Sono passati quasi quarant’anni dall’uscita di “Flying”, primo e splendido disco degli
Ufo, la storica band britannica più litigiosa di tutti i tempi. Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata veramente tanta, con cambi stilistici e di line up, ma ciononostante Phil Mogg, Paul Raymond e Andy Parker sono ancora qui a rockeggiare come non mai, orfani dello storico Pete Way, che non ha potuto partecipare alle registrazioni dell’album a causa dei suoi rinomati problemi al fegato, ma forti dell’aiuto di Vinnie Moore, uno dei chitarristi di maggior prestigio degli ultimi vent’anni. Ed è forse proprio grazie a Vinnie che i nostri hanno trovato nuova linfa vitale, una freschezza compositiva che ha donato alla band una seconda giovinezza e li ha portati a pubblicare ancora una volta ottimi album, non ultimo questo “The visitor”, il ventesimo della loro lunga carriera. Il cd in questione è fresco e pimpante, presenta dei brani rock che più rock non si può, capaci di risultare semplici e convincenti al tempo stesso, con quella dose di ruffianità immancabile in dischi come questo, a dimostrazione del fatto che quando le qualità compositive ci sono non è necessario ingarbugliarsi la mente con scale assurde, tempi dispari e quant’altro si discosti da un semplice 4/4 sostenuto da riffoni granitici. Ed è veramente impressionante notare come le canzoni sfilino vie lisce come l’olio, una dietro l’altra, senza stancare minimamente, anzi, risultando sempre e comunque spigliate e frizzanti, ma soprattutto ispirate, riuscendo a mescolare al meglio sia il lato più melodico (non manca qualche piccola capatina nell’A.O.R.), che quello più roccioso e spiccatamente rock, quel rock sudato che potete ascoltare in un fumoso pub di provincia e che sa di birra e whisky fino all’osso. Ottimo anche il lavoro di Moore in fase solista, che riesce a tenere abbastanza a freno le sue scale al fulmicotone (non dimentichiamo le sue origini di shredder), dando più importanza alla melodia dei suoi assoli piuttosto che all’ipervelocità fine a se stessa. Come per altre grandi band del passato tipo Deep Purple, Uriah Heep, anche nel caso degli Ufo è innegabile che l’esperienza e la classe contribuiscano marcatamente alla riuscita del disco. D’altra parte stiamo parlando di musicisti navigati che alla loro veneranda età riescono ancora ad essere più convincenti di tanti nuovi ragazzetti spocchiosi, e che sanno come costruire delle splendide canzoni rock che trasudano blues da tutti i pori ma riescono anche ad essere, all’occorrenza, hard al punto giusto. Vi basti pensare che durante la fase compositiva erano ben 35 i nuovi brani messi su dalla band, e solo dieci alla fine sono apparsi sull’album, e questa cosa fa ben capire a che livelli ci troviamo… Fin dalla opener “Saving me”, introdotta da un bell’intermezzo blues/country, e via via con le varie “Hell driver”, “Rock ready”, per arrivare alla doppietta finale “Villains & thieves”/“Stranger in town”, splendidi sigilli per un album che lascia davvero a bocca aperta per la genuinità e la validità della proposta. Un’altra grande band del passato che mette a segno l’ennesimo colpaccio della propria carriera. Meditate giovani, meditate…
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