Diciamocelo chiaramente, senza girarci troppo intorno… erano almeno dieci anni che gli
Overkill non pubblicavano un disco veramente degno di nota. Album spenti, poco ispirati, che non erano neanche una fotocopia sbiadita della band che aveva dato alla luce capolavori come “Feel the fire”, “Taking over”, “Horrorscope” o “Under the influence” nei gloriosi anni ’80. Non è un caso, quindi, che questo nuovo “Ironbound” sia, appunto, il miglior disco di Bobby e company da dieci anni a questa parte. E non lo dico solo perché non è neanche lontanamente paragonabile a quegli album mosci a cui ho accennato poco fa, ma soprattutto perché l’ultima fatica della band di Brooklyn è un disco vivo, ispirato, che ci riconsegna, finalmente, i veri Overkill, quelli capaci di coinvolgere, spaccare tutto, e macinare riff su riff come se fosse la cosa più naturale al mondo. Già, perché è proprio questo il punto di forza dell’album, e cioè la freschezza del sound, la genuinità dei riff, come se la band avesse all’improvviso ritrovato l’ispirazione.
“Ironbound” è un disco che guizza, è nervoso, scattante, ha dei fremiti improvvisi che ti lasciano attaccato alla sedia, e in questo periodo di thrash revival fa sempre piacere ascoltare queste cose da chi il genere ha contribuito a crearlo invece che dai mille gruppi clone in giro per il mondo. Ovviamente all’interno del disco non troverete una sola nota che non vi suoni già sentita, questo è scontato, però l’album si fa ascoltare che è una bellezza, grazie anche ad una produzione magistrale, fresca e potente, oltre che alle interpretazioni da manuale dei singoli elementi. La voce di Bobby è ispirata più che mai, il basso di D.D. spinge tutto che è un piacere e si riconferma essere il vero e proprio trade mark del gruppo, e completa alla perfezione la prova terremotante di Ron Lipnicki dietro le pelli. Ma quello che mi preme più sottolineare è il lavoro svolto in fase di riffing dalle due asce Derek “The Skull” Tailer e Dave Linsk, quest’ultimo autore anche di ottimi assoli dallo spiccato sapore classic, che donano ai brani quella dose melodica che non è mai mancata nelle canzoni della band.
Credo che per ogni thrasher che si rispetti sia praticamente impossibile restare indifferenti davanti alla furia cieca di “Bring me the night”, la vera perla del disco e sicuramente uno dei nuovi classici che scatenerà la bolgia sotto palco, o davanti alla potenza di “In vain” e della titletrack, e se è vero che c’è anche qualche episodio meno ispirato (vedi “The goal is your soul” o “Give a little”), o che in un paio di frangenti fanno capolino influenze dei Metallica e degli Slayer, è altrettanto vero che l’album si mantiene senza problemi su livelli più che dignitosi per tutta la sua durata, dalla particolare “The green and black”, posta in apertura, alla conclusiva “The SRC”. Insomma, non possiamo ovviamente parlare di album epocale, ma “Ironbound” merita una chance, e soprattutto ci riconsegna una band che per troppo tempo è rimasta ingiustamente nel dimenticatoio, e che con questo disco si riappropria della fama che le spetta, per festeggiare al meglio i trent’anni di carriera.
Il primo vero e proprio botto di questo 2010… le altre band sono avvertite, gli Overkill sono tornati e sono più incazzati che mai…