Avete presenti gli Opeth? Bene, i
To a Skylark possono essere tranquillamente definiti gli Opeth italiani. Davvero, la mia rece del loro omonimo debut potrebbe finire qui, tant'è evidente la passione sfrenata di questa band nostrana per il combo di Mikael Akerfeldt e soci. Stessa struttura metal prog velata di scuro e triste, stesse vocals che mescolano melodie ariose e malinconiche a growls strazianti e potentissime, stessi improvvise alternanze atmosferiche che suscitano medesime, piacevolissime sensazioni.
Un brano via l'altro, vi accorgerete da soli che i To a Skylark suonano davvero con perizia, e che le composizioni sono frutto di un lungo lavoro di cesello, per poter alfine prendere forma con strutture mai banali o prevedibili, dove la indiscussa bravura agli strumenti viene messa al servizio del brano, che riesce a prendere respiri e suggestioni sempre diverse e morbosamente affascinanti.
Belli, e molto utili, i piccoli intermezzi (
"Seraphic Feathers",
"Hic et Nunc"), che permettono di riprendere fiato tra lunghe composizioni, in modo da non appesantire ulteriormente l'ascolto di un platter già di per sé impegnativo, ma stavolta l'aggettivo rimanda ad un'accezione completamente positiva. Molto bella e suggestiva, tra le altre, la trilogia conclusiva, vera e propria summa del sound dei To a Skylark, che forse, rispetto agli Opeth, accentua un pelo di più la componente metal, risultando a mio avviso originale e coinvolgente.
Ottimo esordio, insomma, nella speranza che la band riesca ancor di più ad affinare e personalizzare la proposta, sgravandosi dalle spalle l'etichetta di "cloni degli Opeth", pur onorevole, che questo disco potrebbe appioppargli addosso.
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