Che
Meat Loaf, icona del rock e del cinema americano, non sia soltanto un “pipistrello fuoriuscito dall’inferno” lo ha dimostrato più di una volta. Album come “
Deadringer” o “
Welcome To The Neighbourhood” sono infatti episodi che dimostrano tuttora la loro bontà sebbene al di fuori della celeberrima saga “
Bat Out Of Hell” (rispettivamente parte uno, due e tre), che ha fruttato al corpulento vocalist americano una serie infinita di dischi di platino.
Il problema è che il mondo della musica è cambiato radicalmente negli ultimi anni, ed anche i grandi nomi fanno sempre più fatica a piazzare i loro lavori nelle case degli abituali consumatori delle sette note. Già, perché se fino a qualche anno fa (ma ormai si parla di una decade), era il pubblico giovane a tenere in piedi il carrozzone, oggi è probabilmente la vecchia guardia a garantire una “serena pensione” a chi ha già scritto la storia. Ed è forse per questo motivo che, grazie a Dio, non vedremo più repentini adeguamenti stilistici alla “moda che tira”, perché questo significherebbe alienarsi le simpatie dei die-hard fan, ovvero di coloro che ancora preferiscono coccolarsi l’obsoleto album piuttosto che tuffarsi sull’ascolto bulimico dell’i-Pod.
Nonostante l’ancora notevole visibilità presso il pubblico, a Meat Loaf conviene quindi rifugiarsi nel suo tipico hard rock pomposo ed istrionico, magari impreziosito dall’apporto di qualche guest-star di Hollywood (vedi Dr.House-Hugh Laurie, che pesta il piano nella simil-“Baba O’Riley” dal titolo “If I Can’t Have You”). Su “Hang Cool Teddy Bear”, “fumettoso” concept basato su un racconto breve di Killian Kerwin, manca la firma del fido Jim Steinman, eppure nemmeno ce ne accorgiamo, tanta è la continuità stilistica rispetto all’illustre passato.
E bravo il caro, vecchio Bisteccone.
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