"Spazio, ultima frontiera. Questi sono i viaggi della nave stellare Enterprise. Diretta all'esplorazione di nuovi mondi. Alla ricerca di altre forme di vita e di civiltà. Fino ad arrivare la dove nessun uomo è mai giunto prima". In realtà, l'esplorazione musicale degli
Iron Maiden si è fermata già da diverso tempo, e tornando a citare Star Trek, il nuovo album degli Iron Maiden, non sfoggia certo la spavalderia e l'irruenza di James T. Kirk, ma nemmeno la classe e l'ironia di Jean-Luc Picard o la spontaneità di Jonathan Archer.
Le premesse non erano delle migliori, sia per la diffusione dell'artwork d’ambientazione science fiction che avrebbe accompagnato "The Final Frontiers", sia per via dell'ascolto di "El Dorado", il primo singolo, quello con l'incarico di tirare la volata all'album.
Beh... messe le mani sulla
Mission Edition del CD, ha poi preso il via un lungo viaggio attraverso l'ultima fatica di casa Harris, e si parte da lontano, con una lunga e tutto sommato superflua intro, "Satellite 15...", a preparare il terreno per "The Final Frontier", un pezzo robusto e catchy che ricorda l'ultimo Dickinson solista, mentre con la sterile e noiosa "El Dorado", il terzetto Smith/Harris/Dickinson sembra essersi sforzato nel cercare ispirazione dal periodo di "Piece of Time", con risultati purtroppo non così confortanti, anche perché la mano del produttore, ancora una volta quella di Kevin Shirley, tende ad adattarsi meglio alle composizioni dall'orientamento
progressive, più articolate e meno dinamiche, e raramente riesce ad esaltare quel patrimonio di ben tre chitarre che i Maiden hanno in dote.
Su "Mother of Mercy", un mid-tempo intenso e passionale, riecco invece gli ultimissimi Maiden, mentre la successiva "Coming Home" è un lento non particolarmente originale ma che si segnala per un azzeccato lavoro alle chitarre ed una prova calda ed ispirata di Dickinson, il quale ci rimanda ad alcuni momenti del suo "Accident at Birth".
Un po' a sorpresa i nostri ci propongono poi una canzone scattante ed immediata, "The Alchemist", lesta a donare un apprezzabile sapore retrò al disco, quello stesso feeling che parrebbe trasparire dalle prime battute di "Isle of Avalon", con il basso pulsante di Harris a rivangare il passato, peccato che il tutto venga poi diluito a dismisura finendo con il perdere d'efficacia.
Un Dickinson ancora in grande spolvero, prima ammaliante poi incisivo, è il primo segnale che il nostro radar capta dalla "Starblind", una canzone articolata e dal gusto seventies ma con un bel taglio metallico, che si segnala tra le più riuscite. Ed è ancora il cantante a donare quel quid in più agli arpeggi che caratterizzano la prima parte di "The Talisman" che dopo un paio di minuti si incattivisce, mostrando il lato
migliore degli ultimi Maiden.
Niente di eccezionale, comunque, così come "The Man Who Would Be King", che si muove su binari non troppo diversi, ma mostra poca personalità, dove incappiamo pure in un refrain non particolarmente riuscito, e finisce con il perdersi in alcuni passaggi azzardati, soprattutto nel break strumentale. Non che "When the Wild Wind Blows" apporti chissà quali novità: riecco gli arpeggi, le trame articolate ed i passaggi (alcuni già "noti") che si alternano nella canzone dal minutaggio più elevato dell'album, ma che si fa comunque ascoltare con piacere, per le melodie vincenti enfatizzate dal solito Dickinson e per un chitarrismo più incisivo del solito.
Se il nuovo millennio ha ri-visto gli Iron Maiden al top del successo, con una popolarità rinnovata in concomitanza con il rientro di Bruce "Prodigal Son" Dickinson, non sembra tuttavia coincidere con una fase creativa realmente ispirata, infatti, dopo gli ottimi "Brave New World" e (sopratutto) "Dance of Death", abbiamo assistito - e subito - prima lo scialbo "A Matter of Life and Death" ed ora un approssimativo "The Final Frontier".
Un disco poco ispirato, prolisso e spesso (auto)citazionista, ed anche se devo ammettere che temevo di peggio... l'appuntamento con i migliori Maiden è nuovamente rimandato, e per un gruppo di questa caratura venirsene fuori con un album solo "sufficiente" equivale ad una sonora stroncatura.
"Spock, è una canzone, non la deve analizzare!" (Dr. Leonard McCoy)