, Lustmord di “Heresy”, Megaptera di “The Curse Of The Scarecrow”, Sephiroth e l’afflato mistico dei cori monastici di Raison D’Être.
Il tuo sarebbe un’armata di oscurità!
Al mio ci sto lavorando, il mio sound ideale passa in primis da buone idee, che devono necessariamente poi essere filtrate attraverso conoscenze tecniche e capacità personali, quindi il mio modo per arrivare al mio sound ideale è quello di studiare ed assecondare solo gli spunti e le mie idee più interessanti e talvolta fuori dal coro, mettendomi in gioco.
Nella scena italiana quali artisti ti piacciono/rispetti? Hai dei consigli da dare ai nostri lettori?
I primi che mi vengono in mente sono: New Risen Throne, Vestigial, Shedir, Aseptic Void, sono quattro produttori estremamente diversi tra loro, con sonorità e visioni differenti, tanto talento e tanta sostanza. Li raccomando caldamente.
Chiudi pure come preferisci.
Vorrei ringraziare te e la redazione per il tempo e l’attenzione dedicatimi. In più, un ‘grazie’ a chi supporta la musica
Intervista a cura di Luigi 'Gino' Schettino

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