Sgombriamo subito il campo da dubbi o incertezze: se cercate l’originalità
tout court, in un campo ormai sempre più standardizzato come il prog-metal (ma quale
non lo è? … questa, però, è una storia piuttosto complessa …), non la troverete tra i solchi digitali di “IntroSpectral”, debutto sulla lunga distanza dei milanesi
Heaven If.
Nel caso, invece, siate alla ricerca di un prodotto realizzato con alta padronanza di mezzi tecnici e inciso con grande professionalità, dove il songwriting possiede una sua forza espressiva e in cui appare evidente una notevole coesione d’intenti che rende le varie atmosfere attribuibili ad un comune sentimento generale, allora ci farei un pensierino.
Insomma, per cercare di essere più chiari, i meneghini sono inevitabilmente
figli dei gruppi-guida fondamentali del settore, quali Fates Warning, Dream Theather, Queensryche e Crimson Glory, ma la loro devozione è spesso talmente ben realizzata e vitale da rendere il quadro complessivo piacevole anche per i più irriducibili ammiratori di tali modelli, che sono certo, come del resto tutti gli amanti del genere (le due categorie comunque finiscono molto spesso inevitabilmente per coincidere!), non potranno che apprezzare il preciso coordinamento delle strutture sonore del disco, che pur nella loro ripartizione discontinua e volubile, dimostrano coerenza e convincente credibilità, alimentate da una significativa componente melodica e, soprattutto, dall’urgenza di esprimere con sufficiente temperamento quanto assorbito dai propri ispiratori.
Certo, a volte gli Heaven If si perdono in elucubrazioni strumentali un po’ troppo intricate (per le quali gli estimatori non mancano, tra l’altro), altre volte rammentano eccessivamente i loro riferimenti (sempre che riuscire a
sembrare i Fates Warning
Alder-era, possa essere considerato un “peccato mortale”!), ma piace, e parecchio, l’espressività infusa a molti dei brani di “IntroSpectral” (ispirato, come intuibile dal titolo, da un concept che ruota essenzialmente intorno a temi psicologici e introspettivi), il tocco orientaleggiante di alcune delle composizioni, il gusto estetico (suggestiva anche la copertina!) e l’intraprendenza con cui i suoi autori affrontano e
scongiurano il rischio di essere etichettati come pallide trascrizioni d’incontrastati maestri.
“Liquid circle”, “Points of view”, “Cassilda's song”, “The neverending journey” (bellissima!) e, tutto sommato, anche la conclusiva “The reawakening” (con alcuni passaggi smaccatamente Dream Theater-iani!), rappresentano, alla luce dei fatti appena esposti, i momenti migliori dell’opera, in cui convivono, contendendosi la ribalta del consenso, impatto emotivo, estro e ammirazione
tecnicistica.
Gli Heaven If non hanno ancora una personalità sufficiente per sovvertire prepotentemente le convenzioni stilistiche del prog-metal e tuttavia se è vero che quello che conta davvero è l’effetto che la musica cagiona sui sensi, nel song-book del gruppo c’è fin da ora una buona dose di quel magnetismo fondamentale per dare inizio alla loro conquista.
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