Lo avevamo perso un po’ per strada lo sbraitante floridiano d'origini asiatiche che unì il proprio nome alle biografie di un paio tra le formazioni più seminali del death embrionale (
Mantas/
Death e
Massacre). Di
Kam Lee, infatti, si persero le tracce nel 1996 con l’uscita del mediocre
Promise, che pose la parola fine ai Massacre, già ascesi agli onori della cronaca nel ’91 con il bellissimo
From Beyond.
Chiusa quell’esperienza, Lee trascorse il decennio successivo gongolandosi in una serie di progetti e collaborazioni che l’hanno infruttuosamente traghettato sino al ritorno di fiamma per l’estremo dei tempi andati, che registra tuttora reunion a pioggia tra cui non poteva mancare quella dei Massacre in formazione quasi completa.
Chi li vide a Milano il 10 novembre 2007 rimase sbalordito dall’incisività che la band fu in grado di sfoderare e da cui provenirono segnali incoraggianti in merito a una nuova uscita discografica. A cose quasi fatte, però, le solite beghe personali hanno lacerato la coesione del gruppo che è deceduto (spero per sempre) ancora una volta. Sfumava, quindi, la possibilità di mettere nuovamente alla prova Lee e soci per verificare se quanto di ottimo presente in From Beyond fosse stato frutto d’illuminazione casuale o vero talento.
Inaspettatamente, però, l’amletico quesito trova risposta nella profetica uscita di
Feast Of Flesh, album di debutto dei
Bone Gnawer, che raccolgono il meglio della tradizione death metal americana ed europea amalgamandola con sapienza di gourmet.
Il gruppo, formato dal già esageratamente citato Kam Lee e dal trio (con curriculum di lusso)
Bjornstrom -
Johansson –
Lie, ha messo in canna 34 minuti di death anni ’90 mischiando con maestria il riffing morbosamente perverso della scuola scandinava (quella che conta – Dismember, Grave, Unleashed - non la melodia diabetica di At The Gates ecc.) con una sezione ritmica (basso/batteria) pregna di groove "made in Florida" su cui s’erge con violenta costanza lo sgraziato growl di un Lee notevolmente in forma, che sciorina liriche ovviamente cariche di purulenta volgarità.
Per farla breve siamo di fronte a un disco il cui maggior pregio è collocarsi con capacità e convinzione nella migliore tradizione del genere. Astenersi, dunque, perditempo, questo è un album per gente che sgozzerebbe con un machete rugginoso il vicino di casa che porta il cane a defecare nel cortile del palazzo o il passeggero che perfora vergognosamente il proprio naso nelle affollate (e sudice) carrozze dei regionali Trenitalia.
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