Quando uno è caparbio nulla lo può fermare, lo sanno più che bene i
Natron, che incuranti dei problemi di line up e con le case discografiche hanno continuato imperterriti per la propria strada, con cocciutaggine, aspettando il momento adatto per il come back. E il momento è arrivato, un paio di mesi fa, quando la Metal Age ha dato alle stampe il nuovo capitolo della storia del gruppo barese, questo “Rot among us”, quinto album ufficiale, che manco a farlo apposta esce a ben cinque anni dall’ultimo “Livid corruption”.
E vi dico fin da subito che l’attesa è stata ampiamente ripagata, visto che, almeno per quanto mi riguarda, il nuovo disco è il migliore mai inciso dalla band di Max e Domenico, unici due superstiti della formazione originale, nonché leader storici del gruppo. Perché è il migliore? Perché pur non avendo perso assolutamente la loro identità, ci sono delle piccole differenze stilistiche che alla fine pesano, positivamente, sul bilancio definitivo. Niente paura, però, i vecchi fan possono dormire sonni tranquilli, i riff arzigogolati di Domenico ci sono ancora, così come la batteria devastante di Max, ma si sono integrati i primi a riff di stampo quasi svedese (sto parlando della vecchia scuola, ovviamente, non preoccupatevi…), e la seconda a ritmi più lineari e diretti, quasi thrash, o comunque death old school, quindi tupa-tupa da headbanging al posto dei blast beat a prescindere, che comunque sono presenti in abbondanza. Insomma, tutto lo stile in genere si è discostato lievemente dal brutal death più cervellotico al quale c’avevano abituato, sposando soluzioni più immediate e d’impatto, creando un muro sonoro davvero micidiale. Il livello tecnico, quello si, è rimasto lo stesso, sempre elevato, anche nelle parti più semplici.
E cosa dire, invece, dei nuovi arrivi? Se l’apporto di Alyosha al basso è di tutto rispetto ma tutto sommato non abbastanza dissimile dal suo predecessore tanto da caratterizzare i nuovi brani, la vera novità sta nelle vocals di Nicola Bavaro, che già avevo avuto modo di apprezzare dal vivo. Il suo tono è decisamente differente da quello di Mike Tarantino. Da un lato è più vario, però dall’altro è anche un po’ meno particolare. Tutto sommato, però, si è inserito bene nello stile della band, a maggior ragione visti i cambiamenti stilistici di cui parlavamo prima, che si sposano alla perfezione col suo growl più profondo e meno aspirato.
Stilisticamente, quindi, l’album è una perfetta miscela di death metal old style (la titletrack o “The infection theme”), brutal death tecnico e intricato (“Enthroned in repulsion”, “Only living withness”), dove è di nuovo possibile ascoltare i riff contorti di Mele e i cambi di tempo repentini di Max, e parti più morbose e cupe (“Backyard graveyard”), e devo dire che la cosa funziona maledettamente, tant’è che anche in sede live (come vi ho accennato prima ho avuto modo di vederli pochi mesi fa e quindi di ascoltare in anteprima alcuni dei nuovi brani), i nuovi pezzi spaccano tutto e scatenano il pogo più violento e selvaggio.
Insomma, “Rot among us” ridisegna la band, ne riscrive le traiettorie, la rimette in gioco, presentandocela più in forma che mai, pronta a mettere di nuovo a ferro e fuoco l’Europa con i suoi concerti. Dire che i Natron sono la migliore realtà death metal italiana è scontato e anche riduttivo (non a caso sono loro i veri unici e soli ‘Godfathers of death’ del nostro paese…), ma a questo punto inizia a stargli stretta anche la dimensione europea, visto che non hanno assolutamente nulla da invidiare a tante band americane più osannate e famose più per loro terra d’origine che per il loro reale valore artistico.
È ora che i metal kids italiani si sveglino e si rendano conto di cosa hanno intorno, perché realtà come questa dei Natron non possono e non devono passare inosservate.
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