Nuovo album per i quattro “rock’n’roll outlaws” della scena americana, i
Nashville Pussy. Tutto secondo copione, a partire dall’ambientazione western della copertina fino agli intermezzi tra i brani che evocano duelli al sole e serpenti a sonagli.
Un’immagine cow-boys/bikers che alcuni anni fa ha portato la band all’attenzione del mercato statunitense. Oggi i Nashville Pussy sembrano tornati ad una dimensione di nicchia, più consona alla loro attitudine. Ed il presente lavoro mostra infatti una rinnovata energia incendiaria.
Il fulcro rimane B. Cartwright, una sorta di Lemmy più banditesco, con la gola fatta di cartavetrata. La voce raschiosa ed i rapidi solismi chitarristici, sono gli elementi che aggiungono carattere al loro modo di fare rock.
Un metodo semplice ed istintivo, con pezzi brevi e diretti, rumorosi ed alcoolici, che nel disco recuperano parte consistente della grinta sguaiata degli esordi.
“Speed machine”, “Pray for the devil” o la marcia “Dead men can’t get drunk”, sono le tipiche canzoni grezze e viscerali che ci attendiamo da un gruppo come questo. Non mancano gli sgangherati momenti bluesy, come “Stone cold down”, oppure gli accenni di tradizione sudista, vedi l’irridente “Lazy Jesus”. A completare il quadro c’è il contributo vocale delle due “signore” della band, impegnate a sottolineare i cori da saloon alla maniera del vecchio southern a stelle e strisce.
La sensazione è quella di una formazione ancora vivace, dopo oltre un decennio di vita on-the-road. Album che soddisferà in pieno i fans dei Nashville Pussy, più vispi che nel recente passato.
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