Drive, She Said - Dreams Will Come – The Best of & More

Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2010
Durata:73 min.
Etichetta:AOR Heaven
Distribuzione:Frontiers

Tracklist

  1. FOOLS GAME
  2. I FOUND SOMEONE
  3. DREAMS WILL COME
  4. TRY2LETGO (FUKUUP)
  5. DON'T YOU KNOW
  6. DRIVIN' WHEEL
  7. MAYBE IT'S LOVE
  8. HARD WAY HOME
  9. IF THIS IS LOVE
  10. THINK OF LOVE
  11. HARD TO HOLD
  12. LOOK AT WHAT YOU GOT
  13. HOLD ON (HANDS AROUND YOUR HEART)
  14. STRONGER
  15. REAL LIFE
  16. LOVE HAS NO PRIDE
  17. ALWAYS AND FOREVER

Line up

  • Mark Mangold: keyboards, vocals, guitar
  • Al Fritsch: vocals, keyboards
  • Jon Bivona: guitars

Voto medio utenti

Considero Mark Mangold un genio.
E a suffragare questa perentoria affermazione parlano per lui una classe immensa come sopraffino tastierista (oltre che come pregevole cantante) e una penna straordinariamente illuminata, attributi in grado di rendere i suoi trascorsi artistici un autentico paradiso per appassionati di rock melodico, che in American Tears, Touch, The Sign, senza contare le collaborazioni autorevoli con Cher, Benny Mardones e Michael Bolton (i due hanno firmato in coabitazione, tra gli altri, un capolavoro come “Can’t turn it off”, incluso nel fondamentale “Everybody’s crazy” dell’ormai irrimediabilmente “perso” Mr. Bolotin, e già per questo meritano la mia eterna riconoscenza!), hanno trovato generose occasioni per una benefica “ascesa al cielo” dei propri raffinati sensi.
Al Fritsch è un cantante di razza, capace di condensare nel suo timbro pastose sfumature melodiche e un’estensione da autentico screamer, sintetizzando in un unico individuo tarsie vocali di Lou Gramm, J. L. Turner, David Glen Eisley e dello stesso Bolton, con un pizzico di approssimazione in tale caratterizzazione che lo rende umano e non quel “mostro” della fonazione modulata, magari pure un po’ inquietante, evocato da un mosaico così esplosivo.
Insieme, Mark e Al, è dal 1989 che deliziano i nostri apparati cardio-uditivi con il progetto Drive, She Said, l’entità musicale celebrata da questa raccolta e che potete, come appare chiaro dopo una presentazione del genere, tranquillamente inserire di diritto nel celestiale elenco citato all’inizio della disamina, con quattro dischi (specialmente l’omonimo debutto e il suo seguito “Drivin’ wheel” del ’91) che ogni presunto estimatore del genere dovrebbe conoscere perlomeno a memoria.
Nel caso (remoto, mi auguro) ve li siate persi, può venirvi incontro la discografia attuale, sempre alla ricerca di reliquie più o meno significative o di antologie in grado di rilanciare le sorti di band spesso troppo sottovalutate, soprattutto in un’ottica retrospettiva.
Ed ecco che questo “Dreams will come – The best of & more” deve essere inteso soprattutto come un’occasione per porre l’attenzione del pubblico di settore, che si tratti di novizi o di svagati veterani, sull’importanza di una band come i Drive, She Said, la quale, pur con i limiti di una sezione ritmica spesso “sintetica” (e so che per qualcuno questo rappresenta un ostacolo quasi insormontabile), ha saputo sfornare del rock di altissima qualità, ricco di atmosfere vellutate, di vitale energia e di una raffinatezza maestosa e maliosa, per nulla facile da rintracciare nemmeno nel congestionato panorama musicale dei nostri giorni.
I due brani scritti per l’occasione, “Dreams will come” (completamente suonata da Fritsch) e la bellicosa e modernista “Try to let go (FukUUp)”, rappresentano, infatti, nonostante i discreti pregi, poco più che l’allettante avvisaglia di una rinnovata voglia di tornare a fare musica sotto l’enigmatico vessillo (un incoraggiamento è arrivato anche dalla risposta ottenuta in una recente esibizione al Firefest), ma è chiaro che, almeno per il sottoscritto, anche per ragioni squisitamente affettive, i pezzi maggiormente avvincenti del platter sono “If this is love” (tra Journey e i loro epigoni Bad English), “Hard way home” (un palpitante hard-rock impreziosito da “stellari” tastiere), “Don’t you know” (straordinaria rilettura della “Don’t you know what love is” dei Touch … se non avete i brividi ascoltandola, credo sia meglio rivolgersi ad altre tipologie sonore!), “Maybe it’s love” (un AOR-anthem di enorme suggestione), “Drivin’ wheel” (altro folgorante esempio di hard-siderale … la “Highway star” del gruppo), “Think of love” (una sorta d’interrogazione sulla materia Foreigner risolta con personalità e irresistibile intensità espressiva) e “Hard to hold” (tra Bolton e Aldo Nova, che invero ne ha composto la parte musicale), alcuni degli estratti più significativi dei primi lavori del duo americano.
Alla categoria “chicchettine” appartengono “Fool’s game” (il primo singolo scritto da Mangold e Bolton, presente pure nel disco omonimo dell’83 di quest’ultimo e realizzato con la partecipazione di Craig Brooks), “I found someone” (ancora un brano della premiata ditta Bolton / Mangold che stavolta apparve sull’omonimo disco di Cher del 1987) e anche “Look at what you got” (direttamente dalle sessioni di “Everybody's crazy”), per un programma complessivo in cui troverete i segni evidenti di un talento e di una fertilità creativa sicuramente rara, che merita di essere universalmente riconosciuta.
Come sempre in casi come questi rimane un piccolo dubbio in merito all’effettivo significato di un’uscita come questa (ricordiamo anche l’analoga “Road to Paradise” del ‘98), ma sono convinto che se riuscirà a conquistare anche solo pochi nuovi adepti al culto dei Drive, She Said o, ancor di più, se sarà capace, in qualche modo, di condurre la band a realizzare un disco intero d’inediti, beh, avrà sicuramente raggiunto il suo scopo, in nome di quell’Hard De-luxe yankee di cui i nostri sono (stati?) sicuramente degli accreditati protagonisti.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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