Sono stati necessari parecchio tempo, una grande applicazione e una pressoché assoluta concentrazione, per arrivare alla seguente conclusione: “Blood” non è solamente il miglior lavoro degli
O.S.I., ma è anche uno dei più interessanti dischi di prog-rock “moderno” che mi siano capitati sotto le “orecchie” negli ultimi tempi.
Certo, come anticipato, bisogna “impegnarsi” un
pochino per
comprendere a fondo questa musica, desiderare di affidarsi ad una mancanza di punti di riferimento
certi, lasciarsi trasportare senza preclusioni da questa cangiante onda sonora, nera, pulsante, sintetica, intensa.
Non è che ciò rappresenti una novità, dacché stiamo parlando di una prestigiosa formazione ormai giunta al terzo lavoro in studio, ma a differenza del contraddittorio debutto e altresì del suo pur meglio focalizzato follow-up, il presente album manifesta un songwriting veramente efficace, costantemente creativo e pure in grado di sviluppare un appeal melodico dotato di considerevole profondità emotiva.
Un piccolo incremento nell’impatto e nella “forza d’urto”, poi, potrebbe contribuire ulteriormente a rendere Moore, Matheos e il nuovo drummer Gavin Harrison (dei Porcupine Tree, sostituto di Portnoy) maggiormente appetibili per il gusto del pubblico “metallico”, e tuttavia non ritengo che questi aspetti possano essere giudicati, in qualche modo, il frutto di una consapevole strategia “commerciale”; si è arrivati a questa conclusione come risultato di un percorso artistico, iniziato con molte idee e parecchie discontinuità e oggi finalmente approdato ad un livello notevole di compiutezza che non preclude, comunque, imponderabili future possibilità di sviluppo.
Inutile commentare le eccezionalità tecnico – esecutive dei nostri, che con l’ingresso di Harrison, direi quasi che si dimostrano addirittura più coesi, disinvolti e consistenti nel loro esprimersi, anche se mi rendo conto che per qualcuno tale affermazione possa risultare un’eresia, vista la preparazione e l’autorevolezza del suo predecessore.
Non facile, per le ragioni succitate, nemmeno il consueto commento dei singoli pezzi, al quale però non posso sottrarmi, per
impellenti necessità di “comunicazione”, tentando perlomeno una formulazione sobria, stringata e inevitabilmente parziale.
“The escape artist” apre l’albo con la fisicità dello stoner e aperture armoniche ad elevato coefficiente di suggestione, velate da riverberi cibernetici, “Terminal” ipnotizza con le sue liquidità elettroniche, trame di derivazione trip-hop e un basso che ti scava nell’anima, “False start” aggredisce con una prepotenza inusuale e improvvisa a squarciare l’atmosfera creata, ma è una scossa che produce effetti benevoli prima che, con “We come undone”, l’ambiente ritorni ad essere algido e bruciante al tempo stesso, con la voce di Moore persa in un cosmo di samples e drum machine.
“Radiologue” è un’opera d’arte per verve espressiva e propagazione melodica, in un crescendo emozionale a cui non sarà facile (e poi perché farlo?) sottrarsi, “Be the hero” rammenta le movenze artistiche dei Porcupine Tree e intriga con un’analoga tensione, laddove “Microburst alert” si manifesta come la traccia più “sperimentale” del programma, tra dispendio di campionamenti, frequenze cupe e un break vagamente catartico.
La favolosa “Stockholm”, impreziosita dalla fosca laringe di Mikael Akerfeldt degli Opeth (il brano è degno del loro “Damnation”) irretisce mente e sensi, cullandoli in un’oscillazione vitale e avvolgente che sa di panorami crepuscolari e brumosi, mentre è compito della title-track concludere degnamente questo viaggio in una dimensione oscura, onirica e vibrante, con una seducente architettura a spirale che può ricordare anche certe interpretazioni introspettive dei N.I.N.
Giunto alla fine di questa disamina, e dopo aver ascoltato per l’ennesima volta questo “sanguigno” Cd, mi vedo costretto a smentire in parte quanto ho affermato qualche riga fa: non è vero che ho
davvero capito la musica degli O.S.I. … sfuggevole, sempre capace di rivelare sfaccettature nuove ad ogni audizione e mettere in dubbio ogni qualunque
presunta convinzione … e tutto ciò, per quanto mi riguarda, rappresenta un’esperienza assai emozionante.