Da qualche parte, ci dev'essere per forza un inizio. Bruttino, magari dimenticabile, ma comunque un inizio. E gli Accept ne sanno sicuramente qualcosa, con il loro debut album omonimo, uscito all’inizio del 1979. Periodo nel quale band cugine come gli Scorpions erano all’apice della loro popolarità. E qui subentra un discorso simile sugli inizi delle due band, con un disco di debutto molto acerbo, ma che lasciava già intravedere le potenzialità della band, come accadde una decina scarsa di anni prima con “Lonesome Crow” di Schenker e soci.

Parlando delle radici del gruppo però, si scopre che fu fondata addirittura una decina di anni prima del debutto discografico, dal singer Udo Dirkschneider e dal chitarrista Michael Wagener, ma che a causa della leva militare fu costretto ad abbandonare la band. Riformata poi da Udo la band nel 1972, sarà un paio di anni dopo nel 1976 che si riuscirà a trovare una formazione stabile, con Wolf Hoffmann e Jorg Fischer alle chitarre, Peter Baltes al basso, e Frank Friedrich alla batteria, con quest’ultimo che però figurerà unicamente su questa uscita.



Accompagnato da una cover alquanto discutibile, dopo un paio di minuti si capisce immediatamente perché questo album è così diverso da quelli che lo succederanno. Se infatti appena si dice il nome Accept vengono alla mente riff serrati e mid tempo coinvolgenti, in questo disco omonimo quello che viene alla mente è una direzione musicale che non sa bene che piega prendere. Se infatti da una parte abbiamo pezzi veloci e godibili che sembrano prendere ispirazione dagli americani Riot, come “That’s Rock N’ Roll” o “Free Me Now”, dall’altra ci sono ballad/semiballad che non riescono ad avere un’identità ben precisa, parlo di “Seawinds”, cantata da Peter Baltes, che nonostante i difetti elencati mostra un Hoffmann in gran spolvero, anticipando la gran classe chitarristica che il musicista tedesco avrà modo di mostrare più avanti. Dall’altra parte invece, “Street Fighter” sembra prendere mano da band come Thin Lizzy, mentre riescono a spiccare fra un momento e l’altro solo “Take Him In My Heart” e “Hellrider”, con un riffing che sarà poi elaborato in pezzi dall’attacco più heavy metal, presenti sui dischi successivi.

“Accept” è un disco come detto precedentemente molto acerbo, e sicuramente non da consigliare a chi vuole avvicinarsi alla band. Il meglio verrà senza ombra di dubbio dopo, ma in un’ottica esclusivamente storica è comunque un primo inizio che ha contribuito alla formazione del trademark sonoro del gruppo.