Corrosion Of Conformity (Pepper Keenan, vocals, guitars)

Il ritorno dei Corrosion Of Conformity è preceduto da una lunga attesa durata ben 5 anni, nei quali Pepper Keenan ci ha regalato due indimenticabili album con i Down e nei quali diverse esperienze hanno portato alla giusta maturazione della band prima dell’atteso ritorno con il nuovo “In The Arms Of God”, un disco in linea con la tradizione della band nell’era Keenan ma di certo con notevoli punti di distacco dalla precedente uscita rappresentata da “America’s Volume Dealer”

Dopo 5 anni dall’ultima realizzazione finalmente i CoC sono di nuovo sulle scene con un nuovo album; cosa è successo durante tutto questo tempo?
In questo periodo sono successe molte cose e ognuno di noi è stato impegnato in qualcosa di diverso anche se in ogni caso la band non si è mai sciolta. Personalmente sono stato impegnato con i Down per un paio di anni e anche gli altri ragazzi sono stati impegnati, muovendoci anche spesso da uno stato all’altro. Abbiamo realizzato un DVD e prodotto un paio di band provenienti dal sud mentre negli ultimi tempi ci siamo impegnati molto per realizzare il nuovo album.

Il vostro ritorno segna l’ingresso in formazione di un nuovo batterista, ce lo puoi presentare?
Stanton Moore è il nome del nostro nuovo batterista, si tratta di un mio caro amico che conosco sin da quando eravamo ragazzini. Ha sempre suonato generi quali il jazz e il funk, il che è anche una cosa abbastanza normale se vivi a New Orleans e sei un musicista, e proprio in questa città si è costruito col tempo una buona fama ed è attualmente molto apprezzato e rispettato. Durante la stesura del nuovo album ci siamo accorti che in alcuni punti ci voleva qualcosa che si spingesse oltre i soliti canoni, un’interpretazione più intensa e vibrante per le parti di batteria e per questo serviva un batterista in grado di fare un lavoro all’altezza. Non ci serviva un classico batterista heavy metal ma qualcuno con queste caratteristiche e con una maggiore sensibilità che spesso si può riscontare proprio nel jazz. Stanton era la persona più adatta a ricoprire questo ruolo, quindi l’ho chiamato e non ci sono stati problemi nell’intraprendere questa forma di collaborazione.

Puoi spiegarci il significato del titolo del nuovo album e che messaggio volete trasmettere con esso?
Un sacco di cambiamenti sono avvenuti nel mondo in questi anni trascorsi dalla nostra ultima pubblicazione, e questo ci ha dato sicuramente modo di affrontare diverse problematiche nelle nuove canzoni. Personalmente inoltre alcuni cambiamenti importanti sono avvenuti nella mia vita, ho perso amici e persone che amavo in questi anni e il titolo “nelle braccia di dio” fa riferimento sia a queste perdite, al tema della morte per riferimenti personali ma non solo, e al tempo stesso vuole rappresentare il punto di partenza per un nuovo inizio, per una nuova vita. Un riferimento va anche alla situazione sempre purtroppo attuale negli ultimi tempi delle numerose vittime delle fede, di coloro che in nome di dio sacrificano la propria vita; un altro modo questo di vedere la nostra società contemporanea vicina in maniere differenti alle braccia di dio appunto.

Musicalmente il nuovo lavoro era già stato anticipato come più pesante rispetto al suo predecessore “America’s Volume Dealer” ed effettivamente un maggior orientamento heavy è riscontrabile fin dal primo ascolto. Cosa ha portato a questo cambiamento di direzione?
Penso ciò sia il riflesso di quanto detto in precedenza: non stiamo passando tempi facili e così è stato anche in questi anni che ci hanno separato dall’ultimo album. Sono tempi più duri e anche la nostra musica ne ha risentito a modo suo; abbiamo molto più veleno da sputare ora che in passato e questo si riflette ovviamente anche sul lato musicale.

Tecnicamente come sono andate le registrazioni del disco e per quanto tempo vi hanno impegnato?
Abbiamo cominciato a New Orleans cercando di prenderci il giusto tempo e muovendoci anche in diversi studio, per un totale di 3 mesi dall’inizio alla fine delle registrazioni. Non abbiamo praticamente sovrainciso nulla, ho voluto che il disco suonasse come un demo, estremamente crudo e senza alcuna rifinitura tipica da studio di registrazione: il suono più heavy è dovuto anche al fatto che il disco è stato proprio suonato in maniera più pesante e aggressiva.

Quali saranno i prossimi impegni per la band in seguito alla pubblicazione di “In The Arms Of God”?
Appena finito il mio giro promozionale qui in Europa tornerò negli States dove gireremo le riprese per il video di “Stonebreaker”, la prima traccia del nuovo album, il quale posso anticipare sarà davvero interessante. Subito dopo cominceremo una serie di concerti, per prima cosa saremo in tour con i Motorhead…

Sai già più o meno quando sarete invece in Europa?
Di sicuro torneremo da queste parti, molto volentieri, anche se al momento non posso anticipare nulla in merito dal momento che non abbiamo ancora programmato nulla. La cosa più importante ora sulla quale ci stiamo concentrando è l’uscita del disco in seguito alla quale programmeremo anche tutto il resto. Mi piacerebbe molto suonare in piccoli club per sentire il contatto con la gente in maniera molto più diretta, non vogliamo qualche apparizione ai vari festival dal momento che è passato troppo tempo dalla nostra ultima volta da queste parti e quindi vogliamo poter fare uno show tutto nostro e solo per i nostri fan.

Quale la tua personale sensazione a tornare sulle scene dopo questi anni di nuovo con i Corrosion Of Conformity? Che tipo di risposta ti aspetti dai vostri fan appunto?
Mi aspetto una reazione entusiastica e di apprezzamento nei confronti del nuovo disco nel quale credo molto. La gente che conosce i CoC sa cosa aspettarsi e sa anche che dopo tutto questo tempo non potevamo presentarci con un disco non all’altezza. Abbiamo sempre cercato di essere fedeli e leali nei nostri confronti e nei confronti dei nostri fan nel proporre la nostra musica e nel fare quello che facciamo; questa credo sia una cosa importante che i nostri fan riconoscono e apprezzano.

Nel tuo passato recente, che ruolo ha avuto l’esperienza coi Down e quale influenza ha avuto (se mai ci sia stata) sul sound dei CoC?
I Down sono sempre stati una killer band, è un’esperienza che porto sempre nel cuore. 4 miei migliori amici riuniti in un’unica band è davvero un qualcosa di unico. Al momento in cui la band si è formata ognuno di noi era già impegnato in altre band, ma nonostante questo ci siamo ritrovati tutti quanti a New Orleans per cominciare qualcosa di completamente diverso rispetto a quello che ognuno di noi stava facendo e aveva mai fatto in precedenza. Non riesco a pensare a nessun altra band come i Down, qualcosa di assolutamente unico, di onesto, vero, qualcosa che ci veniva direttamente dal cuore. Non so al momento se ci sarà la possibilità di fare di nuovo qualcosa assieme, abbiamo sicuramente ancora molto da dire e personalmente mi auguro possa essere possibile in futuro tornare a suonare assieme. Un mio grande sogno sarebbe riuscire a venire in Europa con i Down…

Quali sono a tuo avviso le band più interessanti attualmente in circolazione nella scena heavy?
Negli ultimi tempi le uniche due band che davvero apprezzo e con entrambe le quali sono in ottimi rapporti di amicizia sono Mastodon e High On Fire. Queste band assieme ai CoC sono band sincere e con qualcosa di effettivamente personale e diverso da dire, senza prendere nessun modello di riferimento ma dotate di una propria viva personalità. Entrambe queste band sono assolutamente originali e questa è la cosa più importante, specialmente in questo mondo di band mediocri dove tutte suonano alla stessa maniera. Non è facile creare un proprio sound, ma quando ascolti gli High On Fire ad esempio non puoi non accorgerti della loro personalità, che è a stessa cosa poi che i CoC hanno cercato di fare nel corso degli anni.

Un’ultima domanda extra musicale prima di chiudere; i CoC sono sempre stati indirizzati verso un atteggiamento fortemente critico nei confronti della società e della politica americana, qual è la tua visione sull’attuale stato di cose in seguito anche alle ultime elezioni nel vostro Paese?
Non è certo facile giudicare e fare commenti sul sistema politico americano e soprattutto quello che sono state le ultime elezioni. Se avesse vinto Kerry cosa pensi avremmo avuto? Non ne ho idea in questo momento, non sono un politico. L’America è un grande paese e un paese forte, sono d’accordo con tutti quelli che pensano che Bush sia un coglione ovviamente, ma il mondo intero ne è pieno in questo momento! Credo in ogni caso che Bush al momento sia interessato maggiormente a proteggere il proprio paese e la propria gente e questo spirito di protezione reciproca spero si possa diffondere anche tra la gente stessa, che possa così aiutarsi a vicenda per arrivare a costituire una società meno indifferente e più sensibile e altruista.

Intervista a cura di Marco 'Mark' Negonda

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