Dalle anticipazioni trapelate in rete e dopo l'ascolto dell'EP di introduzione "
A Voice in the Dark" sembrava ormai scontato che i
Blind Guardian avessero effettuato un deciso cambio di rotta, dopo la delusione derivata dalle sperimentazioni presenti nei due discutibili "
A Night at the Opera" e "
A Twist in the Myth", e così è stato: il nuovo "At the Edge of Time" segna indiscutibilmente un ritorno al passato, strizzando di continuo l'occhio ai vecchi dischi di successo con continui riferimenti a "
Nightfall in Middle Earth" e, sebbene più raramente, a "
Imaginations from the Other Side".
Tralasciando il giudizio sulla sincerità di questa scelta, qualora dettata da esigenze di rilancio commerciale o di effettiva volontà di tornare a suonare qualcosa di più diretto e "metal" in senso stretto, con buona pace del vecchio drummer
Thomen Stauch che lasciò la band per notevoli divergenze musicali per poi essere silurato nei suoi stessi Savage Circus, è innegabile che i risultati siano immensamente superiori a quanto propostoci da
Hansi Kursch e soci negli ultimi otto anni, proponendo un sound molto più nelle loro corde e riuscito, insomma che ognuno faccia il proprio mestiere.
Ovviamente non è tutto rose e fiori e lo stato di forma non può essere quello del glorioso passato dei bardi di Krefeld; i brani positivi non sono così "belli" e maestosi come in passato, sebbene siano presenti un paio di episodi che lasciano un bel sorriso di soddisfazione sul volto, mentre specialmente da metà album in poi c'è un netto calo di ispirazione, guardacaso sui brani più sperimentali che ricordano le ultime fallimentari produzioni; rimangono altri brani ordinari, assolutamente non brutti ma che si lasciano normalmente ascoltare, senza però regalare alcun brivido all'ascoltatore, a meno che si tratti del solito cieco fanboy, pronto a sbavare su qualsiasi produzione dei Blind Guardian.
L'inizio è di quelli col botto, e "
Sacred Worlds" è una bellissima suite di quasi 10 minuti di durata, perfettamente bilanciata tra epiche orchestrazioni e sferzate di metallo pesante, riffs vincenti e linee vocali entusiasmanti come un tempo, perfettamente lanciate nel cielo dalla voce di Hansi Kursch, perlomeno in studio, dato che nutriamo forti dubbi sull'effettiva capacità di poterle riprodurre in sede live.
La seguente "
Tanelorn (Into the Void)" è uno di quegli episodi che rimandano alle atmosfere ed al sound di "Imaginations", dal sound più asciutto e tagliente, che si lascia apprezzare ma non entusiasma più di tanto e che non va oltre il "vorrei ma non posso".
"
Road of No Release" spezza il ritmo delle cavalcate, virando su mood più malinconici basati su un mid-tempos che ricorda nel chorus la vecchia "
And the Story Ends", risultando comunque decisamente particolare ed interessante, mentre la seguente e tiratissima "
Ride into Obsession" ricade nella categoria del "carina ma nulla più", in ogni caso giungiamo a metà album senza nemmeno un episodio da "skippare" e questo ci appare già un miracolo.
Ripartiamo con "
Curse My Name" ed infatti arriva la prima fregatura, ci troviamo di fronte alla solita ballad acustica folk-medievaleggiante che nulla ha da aggiungere a quanto già detto in mille solfe in passato, banalissima e priva di qualsiasi spessore; "
Valkyries" risolleva la situazione ma non più di tanto, appesantita com'è da eccessivi cori ed orchestrazioni pacchiane, ed è un peccato poichè le strofe ed i bridge ci appaiono più che convincenti e migliorano ad ogni ulteriore ascolto.
"
Control the Divine" rientra nella categoria del carino ma decisamente sorvolabile, mentre giungiamo alla già nota "
War of the Thrones", apparsa già in versione acustica sull'EP "A Voice in the Dark", qui riarrangiata col pianoforte.
Cosa dire? Meglio questa versione, ed anche meglio di "Curse My Name", ma ecco un altro brano da skippare senza indecisione, composto in 5 minuti secondo il "manuale della perfetta ballad BG".
Di "
A Voice in the Dark" ne abbiamo già parlato in sede di recensione dell'omonimo EP e conferma tutta la sua bontà, quasi affiancandosi all'opener "Sacred Worlds" per qualità ed efficacia, mentre giungiamo al termine di questo in ogni caso gradevole viaggio con la suite "
Wheel of Time", 9 minuti finali che rovinano tutto quello che di buono era stato raccolto nell'attento ascolto di "At the Edge of Time".
Un perfetto brano alla "
A Night at the Opera", raffazzonato, forzato, sovrappeso, che ha la stessa grazia di Luciana Turina in calzamaglia, oltremodo appesantito da insopportabili orchestrazioni, nettamente eccessive ed ingombranti, tra noiosissimi inserti orientali ed arabeggianti; insomma, il solito delirio di onnipotenza e voglia di strafare da parte dei Blind Guardian che li hanno portati ai due flop di ANATO e ATITM.
Peccato.
Senza scomodare i capolavori del passato, che viaggiano ad anni luce di distanza, "
At the Edge of Time" è un deciso passo avanti per i
Blind Guardian, non foss'altro per la decisione di tornare sui loro passi e proporre qualcosa in vecchio stile.
La qualità del songwriting, ad eccezione di un paio di brani, non sembra avere la freschezza di un tempo, e la vanitosa voglia di autocompiacersi a volte ha purtroppo ancora la meglio, ma è indubbio un risultato finale di spessore che non ci aspettavamo più da molti anni.