Parliamoci chiaro, suonare death metal nell’anno di grazia 2002, a circa tre lustri dalla nascita di questo incredibile movimento, è dura. Ancora più dura è riuscire a spaccare il culo con convinzione. Impossibile infine è risultare anche originali e intelligenti. Faccio questa premessa perché quello di cui sto per parlarvi è la risposta a tutte le vostre angosce.
Dopo il mastodontico “Black Seeds Of Vengeance” era difficilissimo ripetersi, figuriamoci migliorare. Ebbene i Nile di Karl Sanders ci sono riusciti, dando alle stampe un masterpiece che a tratti rasenta una vera e propria sinfonia. Qua non siamo di fronte al solito dischetto di qualche scalmanato che pensi basti picchiare duro e ruttare in un microfono per suonare brutal death metal all’ennesima potenza. I Nile hanno raggiunto l’alchimia perfetta nella quale le parti più brutali e devastanti si mischiano alle atmosfere egizie che tanto li hanno resi famosi. Accelerazioni devastanti e annichilenti, blast beats come piovesse napalm, decelerazioni vertiginose e cadenze come macigni, cambi di tempo e di ritmo al fulmicotone e un batterista che è la quintessenza di un cataclisma. Tony Laureano è un fottuto bastardo, già visto all’opera con gli Internecine di Jared Anderson, che non fa minimamente rimpiangere il suo predecessore Peter Hammoura. E lo stesso possiamo dire per la splendida prova vocale di John Vesano, che ha sostituito il carismatico singer Chief Spires, abile a districarsi nel suo brutalissimo growl. Stupefacenti anche i solos di Karl Sanders e Dallas Tooler-Wade che riescono sempre a ricreare quel mood mistico e occulto dal flavour mediorientale.
Oggi i Nile sono una band fuori dagli schemi e possono permettersi il lusso di fare songs che superano i dieci minuti, nelle quali ci ritroverete tutto e il contrario di tutto, mummie putrefatte comprese. E vi sto parlando di “Unas Slayer Of The Gods” nella quale la musica si cadenza, accelera, rallenta improvvisamente, accelera di nuovo e poi si ferma per dare spazio a parti atmosferiche e recitate in un maelstrom avvolgente senza soluzione di continuità. Ma vi parlo anche della conclusiva title track “In Their Darkened Shrines” suddivisa in quattro atti per una durata complessiva superiore ai diciotto minuti nella quale i Nile danno forma all’epic brutal. Si avete capito bene, una song dalle atmosfere epicissime e suggestive, infarcita di strumenti esotici abili a ricreare l’Egitto dei Faraoni e delle piramidi, della sfinge e dei sarcofagi. Questa è musica intelligente, è musica colta, è musica che nobilita un genere da sempre ingiustamente bistrattato e catalogato come rumore.
“The Blessed Dead” vi farà colare la massa cerebrale dalle orecchie e dal naso ed “Esecration Text” vi darà il sospirato colpo di grazia…e siamo appena alla seconda traccia di un disco omogeneo e vario che non stanca mai pur essendo brutale e violento come non mai.
I testi poi sono dei veri e propri trattati di egittologia e dimostrano quanto la musica dei Nile sia concettuale e colta il che fa il paio con la preparazione tecnica dei musicisti, davvero invidiabile e assolutamente necessaria per dare vita a musica simile.
“In Their Darkened Shrines” segna un nuovo passo nella storia della musica estrema e conferma i Nile come una delle bands guida di quel movimento che li vede insieme a band quali Cryptopsy e Deeds Of Flesh, solo per citarne alcuni, dominare sulle macerie di bands storiche quali Cannibal Corpse e Morbid Angel. Un’eredità pesante, non c’è che dire, ma assolutamente degna e meritata. C’è bisogno di bands così al giorno d’oggi e ringraziamo tutto il pantheon egizio per averceli inviati. Il Nilo sembra sempre più simile allo Stige infernale…