In una serata qualsiasi, sono bastate poche note per farmi ripensare alla magnificenza di un disco come
Machine Head. Un capolavoro assoluto che andrebbe assolutamente fatto girare nello stereo almeno un paio di volte l’anno, per ricordarsi chi siamo e da dove veniamo, ma soprattutto per ricordarsi che se ci sono band di cui si parla ancora dopo 40 e passa anni di carriera, probabilmente un motivo esiste.
Machine Head è del 1972 e arriva dopo un disco rivoluzionario come
In Rock e un album carico di sperimentazioni come
Fireball. Con questo lavoro, i
Deep Purple si consacrano definitivamente ai vertici dell’hard rock mondiale e non solo, soprattutto grazie (ovviamente) a
Smoke On The Water, il primo riff che ancora oggi ogni chitarrista impara appena imbracciata la sei corde.
La partenza dell’album è affidata ad
Highway Star, a mio modesto parere una delle più grandi opener di tutti i tempi, in cui la band mostra una splendida maturità compositiva unita a capacità tecniche assolutamente fuori dal comune.
Maybe I’m A Leo è caratterizzata invece da un groove incredibile e dal marchio di fabbrica
Blackmore, che passerà tutti gli anni ’70 e buona parte degli ’80 a sfornare riff granitici come nessun altro è stato in grado di fare.
Pictures Of Home ci presenta il lato più giocherellone della band, con una melodia affascinante e divertenti parti solistiche che, come accadrà nel corso degli anni, si presteranno a improvvisazioni e lunghe rincorse in sede live. Incredibilmente catchy, incastonata in una ritmica articolata e possente, la successiva
Never Before, che precede quella
Smoke On The Water di cui già abbiamo parlato: il “classico” del rock per eccellenza. Per chi ha orecchie pronte ad ascoltare, tuttavia, Smoke On The Water non è in grado di mettere in ombra l’incredibile
Lazy, pezzone monumentale con sfumature blues, in cui la splendida intro lascia spazio ad un incedere irresistibile e coinvolgente. Un album dove nulla è scontato e dove ogni pezzo è una rara perla non può che essere chiuso da un'altra grande canzone come
Space Truckin: potente, veloce, trascinante e con un ritornello pronto a far saltellare gli stadi di tutto il mondo.
Merita una piccola nota di merito anche
When A Blind Man Cries, inserita nella versione remixata del 1997: ballad delicata e intensa, davvero bellissima e quasi commovente.
Machine Head ha da poco compiuto 39 anni. E non stanca mai. Stupisce ancora, ogni volta che lo si ascolta: suoni perfetti, groove inarrivabile, prestazione strumentale clamorosa, melodie eterne. Per l’ennesima volta, mi tocca esprimere il mio amore infinito per una band imprescindibile per chiunque come i Deep Purple, autori di alcuni tra gli episodi di maggior valore che la storia del rock ha saputo regalarci.