L’ho già detto in sede di recensione, i Tygers Of Pan Tang sono uno dei gruppi fondamentali della mia “gioventù”, e ritrovarli oggi con un disco eccellente come “Animal istinct” non può che essere una grande soddisfazione.
Ad un risultato così appagante ha sicuramente contribuito la brillante laringe di Jacopo Meille, già (e, fortunatamente, ancora!) voce degli splendidi Mantra (senza dimenticare Norge, Fools’ Moon, …) nonché per l’occasione il nostro interlocutore per questo doveroso approfondimento.
Allora, Jacopo, come ci si sente ad essere il cantante di una “piccola” leggenda della NWOBHM e sostenere (senza imbarazzi, tra l’altro!) la responsabilità di ricoprire il ruolo che fu di Jess Cox e (soprattutto, per quanto mi riguarda …) John Deverill?
Malgrado sia ormai quasi 4 anni che suono con i Tygers, ti confesso che il senso di responsabilità misto a privilegio di cantare le parti che furono di John Deverill è forte. Il mio provino fu su “Take It”. Quanto ero nervoso…
La seconda domanda non può che riguardare le modalità con le quali sei entrato in contatto con la band e sul come sei stato scelto…
Mi è arrivata una mail da parte di un management svizzero che mi informava che un “noto” gruppo inglese stava cercando un cantante. Ho mandato una bio e il link al sito dei Mantra, senza troppa convinzione, devo ammettere. In un secondo momento ho saputo il nome della band e che ero in lizza con altri due cantanti. Subito dopo il provino ho capito dalle facce che li avevo colpiti positivamente. Era il novembre del 2004.
Arriviamo a “Animal istinct”, un disco di cromato british hard rock davvero godibile e coinvolgente. Ti va di raccontarci qualcosa della sua genesi? Che tipo di modus operandi avete utilizzato per la sua realizzazione?
Le 11 canzoni che compongono “Animal Instinct” sono state scritte nel corso di un anno con il contributo di ogni componente della band. È stato un lavoro di squadra a cui non ero abituato. Abbiamo scritto molto in sala prove, e ci siamo aiutati con la tecnologia per superare le distanze che alle volte ci separavano. Volevamo scrivere canzoni che avessero un legame con il passato storico della band e che mostrassero anche la personalità dei musicisti che fanno parte dei Tygers adesso. Sono, anzi, siamo molto orgogliosi del risultato, ora tocca al pubblico ascoltare e dire la sua…
Noto con piacere che hai partecipato attivamente alla stesura dell’albo, fatto che evidentemente ti rende parte integrante del progetto e non solo un competente “turnista” chiamato a svolgere il suo “compitino” in maniera asettica, senza contribuzioni artistiche. Quanto ti senti coinvolto in questa nuova avventura e come ti hanno accolto il veterano Weir e le altre “Tigri”?
Fin dal primo momento mi hanno chiesto di partecipare attivamente alla stesura dei brani. La prima canzone che ho scritto con loro è stata “Bury The Hatchet”, dal momento che “Live For The Day” aveva già il testo e la melodia scritta. Ma non esistono ruoli specifici. “Cry Sweet Freedom”, per esempio, è una canzone principalmente scritta da Craig, il batterista che è arrivato con il testo, la melodia e il groove. Abbiamo lavorato sulla canzone in sala prove tutti insieme, come una squadra. Pensa che in quel brano sono stato io a suggerire il cambio per la parte centrale con il solo di chitarra… non mi era mai capitato! Quanto a Robb: è capace di scrivere riff memorabili con una naturalezza sconvolgente… pensa a “Hot Blooded”, “Dark Rider”, la stessa “Bury The Hatchet”…
Ti sei occupato anche dei testi. Quali sono i temi che hai voluto toccare?
Potrà sembrarti strano, ma dietro a questi testi c’è stato un gran lavoro che ha coinvolto il sottoscritto, Craig – il batterista – e Dean, il secondo chitarrista. Volevamo scrivere dei testi molto anni ’80, pieni di slogan e di frasi fatte proprio come nelle canzoni delle band della NWOBHM. Il tutto con un tocco d’ironia che ci auguriamo arrivi anche agli ascoltatori. Sono testi da non prendere sul serio, ma da cantare a squarciagola ai concerti, molto funzionali al feeling della canzone.
Prima di entrare nella band eri un suo “fan”? Quali sono i dischi dei Tygers che apprezzi di più e quali sono i pezzi “storici” che preferisci cantare e per i quali ritieni di avere una migliore “predisposizione”?
Certo che ero un fan. Ho tutti i dischi (fino a “The Cage”) in vinile e CD. Il mio preferito rimane “Spellbound”, quanto alle mie canzoni preferite, direi “Gangland”, “Take It” e “Slave To Freedom”, e “Suzie Smiled” dal primo album. La nuova versione di “Rock ’n’ Roll Man” contenuta nel nostro Ep “Back & Beyond” è una vera bomba, poi. Stiamo anche riarrangiando alcuni pezzi da “Crazy Nights”, che è stato così penalizzato dalla produzione all’epoca.
Rimanendo sullo “storico”, i Tygers Of Pan Tang, con “The Cage”, si arrischiarono a seguire il proprio istinto creativo mutando abbastanza radicalmente approccio musicale e nonostante la qualità intrinseca del lavoro, finirono per deludere una parte dei propri sostenitori della prima ora. Qual è la tua opinione su quel disco e su quella scelta così “temeraria”?
Considero “The Cage” un bellissimo album di rock pop che ebbe il torto di essere troppo “avanti” sui tempi. Per me anticipa “Hysteria” dei Def Leppard di un bel po’ di anni. Il problema con quella svolta, e sono parole di Robb, è che non tutti nella band erano d’accordo sulla scelta musicale da prendere, soprattutto per il fatto che si dovessero usare compositori esterni alla band. Resta il fatto che è l’album che ha venduto di più nella breve storia della band.
Quando ci siamo sentiti in occasione dell’uscita del Cd, mi avevi accennato ad una sua possibile distribuzione tramite la Frontiers … Che novità ci sono?
Il disco esce per Frontiers il 9 giugno in contemporanea con Germania e Scandinavia. In Inghilterra è uscito a metà maggio. A luglio poi uscirà in Giappone con una bonus track – “Rock ’n’ Roll Man”- e un nuovo artwork.
E’ convinzione comune che oramai il vero “business” in ambito musicale sia attuabile attraverso i live tours, mentre la produzione discografica vera e propria ha perso gran parte del suo appeal commerciale, sebbene il mercato appaia a dir poco “saturo” di continue nuove uscite. Qual è la tua valutazione in merito?
Il mercato discografico è sempre più in crisi. Il disco, vinile o CD, ha completamente perso il suo “valore”, e questo a causa del download gratuito. La dimensione live è tornata ad essere il mezzo più diretto per dimostrare quanto una band e la sua musica valga. Chi ci è venuto a vedere, è tornato a casa ben impressionato e, generalmente, con un CD e una maglietta sotto il braccio. Questo non può che farci piacere e sperare in meglio.
E rimanendo in argomento, cosa ci puoi dire sui Vs. progetti futuri in fatto d’esibizioni live, un ambito tradizionalmente assai “congeniale” ai Tygers Of Pan Tang?
Per tutta l’estate saremo a suonare in vari festival in Inghilterra, Norvegia e Svezia. I nostri siti www.tygersfpantang.com e www.myspace.com/tygersofpantanguk sono aggiornati costantemente. Non vedo l’ora di suonare ad agosto in Norvegia con Twisted Sisters, Hanoi Rocks ed altre “vecchie” glorie del metal.
A questo punto sono “costretto” a chiederti qualcosa anche sui Mantra, un gruppo a cui, come sai, tengo parecchio. Qual è l’attuale situazione di questa gloria nostrana dell’hard rock? E già che ci siamo, prevedi anche di continuare le collaborazioni con Norge e Fools’ Moon?
I Mantra stanno benissimo! Abbiamo suonato poche settimane fa con i Sabotage ed abbiamo alcuni concerti d’estate. Abbiamo registrato una cover dei NAZARETH per un tributo che dovrebbe uscire durante l’estate. Andate sul sito www.myspace.com/mantraitaly per saperne di più. È la prima registrazione con il nostro nuovo bassista, Andrea Bartolini, che ha suonato con tantissimi gruppi nel corso degli anni ’80 e ’90. Potrà sembrare strano, ma riesco a armonizzare i vari impegni senza che, almeno per il momento, si creino attriti tra le varie band. Certo è stato strano suonare a Firenze con i Tygers avendo i Mantra e qualche componente dei Norge sotto il palco… Con i Norge poi, con l’arrivo del nuovo chitarrista, Francesco Bottai, abbiamo riscoperto il piacere di suonare insieme: abbiamo fatto un concerto riproponendo tutto Led Zeppelin II oltre a tutti i classici… due ore e mezzo emozionanti. Per quanto riguarda i Fools’ Moon, al momento siamo fermi; era d’altronde progetto nato per registrare più che per suonare dal vivo e non escludo che possa esserci un secondo capitolo in futuro.
Ed ora una piccola divagazione … Mi risulta tu sia anche un estimatore e conoscitore di folk rock “autoctono”, un campo che conoscevo abbastanza superficialmente e che ultimamente sto approfondendo, ricevendone molti “benefici” … un’esperienza che mi piacerebbe proporre anche ai nostri lettori (quelli, ehm, più “open minded”, s’intende:-) ). Quali sono i titoli che reputi fondamentali nel genere?
Il tutto nasce dalla continua e insaziabile curiosità e dall’esigenza, dopo aver suonato circondato da volumi assordanti di chitarre, di ascoltare musica più tranquilla. Mi piace andare ad ascoltare questo tipo di musica dal vivo. A Firenze, dove vivo, c’è un certo fermento che ha portato alla ribalta artisti che, malgrado la giovane età, hanno una gran urgenza di comunicare. Samuel Katarro, gli Underfloor, un grandissimo gruppo che sta per pubblicare un album sorprendente. In campo internazionale poi, Jeffrey Focault, Will Hoge, Micah P. Hinson, sono artisti che hanno riscoperto il piacere di raccontare e raccontarsi, di creare un contatto diretto con il pubblico che è sempre più difficile realizzare.
E’ ormai qualche “annetto” che frequenti il business musicale. C’è una cosa che proprio non sopporti in questo controverso mondo? Dai tuoi inizi ad oggi qual è l’aspetto che invece ritieni migliorato in maniera veramente significativa?
Credo ancora di considerarmi un outsider, che ha avuto la fortuna e, a volte, il coraggio, di suonare solo musica di cui essere convinto e orgoglioso. Questo non sempre accade. Credo poi che sia difficile essere un musicista, un artista, e doversi far carico di ogni aspetto che coinvolge la musica. Riuscire a creare una squadra di lavoro, credo che questo sia un aspetto importante e che una band dovrebbe affrontare fin da subito: c’è chi suona, chi si occupa del suono, un manager ecc… questo non significa disinteressarsi di un aspetto rispetto ad un altro, ma significa ottimizzare il lavoro e le energie. Rispetto al passato c’è una maggiore facilità all’esposizione e una maggiore consapevolezza da parte dei musicisti, ma manca la progettualità, il riuscire a vedere la propria musica, il proprio progetto, inserito in un contesto più ampio possibile.
Non mi resta che ringraziarti per la tua disponibilità, esortarti con il più classico “continua così” e salutarti, non prima, però, di concederti la “solita” opportunità di concludere la nostra chiacchierata come preferisci…
Ascoltate musica, sempre e comunque; alimentate la curiosità e non credete mai di aver visto e sentito già tutto. Non è così. C’è sempre qualcosa da scoprire.