HESPERIA, alle radici dell'Antica Roma

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Gruppo:Hesperia
Eccomi qui a fare due chiacchiere con Hesperus leader della one man band Hesperia, tornati alla ribalta col nuovo album "Roma vol. II".
Bentornato Hesperus, secondo capitolo dedicato all’antica Roma e ritorno a sonorità black metal, come mai questa scelta?
AVE Matteo! E grazie.
Solitamente per me musica e tematiche rappresentano un connubio inscindibile, e i due volumi su Roma sono concepiti (ispirandosi ai simboli romani) come il volume dell'aquila "Roma vol. I", più epico, classico, incentrato su Cesare, sorta di rock-metal opera e con poche escursioni nel black, e il volume del lupo (il nuovo "Roma vol. II"), diametralmente opposto, basato su Roma stessa: sette secoli di guerre praticamente ininterrotte dalla fondazione di Roma all'Impero di Augusto; quindi quale genere migliore del black metal? Il volume dell'aquila rappresentava la solennità, la regalità romana in Cesare, mentre il volume del lupo è la furia, la ferocia della guerra, la brama della conquista e sicuramente della vittoria.
Quindi Hesperia non è un progetto strumentalizzato da un genere, ma sono i generi ad essere strumenti per Hesperia: lo scopo non è il genere ma la resa della tematica di ogni album di Hesperia, che a sua volta è un progetto che porta il nome antico dell'Italia come terra oscura e del tramonto, un progetto concept sulle ere d'Italia, la nostra storia e cultura.
Il genere diviene anche il fine da un altro punto di vista: la creazione di qualcosa di personale ed appartenente alla nostra cultura, qualcosa che spesso ho chiamato "Metallvm Italicvm".
In questa occasione ho scritto dietro l'album "Roman Black Metal".
Il nuovo album pur essendo estremo risulta molto chiaro e nitido conservando però lo spirito selvaggio che il genere deve necessariamente avere, questo a cosa lo si deve?
In primo luogo è dovuto fondamentalmente ad un uso di diversa strumentazione: mentre nell'album precedente gli strumenti erano mirati per avere un suono più orientato al rock, qui era necessario costruire una “macchina da GUERRA", selvaggia, scatenata, ma precisa e sontuosa (sempre con le dovute atmosfere).
Una sette corde, una Demon 7 della Schecter è la chitarra che ho scelto appositamente per l'album, con pickup attivi, e poi una batteria con parti adatte al genere estremo, ma anche al prog (a questo proposito vorrei ricordare il mio endorsement per una ditta di eccellenti rullanti tutta italiana: la Sempiternus Snare Drum); altra nuova strumentazione (meticolosamente scelta) e nuovi software hanno contribuito.
In secondo luogo si progredisce e probabilmente ho affinato la tecnica della registrazione e del missaggio.
In terzo luogo il missaggio finale ed il mastering sono opera di uno noto studio francese focalizzato sul genere estremo, soprattutto black: il Wolfsangel (WSL) Studio di Patric Guiraud, che ha prodotto lavori di In The Woods, Arkhon Infaustus, Ad Hominem, Nordjevel, Hegemon, ecc.
Per quanto riguarda le parti vocali questa volta sono stati usati due (e non uno) microfoni a condensatore per catturare più sfumature della voce in ambiente, e credo che anche questo possa aver contribuito alla maggior nitidezza.
Anche se ho notato una differenza stilistica rispetto al precedente capitolo, non si può dire che non ve ne rimanga traccia, perché ho notato alcune influenze heavy metal e interventi puliti, hai voluto mantenere un collegamento?
Ci sono dei motivi musicali ricorrenti che collegano questo album sia al precedente "Caesar, Roma vol. I"che a "Spiritvs Italicvs", il che è dovuto al legame tra le tematiche: il secondo triumvirato dopo la morte di Cesare e l'impero nelle mani di Ottaviano Augusto suo figlio putativo, e il collegamento con l'Eneide di Virgilio (tra l'altro scritta dal vate proprio per l'imperatore Augusto, per glorificare la sua stirpe) in cui nella discesa agli inferi Anchise prediceva a Enea la sua discendenza, Roma, l'Impero, ecc.
L'HM classico ottantiano è comunque una delle mie grandi influenze, anche se in quest'album ha un peso minore o è usato in maniera differente.
Sono un cultore della NWOBHM, Maiden degli '80, Judas Priest, Running Wild, Savatage, Armored Saint, WASP, Dio, King Diamond/ Mercyful Fate nonché dell'hard 'n’ heavy ‘70-’80 in generale (Black Sabbath, Rainbow, Motorhead, ecc.).
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Ascoltando con dovizia il disco ho notato delle parti bathoriane, ma soprattutto progressive, estremizzate a dovere, che mi hanno richiamato gruppi come i britannici King Crimson o i nostrani Balletto Di Bronzo e New Trolls, ho avuto un abbaglio?
I Bathory sono di sicuro una delle mie influenze fondamentali, una di quelle da cui è partito il progetto musical-culturale Hesperia.
Ma è il loro insegnamento ad essere importante, il prendere il genere epic estremo e riempirlo, irrorarlo della propria cultura di appartenenza ed elementi affini.
In particolare il primo brano sulla fondazione di Roma (la Roma arcaica, Roma Quadrata) è dedicato esplicitamente a Quorthon nei crediti, perché l'influenza dell'epicità apocalittica di "Blood Fire Death" è sicuramente un forma musicale granitica e oscura che ho trovato adatta a descrivere la tematica in questione.
Per quanto riguarda il il prog, hai colto perfettamente nel segno e per me è un gran complimento.
Ascolto molto prog rock come i vecchi Genesis e King Crimson, e prog rock italiano dei ‘70 come Area, Goblin, PFM, Banco, Osanna.
Il prog metal lo ascolto di meno se lo intendiamo in maniera comune e letterale, mentre quello che ascolto è il progressive metal inteso in maniera trasversale come certo thrash e death tecnico (Coroner, Mekong Delta, Atheist, Pestilence...).
Certe composizioni complesse mi hanno sempre influenzato ed affascinato.
E' così da sempre fin dal primo album, solamente che prima componevo in maniera più istintiva, mentre nell'ultimo lavoro c'è più cognizione di causa, e dopo l'improvvisazione con i vari strumenti (che ha avuto molta importanza per creare "Roma vol. II") ho studiato ogni partitura nei minimi dettagli con metriche parecchio complesse e inusuali: oltre ai più comuni 5/8, 7/8 e 11/8 troviamo di tutto, dai 45/16, 13/16 ai 41/16, 15/16, …
In "Caesar" erano presenti in minima parte mentre qui predominano, sempre per trasmettere l'impeto della guerra, un ordine nel caos ma anche un estremismo pieno di grovigli tortuosi nell'impeto della battaglia.
Anche per le armonie e le melodie sono state utilizzate scale per me inedite e tematicamente attinenti.
Ad esempio in "Spartacvs" è stata utilizzata una scala esatonale Prometheus associata all'accordo "mystic chord" o pleroma chord (l'accordo della pienezza e totalità degli dei) per descrivere il titanismo di Spartaco.
O ad esempio in "Clades Gallica" sono stati usati degli standard tipici della musica celtica come gighe e reel, e scale esatonali usuali in quel tipo di musica (ed in altre molto vicine alla musica folk irlandese, di stessa matrice), essendo una strumentale che descrive il sacco di Roma ad opera di Brenno e dei suoi galli Senoni.
In "Carthago" è stata usata una particolare scala etnica ad 8 note per descrivere le sonorità delle ben note guerre puniche contro il popolo cartaginese.
Di particolarità e sottigliezze ve ne sono a valanghe nell'album, ci vorrebbe un saggio solo per parlare delle strutture, della composizione o dei vari espedienti esoterico-musicali.
In questo capitolo rispetto al precedente che trattava la storia di Caio Giulio Cesare, qui ti concentri sulla città di Roma, ci puoi parlare nel particolare da dove hai trovato le fonti e chi ti ha aiutato?
Le composizioni sono state ispirate anche da studi piuttosto approfonditi, e i testi principali sono riportati nel booklet in una piccola bibliografia di riferimento: Dumezil, Carandini, Polia, e anche il mio amico Andrea Verdecchia che oltre a contribuire all'ispirazione con il suo libro "I Miti Italici" ha supervisionato i miei testi in latino e la pronuncia antico romana.
In particolare ho optato per una scelta non proprio così diretta introducendo l'album con un lungo preludio archeo-ambient che, oltre a rievocare il ritrovamento dei gemelli da parte della lupa capitolina, ricostruisce a livello archeo-sonoro il rito di fondazione di Roma: l'avvistamento rituale degli uccelli, la lancia scagliata, le libagioni, il lituo, i tre nomi urlati, il solco con l'aratro e i buoi; tutto questo lo potete sentire e rivivere nell'introduzione all'album, poichè ribadisco che mentre il volume 1 di Roma era una monografia sulla figura di Cesare, una sorta di rock-metal opera, questo volume 2 è un concept su Roma stessa che parte dalla sua fondazione, ripercorre gli eventi salienti fino alla creazione dell'Impero Romano, che con Augusto ristabilì la "Pax Augustea" e l'età aurea dell'archetipo dio italico Saturno dopo circa sette secoli di guerre.
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Come mai la scelta di cantare in latino arcaico?

E' una scelta che è iniziata con "Caesar [Roma vol. I]", solo che il latino era usato in minor parte rispetto all'italiano, mentre in "Roma vol. II" è preponderante al 90% sull'italiano (e come abbiamo detto questo volume del lupo è in proporzioni inverse in tutto e per tutto rispetto al precedente volume dell'aquila).
La grammatica latina è quella del latino comunemente appreso oggi, ma la pronuncia non è accademica, bensì è quella "mediamente" usata dai romani all'epoca della narrazione (che comunque abbraccia ben sette secoli circa), scelta a mio avviso più filologicamente corretta per il periodo trattato, ed inoltre si adatta fortemente all'aggressività dei brani e del black metal, poiché foneticamente molto più dura e chiusa. Le consonanti sono praticamente tutte velari come (e forse più che) nelle lingue germaniche, le V e le U sono tutte pronunciate come U, ed altro ancora.
Non credo che un esperimento del genere abbia precedenti all'interno del rock e metal, se si eccettuano i The Black del geniale maestro Mario Di Donato, che comunque cantano integralmente in latino da decenni, ma con pronuncia "regolare" (mi si passi il termine).
La prima difficoltà è stata mettere tutto in metrica, la seconda adattarsi ad una pronuncia che a primo acchito risulta piuttosto innaturale anche per chi conosce questa lingua "morta" (e cosa c'è di più calzante di una lingua "morta" per un genere come il black o anche il death? E' la morte sua, ahaha)
Come ti trovi con la nuova label, la Hidden Marly Production?
Assolutamente bene. E' un'ottima etichetta, efficiente e professionale, con ottime band sia giapponesi che internazionali.
Purtroppo le etichette del genere oggi si contano sulle dita di una mano e mezza, e sono diventate l'eccezione in questo squallido mondo del music business.
La Hidden Marly fa capo alla Zero Dimensional Records, partita come etichetta focalizzata su ottime black metal band giapponesi e poi allargatasi a band internazionali (appunto con la sublabel Hidden Marly Production).
E' un marchio di tutto rispetto che può vantare stampe di band come Taake, Satanic Warmaster, Horna, Helheim.
Poi c'è anche il secondo contratto per l'uscita del vinile (previsto a primavera 2022 in tre differenti colori: nero, bianco marmorizzato e oro marmorizzato) con un'altra buona etichetta, l'olandese Doc-Records, più focalizzata sul death metal e con uscite come un doppio live dei Master (leggende del death anni '80).
In una chiacchierata che abbiamo avuto privatamente mi dicevi il tuo rammarico verso alcune vicende che ti hanno coinvolto personalmente dal punto di vista musicale, ce ne vuoi parlare?
Più che di rammarico possiamo parlare di un certo senso di nausea nel vedere a che punto sia arrivato il music business.
C'è stato un lungo lasso di tempo dall’ultima volta in cui ho fatto promozione presso le label.
Era il 2013, poi è subentrato un contratto di sei anni e tre album per la Sleaszy Rider Records, dopo di che, essendo scaduto il contratto e non avendo raggiunto un accordo con la label per questo ultimo album, ho iniziato a far promozione per cercare un nuovo contratto, e non posso fare a meno di notare come l'ambiente sia esponenzialmente peggiorato. In alcuni casi ho avuto risposte repentine, anche nei casi in cui non c’era interesse, ma è anche capitato che ci fossero etichette proponenti un accordo concreto, con quantità di copie stabilite, calcolo delle spese, semplicemente da accettare, e poi una volta ricevuta la mia conferma... più nessuna risposta, scomparse (e parliamo di nomi noti); la cosa si è verificata in diversi modi e con più di una label.
Per contro diverse etichette mi hanno risposto in maniera molto cortese anche quando non potevano stamparmi il disco (o per roster pieno o per ragioni di genere, gusti etc). C'è anche da dire che rispetto a 9-10 anni fa sono veramente poche le label che trattano pagan black, prevale il genere di matrice satanica, o intellettual-occulto (la scia del vecchio religious bm); se a questo aggiungiamo il fatto che i pochi produttori di pagan si concentrano su quello germanico, viking e via dicendo (e che a fare pagan black romano sono quattro gatti), possiamo affermare che Hesperia si conferma ancora oggi un progetto abbastanza di nicchia.
Questo ovviamente non giustifica la mancanza di professionalità di certi comportamenti nel settore, e nicchia o no personalmente mi ritengo professionale in tutto quello che faccio, anche negli impegni e nell'efficienza della comunicazione, e richiedo che il comportamento dall'altra parte sia altrettanto professionale.
Fortunatamente le label con cui si è concluso l'accordo sono davvero così.
Poi, se vogliamo parlare di certi settori di distribuzione o certi fan e fruitori o media mi inviti a nozze!
Oggi c'è quell'atteggiamento in alcune frange delle nuove generazioni, che nemmeno hanno vissuto il genere (ma lo hanno "subìto" negli ultimi anni), di poter avere la puzza sotto il naso e sindacare con saccenza su cosa è o non è oggi il genere stesso; per così dire una sorta di atteggiamento black radical chic (che lascia il tempo che trova).
Molte persone non scavano nemmeno più per cercare le band, e quando nel peggiore dei casi non si affidano ai grossi media e ai grandi canali di distribuzione, riducono il loro underground a certe pseudo-lobby della distribuzione e divulgazione "oscura" che filtrano le uscite e dettano i gusti di queste nuove e spocchiose..."élite" di cartoncino nero.
E ancora, fortunatamente, ci sono oggi le eccezioni che confermano la regola dell'odierna decadenza, tra fan, media, negozi e distro, chi conserva ancora quella genuinità tipica dell'underground, non chiusa su quei quattro nomi di band ormai noti e blasonati, né su un'attitudine black-trendy.
L'arte non è un insieme di standard né omologazione di atteggiamenti, suoni e immagini, è bene ricordarlo sempre.
Io ribadisco che tu ed altri gruppi nostrani meritereste maggior supporto dall’audience metal italiana, secondo te, perché c’è questa disaffezione verso le band italiane da parte dell’ascoltatore nostrano?
Discorso complesso dovuto a diversi fattori e concause, difficile da semplificare; il motivo principale potrebbe dipendere dal fatto che l'Italia, ormai dal dopoguerra, ha intrapreso strade che esulano dalla valorizzazione della propria cultura di provenienza e origine, per abbracciare un’esasperata esterofilia atlantista (e in casi minori orientale, mediorientale, afro, e chi più ne ha più ne metta), che ha trovato le sue più imbarazzanti espressioni prima nei '50 e poi negli '80-'90.
La musica non sfugge a questo tipo di sistematica "assuefazione" a stilemi, usi e costumi spesso e volentieri di matrice anglo-americana (un po' come diceva Renato Carosone, che pure aveva adottato il non-italico jazz ma svuotandolo e adattandolo a forme culturali tipicamente italiane come la canzone napoletana: "tu vuo' fa l'americano, whisky & soda & rock ‘n’ roll, ma sì nato in Italì").
Rock e metal hanno quelle origini, e ormai (soprattutto per il metal) il pubblico e gli stessi artisti sono assuefatti "passivamente" da decenni di testi cantati in inglese. Un'attitudine reattiva ed attiva sarebbe quella di appropriarsi culturalmente di un genere come è avvenuto in alcuni frangenti, ad esempio nel caso della nostra immensa scena prog-rock dei '70 (che ho menzionato prima); purtroppo nel metal sembra che questo tipo di meccanismo sia scattato a stento, con poche eccezioni notevoli.
Il fatto di rendere identitario uno specifico genere e quindi adattarlo alla propria cultura di appartenenza/origine è appunto quello che è avvenuto con il genere black metal in Norvegia, terra che non ha partorito questa specifica forma d'arte ma l'ha resa contenitore dei propri caratteri identitari. L'Italia ha cercato parecchio in ritardo di seguire questo esempio, spesso in maniera maldestra, altre volte meno, ma per molti fan del black o in generale del metal il cantato italiano sembra suonare male all'orecchio, o creare fastidio; come appunto dicevo, questo è il risultato di decenni di consolidato rock e metal anglofono, e non è assolutamente dovuto al fatto che la lingua italiana sia meno musicale dell'inglese, anzi tutt'altro (si pensi alla nostra tradizione poetica e alla musicalità di certi componimenti). Semplicemente, molti artisti non sanno come metterlo in metrica sopra certa musica (o non se ne interessano), a causa di mancanza di esempi d'ascolto che invece per l'inglese troviamo a migliaia.
E poi, lingua a parte, l'esterofilia è qualcosa di più vasto, legato specificamente a quella mancanza di attitudine ad apprezzare gli elementi che contribuiscono alla nostra identità, ciò che è familiare, ciò che maggiormente ti/ ci appartiene in favore di una fascinazione per tutto ciò che è più esotico, estraneo, distante.
Se l'italiano medio di oggi è questo ciò è dovuto a decenni di subdola, sistematica e mediatica volontà di plagio mentale e culturale da parte di forze della disgregazione tipiche del Kali Yuga, che hanno sortito il loro risultato come un fiume sotterraneo che scava a fondo, consuma e logora la roccia in profondità e prima o poi conduce al crollo della superficie senza che noi possiamo avvedercene.
Ciò non toglie che oggi in Italia ci siano quei pochi che seguono ed apprezzano l'attitudine identitaria di quei musicisti che, nella loro opera, intendono valorizzare le proprie valenze culturali.
A questo proposito consiglio una pubblicazione accademica intitolata "Sounds of Origins in Heavy Metal Music" (Toni-Matti Karjalainen, Cambridge Scholars Publishing) in cui tra i vari saggi ne troviamo uno che analizza il legame tra black metal e cultura italica, ed indica Hesperia come una delle band antesignane nell’aver introdotto elementi culturali di matrice italica nel genere.
In ogni caso, sia che si tratti di arte estera o italiana, bisognerebbe scavare di propria iniziativa per trovare tesori nascosti anziché accontentarsi dei soliti nomi eclatanti che, giunti alla fine della loro carriera, non propinano altro che fondi di concime esausto, sfibrato ma confezionato come oro colato dalla grande macchina del music business.
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Ultima domanda, cosa e dove pensi ti porterà questa nuova avventura?
Difficile dirlo. Innanzitutto con questo album ho coronato e concluso le opere che riguardano l'epoca romana, "Roma vol. I e II", come con gli album precedenti avevo già concluso l'epoca pre-romana (vista attraverso l'Eneide); quindi ora sarà la volta dell'epoca medievale in Italia, ma vista molto da vicino per quanto riguarda le mie origini marchigiane: il Medioevo sui Monti Sibillini e le leggende che da sempre ammantano queste mie oscure e amate terre.
Ti ringrazio davvero per il rinnovato supporto ad Hesperia e per questa intervista concessami, così come ringrazio la redazione di Metal.it.
VALETE!
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Intervista a cura di Matteo Mapelli

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