Gradatamente, con la medesima flemma che contraddistingue la loro musica, i Dead Meadow sono passati dalla condizione di micro-band nota solo ai parenti e pochi intimi (epoca dello splendente debutto omonimo nel 2000..) allo stato di cult-band elogiata dai critici più attenti e sostenuta dal solito encomiabile manipolo di seguaci psych-stoner rock.
Immagino che i livelli di vendita dei loro albums non li abbia ancora portati a vivere come rockstars, ma è indubbiamente cresciuta la visibilità del trio Statunitense che dopo aver sostituito Mark Laughlin con Stephen McCarty alla batteria, e a breve distanza da un poco reperibile disco live (“Got live if you want it”), pubblicano il terzo lavoro in studio con annesso l’immancabile cambio di label, ora diventata Matador.
Inutile girarci intorno, il sound di questa formazione è di quelli difficili da assimilare e non destinato alle masse dai gusti semplici ed omologati.
Scordatevi pure il frastuono, le repentine accellerazioni, le pesanti vibrazioni hard dello psych-rock di ultima generazione. Le canzoni di “Shivering king..” sono per la maggior parte eterei scenari costruiti con la materia dei sogni, acquerelli di ritmi che inducono alla trance, atmosfere dense come volute di fumo allucinogeno.
La chitarra ultra-fuzz di Jason Smith crea le morbide e languide spirali rockblues accompagnandole con le caratteristiche cantilene nasali appena sussurrate, una sorta di Neil Young acido e narcolettico, e la sua vena psichedelica combina in modo delicato i Led Zeppelin degli esperimenti art-folk con i Pink Floyd rilassati e lisergici dei primi lavori.
La maturazione del gruppo è ora completata, migliore l’amalgama tra le fughe visionarie di Jason e la sezione ritmica che spinge a fondo nei pezzi più ruvidi come “Babbling flower” o il magistrale hypno-blues “Good moanin”, mentre lavora di cesello dove occorrono colori tenui ed ammalianti, esemplare in questo senso il fascino del trip-folk di “Golden cloud”.
Il potere ipnotico dei Dead Meadow è senza dubbio sbalorditivo, trasporta l’immaginazione in un mondo dominato dalle forze della natura. Percepiamo la maestosità travolgente della tempesta e la quiete malinconica di campagne assolate, montagne eterne e mari mutevoli, la tristezza dell’autunno ed il calore dell’estate, un mondo dove è cancellata la frenesia isterica, il puzzo intossicante e meccanico dei cancri metropolitani.
Paragoni forse buffi per qualcuno ma come ho detto si tratta di un sound più cerebrale che fisico, più spirituale che muscolare, panorami emozionali che si manifestano anche come narco-ballate acustiche (“Shivering king”) che pretendono una partecipazione oggi in via di sparizione, seppellita da ascolti convulsi e frettolosi.
Ovvio che esulterei vedendo i Dead Meadow scalare le classifiche, ma è più realistico pensare che il loro stupendo disco sarà liquidato dalla maggioranza come moscio e noioso, restando una piccola gemma per i soliti pochi intimi. Io il mio dovere l’ho fatto indicando che si tratta di un lavoro eccellente per una band forse all’apice della propria carriera.
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