Da buon amante del death metal, è normale nutrire una sorta di fascinazione ed ammirazione verso album come "Left Hand Path" o "Clandestine". Talvolta succede anche di ripensare a cosa sarebbe potuto venire fuori se gli Entombed non si fossero dedicati al death & roll, ma fortunatamente tra le nuove leve c'è chi anzichè lasciarsi prendere la nostalgia decide di imbracciare i propri strumenti e riprendere a suonare proprio lì dove la band svedese si era fermata. E' questo il caso dei
Black Breath, dei ragazzi americani che con il loro disco d'esordio
"Heavy Breathing" riescono a fondere il grezzume del death svedese (gli Entombed sono certamente i primi a venire in mente durante l'ascolto) con la rabbia dell'hardcore: un ibrido devastante che trova il massimo splendore in brani come "Black Sin (Spit On The Cross)", "Escape From Death", la sepolcrale "Heavy Breathing" o "I Am Beyond". Certo, forse la voce di Neil McAdams avrebbe reso il doppio se al posto dello scream di scuola hardcore ci fosse stato un bel growl profondo, ma anche così i brani non perdono in impatto e cattiveria. Brani come "Virus", "Fallen" o "Children Of The Horn" strizzano l'occhio all'hardcore più puro a discapito della componente death metal, ma ci sta ed in un certo senso dona varietà ad un piacvolissimo disco.
Gran colpo per la Southern Lord quindi, che ancora una volta si dimostra label attenta e con grande fiuto per i gruppi di talento che pullulano nell'underground. Consigliati.
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