Credo (e spero) di poter dire che
Vintersorg non abbia bisogno di presentazioni.
Compositore, cantante e musicista svedese attivo nella band che porta il suo nome, oltre che negli
Otyg, nei
Borknagar e nei
Cronian (senza trascurare la sua presenza in diversi altri progetti),
Andreas Hedlund da oltre 20 anni è uno dei signori incontrastati del metal scandinavo, muovendosi con estrema bravura e altrettanta disinvoltura tra folk, viking e avant-garde.
Till Fjälls (che più o meno sta per "alle montagne"): basta pronunciare queste due parole e le immagini si formano spontaneamente e con immediatezza, come all'apertura di un sipario.
Sono istantanee di vette aspre e innevate, di vento e neve che spazzano foreste e distese a perdita d'occhio, di aria tersa che annulla le distanze, con quel cielo dell'estremo Nord dai colori indescrivibili perché spesso indefinibili.
Sono quadri dipinti a tinte forti, le uniche attraverso cui sia possibile esprimere con immensa fierezza un senso di appartenenza e un amore viscerale per una terra arcana, di frequente brutale tanto da sembrare crudele, che pretende rispetto e chiede più di quel che dona.
Sono panorami di luoghi dove per la vita quasi non c'è spazio, al cospetto di una natura che regna incontrastata, dove è necessario fare i conti con una realtà fondata sul concetto di sottrazione; un mondo che va avanti sempre uguale, o meglio rimane fermo ad un'era passata ma non dimenticata.
Non avendo mai visitato quelle lande, e se è per questo non essendo nemmeno un amante appassionato del freddo, dell'inverno, né tanto meno dei miti e della storia nordici, mi sono chiesto più volte quale ingrediente di questa formula, tradotta in musica, eserciti su di me quel fascino ancestrale da cui mi sento irresistibilmente attratto; non ho trovato ancora la risposta, e forse in realtà non sono nemmeno così interessato ad entrarne in possesso, conscio del rischio che un'eventuale chiave di lettura razionale vada a discapito delle sensazioni.
Sorta di evocazione maestosa in cui vocals (tutte in lingua madre) a volte calde, profonde ed intense, a volte gelide, sferzanti e maligne, si dipanano su trame strumentali che alternano quiete e ferocia con mirabile equilibrio, Till Fjälls cattura grazie ad un'epica che non è quella della guerra e delle armi, ma quella, molto più antica e sincera, di un confronto tanto selvaggio quanto onesto tra l'uomo e l'ambiente che lo circonda.
Un'opera possente come la roccia e trasparente come il ghiaccio, che manterrà inalterato il suo valore e il suo messaggio senza che il tempo possa minimamente scalfirli, al pari del più grezzo e puro dei diamanti.
Recensione a cura di
diego
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