“3” dei
Mastedon è
inequivocabilmente l’albo di pomp-rock / AOR più affascinante dell’anno.
Almeno fino ad ora, perché questa fine di 2009 potrebbe riservarci ancora qualche sorpresa, ma sarà davvero un’impresa ciclopica tentare di scalzare dal suo trono dorato il pachiderma americano capitanato dai fratelli Elefante, che lì si è accomodato dall’alto di tutto il suo impressionante “peso” artistico.
La presenza di Kerry Livgren (accanto ad altri straordinari musicisti di fama mondiale quali il “fidato” partner Dave Amato - oggi nei REO Speedwagon, Anthony Sallee dei Whiteheart e Dan Needham, collaboratore di Michael McDonald, Neville Brothers, Amy Grant, ...) non può che ingolosire ulteriormente i fans degli autentici ispiratori del genere, degli “inventori” di quella magniloquenza irresistibile ed unica, figlia del romanticismo britannico dei seventies, a cui lo stesso John (e Dino, nelle vesti di autore) ha contribuito nella stagione maggiormente “adulta” della loro strepitosa parabola musicale.
Ovviamente stiamo parlando dei Kansas ed era dai tempi di “Drastic measures” che i due non intrecciavano i loro smisurati talenti, dando origine ad un disco che fa rivivere immediatamente i suoni raffinati, solenni e intensi scaturiti dalla loro opulenta cooperazione, così come sarà facile per chi ha adorato i primi due lavori dei Mastedon, individuare anche tra i solchi di “3” le stimmate del songwriting sfarzoso, luminoso e incredibilmente coinvolgente che aveva impreziosito quelle magnifiche prove.
In questo clima intriso di classe nitidissima, di una lega melodica infallibile e di cristalline linee vocali, si staglia con prepotenza la forza espressiva di una formazione che non si accontenta di “fare il compitino”, indirizzandolo a qualche superficiale “nostalgico” (o anche ai “novizi” con velleità “tradizionaliste”) facilmente appagabile anche con una prestazione di “mestiere”.
Le canzoni del Cd rappresentano le tessere di un mosaico dai colori vividi ed eterogenei, resi tali da una vitalità incontenibile in grado di conquistare anche il più “critico” degli appassionati, che troverà accomunate in un’unica entità la grandeur della “belle epoque” e l’euforia di un esordiente smanioso di dimostrare il suo valore.
Come accade spesso in questi rari casi di inoppugnabile magnificenza, scegliere quale momento tra quelli disponibili sia più o meno meritorio appare davvero un’impresa irrealizzabile: senza il benché minimo segno di cedimento e una profusione di brividi di autentica eccitazione, si passa dalle pulsazioni vibranti di “Slay your demons”, “You can’t take anything” e “The western world”, all’energia di “Water into wine”, al lirismo di “Nowhere without your love”, “Questions”, “Lying”, e “That’s what you do” (con allusioni agli Yes più immediati riscontrabili nell’emozionante impasto sonoro), per poi approdare alla radiosità barocca di “One day down by the lake” e alla brillantezza di “Revolution of mind”, maggiormnte affini alla mitica istituzione di Topeka (la prima non avrebbe sfigurato nei capolavori iniziali della band, mentre la seconda avrebbe potuto trovare agevolmente posto tra le famose “misure drastiche” del 1983 …), che in conclusione viene omaggiata esplicitamente attraverso una notevole versione del classico “Dust in the wind”.
E’ opinione diffusa che, probabilmente, la “perfezione” non è di questo mondo, tuttavia da bravi simpatizzanti delle teorie “evangeliche”, i Mastedon perseguono con determinazione il raggiungimento di questo stato “divino” (
Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste, dal Vangelo secondo Matteo 5:43-48), arrivando “pericolosamente” vicini al risultato … Beh, forse ho un po’ esagerato in un ardito accostamento che non vuole essere né ironico e né blasfemo, e tenta solo, maldestramente magari, di descrivere l’essenza di un disco imperdibile.
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