Gran ritorno per
George Lynch, che, smentendo tutte le voci che lo volevano in rientro nei Dokken, piazza lì la zampata a nome
Lynch Mob, con una line up di tutto rispetto: dall'originale cantante
Oni Logan, tornato a casa base dopo ben 17 anni, per passare a
Scott Coogan (Brides of Destruction) ed al monolitico
Marco Mendoza (Ted Nugent, Thin Lizzy ecc ecc) alle 4 corde.
Ancora una volta, la prima sensazione che ne ricavi è che Lynch, nonostante la sua meritata fama di
shredder, suoni in una band "vera", e non in un costoso suppellettile per le sue masturbazioni chitarristiche. Sin dalle prime note di
"21st Century Man" si viene trascinati da una song che suona genuina, hard e rock come piace a noi, e dove tutto è al servizio della canzone. L'album ha il pregio (o il difetto, dipende dai punti di vista...) di cambiare pelle a quasi ogni canzone: dal southern rock à-la Badlands della title-track, alla trascinante grinta della potentissima
"My Kind of Healer", dalle suggestioni power AOR di
"The Phacist", al ballatone
"Where do you sleep at night?". Il che, tuttavia, non toglie che, qui e lì, hai come l'impressione che si sarebbero tranquillamente potute tagliare un paio di canzoni, a malapena sufficienti, innalzando così la cifra qualitativa di questo disco, a scapito solo della sua durata.
Tutto suona comunque dannatamente 80's, sebbene la produzione sia più che adeguata ai trend attuali; un ottimo mix che situa la band, ancora una volta, in quella nicchia di mercato cara a Whitesnake, Dokken, Bon Jovi e compagnia nostalgica, riuscendo a catalizzare in un disco tutto l'amore di George per l'hard rock muscoloso, ma sempre attento alla melodia.
Che dire, forse l'elemento "esperienza" questa volta la fa da padrone: le stesse tracce, interpretate da una qualsiasi rock band di primo pelo, pur con tutti i requisiti tecnici, perderebbe per me almeno del 50%.
A volte, la vera differenza tra un buon disco ed un disco mediocre non è tanto in cosa suoni, ma in
come lo suoni, e "Smoke and Mirrors" è la perfetta dimostrazione di questa teoria. Sono comunque estremamente felice del ritorno sulle scene di George Lynch, un grandissimo della sei corde, troppo spesso sottovalutato e ignorato, a favore di nomi a volte rivelatisi più "fumo" e meno "arrosto".
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